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La Grande Brera: uno sguardo alla storia, alle collezioni e alle nuove mostre di Palazzo Citterio
Musei
Una missione culturale che da oggi si rinnova. La fine di un’avventura durata mezzo secolo. E l’inizio di una nuova che sa di futuro. Nel 1972, il direttore della Pinacoteca di Brera Franco Russoli, fu l’artefice dell’acquisto da parte dello Stato di Palazzo Citterio per l’ampliamento del percorso museale di Brera collegato attraverso l’Orto Botanico, nel quale avrebbero potute essere esposte importanti collezioni private milanesi. In realtà, l’idea della Grande Brera, intesa come una cittadella delle arti, delle scienze e della formazione ne compie cinque di secoli, più o meno: era stato un sogno anche di Maria Teresa d’Austria, regnante dell’Impero austro-ungarico. Ne decreto di fondazione della Biblioteca Braidense si dichiara «ci vorrebbe una biblioteca aperta ad uso comune di chi desidera maggiormente coltivare il proprio ingegno, e acquistare nuove cognizioni» poiché non veniva ritenuta sufficiente l’Ambrosiana «ricca bensì di manoscritti», ma non di «libri stampati». E così grazie allo scioglimento della Compagnia di Gesù, lo Stato acquisì il Palazzo del Collegio gesuitico di Brera, costruito sull’area del duecentesco convento degli Umiliati, che divenne sede della biblioteca nel 1786. Poi arrivarono l’Accademia, l’Osservatorio astronomico e l’Orto Botanico. E si aggiunsero, grazie a Napoleone la Pinacoteca e l’Istituto Lombardo per le Scienze e le Lettere. Così furono gettate le basi della Grande Brera, di cui si apre oggi un nuovo importante tassello, Palazzo Citterio. La Grande Brera quindi è cresciuta e si è mantenuta come un ecosistema, dove ogni parte è necessaria alla altre e si è arricchito nei secoli sulla scorta di una missione di ibridazione e accessibilità ai saperi.
La Grande Brera. Una comunità di arti e scienze
Un romanzo avvincente con le sue vicende culturali, architettoniche e delle comunità che lo hanno reso vivo e lo legano al passato del Paese e della città è esposto all’ultimo piano del palazzo (adibito a esposizioni temporanee) fino alla primavera 2025, La Grande Brera. Una comunità di arti e scienze, a cura di Luca Molinari: architetto e storico dell’architettura, mette in fila le vicende architettoniche e delle “comunità” che hanno vissuto l’edificio di Brera fin dal 1500 portando in evidenza la trasformazione di questo complesso monumentale da edificio unico ad agglomerato urbano. Stiamo infatti parlando oggi della Pinacoteca, l’Accademia, il Giardino botanico, l’Osservatorio astronomico, la Biblioteca e ora anche Palazzo Citterio. «La coralità è alla base della mostra: ovvero evidenziare arte, scienza, cultura e formazione insieme. Un luogo che è una comunità di intelligenze: anche ora ci sono 500 pezzi in mostra da 25 istituzioni diverse. Grande Brera ha due anime: è stato un laboratorio di architettura che da 500 anni costruisce Milano e la sua comunità, un laboratorio di arte, scienza, formazione e cultura. Qui all’Osservatorio sono state compilate le prime mappe di Marte fatte da Schiapparelli, non va dimenticato!», spiega entusiasta il curatore Luca Molinari. Una mostra che osserviamo come se fossimo di fronte a un organismo pulsante vivo e pieno di energia. Così anche le mappe, i bozzetti e i modelli architettonici che descrivono lo sviluppo della Grande Brera, prendono vita e senso anche per noi che poco sapevamo di questa storia affascinante, (se non qualche capitolo) pur avendo attraversato mille volte i corridoi della Pinacoteca o avendo passato ore seduti alla “Braidense”. Ricca di dettagli, materiali d’archivio preziosi, ma grazie a un allestimento variegato ci coinvolge senza mai far cadere l’attenzione. Anche perché, per chi conosce la città, può diventare divertente andare a indovinare e riconoscere pezzi di storie e luoghi.
