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Other Identity #137, altre forme di identità culturali e pubbliche: Carola Allemandi
Fotografia
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Carola Allemandi.
Other Identity: Carola Allemandi
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«La rappresentazione in arte credo in verità che abbia sempre almeno una parte nascosta, in ombra, da trovare. Sta a noi che cerchiamo la responsabilità di dare un volto, anche incerto, a ciò che ci appare. L’arte, che spesso in verità vedo coincidere con tante altre parole – e quindi realtà – della vita, anche quotidiana, è una sorta di cammino verso una figura che ci chiama (forse, addirittura, che ci aspetta) e a cui dobbiamo dare per forza una forma per poterla comprendere e restituire».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Temo di non sapere con precisione quale sia la mia identità nell’arte contemporanea. Forse per carattere, ma non riesco a curare con attenzione le caratteristiche che voglio evidenziare o nascondere».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«L’apparenza sociale e pubblica per me ha pochissima importanza. Ben più importanza possiede semmai la presenza sociale e pubblica: cosa si fa, come ci si muove nel mondo, più che come si appare. Sento, di volta in volta e in base alle circostanze, più o meno l’esigenza di conoscere situazioni, realtà, persone unicamente per studio, ricerca, scambio di idee o semplice curiosità. Tutto ciò che riguarda la cura della propria immagine, o il messaggio che a essa si può legare, ha per me un rilievo del tutto trascurabile. Uso i social per presentare il mio lavoro e le mie attività, per archivio; appaio, o meglio, compaio nel mondo laddove si presenti uno dei motivi che ho citato sopra».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«La rappresentazione a mio avviso deve coincidere sempre con chi le dà vita: essere una seconda pelle, un’estensione naturale del suo autore, assecondandone le pulsioni, i vuoti, le allucinazioni. Il mio valore di rappresentazione si trova là dove attraverso l’immagine riesco a dare una risposta o formulare altre domande su ciò che reputo di dover raffigurare. La rappresentazione è sempre un tentativo, il tentativo di camminare, sanare il sentiero dove si presenta non percorribile».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«È più facile che mi definisca una fotografa, o più in generale una persona che lavora nel campo della fotografia: ogni sfaccettatura delle attività che mi trovo a svolgere compongono infatti un unico solido. Fotografare su commissione, scrivere per le riviste, insegnare a scuola o all’Università, sono le varie attività che, insieme ai lavori di ricerca che espongo in fiere e gallerie, in ugual misura alimentano il mio pensiero sulla fotografia, le sue possibilità, i suoi significati».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Attualmente non penso a ciò che avrei voluto essere, sto “camminando”. Vorrei semmai sviluppare al meglio, secondo le mie capacità, le varie identità che già mi è capitato finora di “indossare”, e che mi permettono di sviluppare quotidianamente piccoli tasselli di pensiero attorno al mondo della rappresentazione fotografica».
Biografia
Carola Allemandi, nata a Torino nel 1997, è fotografa e autrice. Dopo il liceo si forma “a bottega” nello studio di un fotografo torinese. Oltre all’attività di ricerca condotta in collaborazione con la galleria torinese Dr Fake Cabinet di Marco Albeltaro e Pablo Mesa Capella e a quella commerciale, scrive di fotografia per alcune testate come Doppiozero, Snaporaz, Siamomine e cura l’editoriale Il contatto degli occhi col reale per la rivista Torino Magazine. È assistente del Prof. David Vicario per il corso “Tecniche della Fotografia” al Politecnico di Torino.
Nel 2021 vince il Premio Zenato Academy per la fotografia in occasione della fiera The Others Art Fair, Torino; è finalista al concorso indetto dall’Istituto Italiano di Cultura di Praga, in cui espone nella mostra collettiva Isolation/Et Cetera; partecipa alla residenza Arte Kunst Val Taro a Bedonia (PR) organizzata dai galleristi Bianca Maria Rizzi e Matthias Gernot Ritter. Nel 2022 pubblica il libro fotografico Presenze sui suoi primi lavori di ricerca per Atb Associazione Culturale di Torino con testi di Maria Erovereti.