Ci accolgono nella prima sala dei modelli che spiegano con molta chiarezza dove siamo e cosa andremo a scoprire. Uno completamente trasparente con frammenti di eccellenza che raccontano delle tante istituzioni che lo abitano: la facciata del Richini, insieme a una parte della corte interna e della grande scala, un dettaglio della Biblioteca, la sequenza di archi dell’antica chiesa di Santa Maria di Brera insieme con l’antica facciata e quella presente, una parte dell’Osservatorio astronomico, la pianta dell’Orto Botanico, l’edificio dell’Istituto lombardo di Scienze e Lettere e l’ipogeo di James Stirling di Palazzo Citterio. Il secondo modello ci spiega invece l’evoluzione del complesso architettonico. Nella sala a fianco, invece, ci si immerge nell’avventura architettonica, che come si sa, è sintesi di storia, cultura e vita quotidiana. Un passato che non pesa nel rileggerlo appeso sulle pareti. Anzi ci coinvolge, perché è presentato come narrazione di una lunga vita di pensieri, idee, tentativi, segni della storia. Scopriamo che la Grande Brera è stata sempre un polo attrattivo, perché tra sovraintendenti, direttori, architetti hanno cercato di definirlo, migliorarlo, arricchirlo nel corso degli anni. La Grande Brera è stato un grande laboratorio per l’architettura, anche di sperimentazione. Spiccano i modelli, anche bellissimi, come quello in legno per l’Osservatorio astronomico e quello per il progetto del 1935 del gruppo degli architetti razionalisti Pietro Lingeri, Luigi Figini, Gino Pollini e Giuseppe Terragni, che ricevettero l’incarico per un progetto per l’ampliamento dell’Accademia. La cittadella in via Brera ci rimanda anche alla storia dell’Italia: il periodo della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1946, il direttore della Pinacoteca Ettore Modigliani per la ricostruzione di Brera distrutta, chiamò l’architetto Piero Portaluppi, con il quale aveva già collaborato negli anni ‘20 per la risistemazione della Pinacoteca. C’è ovviamente anche il primo tentativo di ristrutturazione di Palazzo Citterio acquistato nel 1972 da parte dello Stato dal conte Giannino Citterio per farne una dependance della pinacoteca per esporre nuove collezioni che erano state donate, Jucker e Vitali, Mattioli e Jesi. Il primo grande progetto del gruppo di architetti formato da Ortelli e Sanesi passati poi a James Stirling. E la storia prosegue fino a oggi.
La terza parte della mostra è «Quella più emotiva, dove si rimescolano tutte le carte», spiega il curatore. Sorprende per la scelta dell’allestimento disegnato da Francesco Librizzi che genera suggestioni, gioca su incontri e rimandi di contenuto tra opere e personaggi che hanno ruotato intorno al polo Brera e ne hanno fatto parte. Le foto di Ugo Mulas, che ha immortalato con scatti storici il quartiere, esposte come un leporello ligneo, guardano in faccia a un’opera di Canova donata da lui stesso alla Pinacoteca. Questa è incorniciata dagli specchi dell’Osservatorio di Brera, ed è affiancata da un telescopio. Ci sono immagini di chi ha contribuito a far crescere il sogno: da Napoleone a Fernanda Wittengs, la direttrice della Pinacoteca che concesse l’accesso all’arte moderna.
Le collezioni Jesi e Vitali a Palazzo Citterio
Ecco perché Palazzo Citterio va visitato dall’ultimo piano. Così si ha la perfetta suggestione del luogo e ci si sente un po’ a casa. Scendendo al piano nobile appunto si trovano due delle collezioni, Jesi e Vitali per le quali il direttore di Brera, Franco Russoli, aveva pensato un ampiamento della Pinacoteca. Con un allestimento dell’architetto Mario Cucinella (Marina Gargiulo, storica dell’arte responsabile delle collezioni del XX secolo della Pinacoteca di Brera), che ha mantenuto gli ambienti del palazzo settecentesco nello stile di come si racconta venissero esposte le opere: stanze per artista così come se fossero ancora nell’appartamento di Emilio Jesi, uno dei grandi collezionisti dell’arte italiana del primo ‘900. Ma ora sono esposte anche per nuclei tematici e cronologici. Le due collezioni Jesi e Vitali si aprono ai lati, mentre la sala centrale dedicata all’800 fa da snodo alle due. Qui finalmente è esposta la Fiumana di Giuseppe Pellizza da Volpedo, uscita dopo un decennio dai depositi. L’opera precedente al Quarto Stato è affiancata da altri capolavori di Gaetano Previati, Il funerale di una Vergine, Adorazione dei Magi e La Maternità. Sempre di Previati la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, con cui è stato firmato un accordo di valorizzazione reciproca, ha inviato in prestito per l’apertura la Creazione della luce, insieme con opere di Giovanni Boldini.
In entrambe queste due grandi collezioni, la Jesi e la Vitali (tenute rigorosamente distinte), ci sono capolavori assoluti dell’arte italiana del primo Novecento. La collezione Jesi ci accoglie con il Ritratto di Emilio Jesi, realizzato in bronzo dal suo grande amico Marino Marini. Potremo goderci l’Autoritratto di Boccioni, per la prima volta dalla sua donazione è osservabile da entrambi i lati: il dipinto era stato iniziato su una tela verticale, successivamente risvoltata e ruotata, e reimpostato poi in formato orizzontale. Vicino alla Rissa in galleria, c’è una sala solo per Filippo De Pisis. La quarta sala è interamente dedicata ai 13 dipinti di Giorgio Morandi. Poi Carrà, Picasso, Braque, Modigliani, Sironi. Con alcune delle opere più importanti: La lampada di Sironi, Madre e figlio di Carlo Carrà, Testa di Toro di Picasso. Ma anche dipinti importanti di Ardengo Soffici, Osvado Licini, Bruno Cassinari. Altre sculture di Marino Marini e di Arturo Martini. La collezione di Lamberto Vitali è mista: è un lascito del critico e studioso collezionista di oggetti antichi e moderni: vasi egizi, monili micenei, dipinti dell’Ottocento, sculture e tavole medievali, e naturalmente capolavori di Giorgio Morandi, di cui era studioso. Come per la collezione Jesi, nella prima sala è stato inserito il Ritratto di Lamberto Vitali, sempre di Marino Marini. Di Giorgio Morandi, Vitali aveva importanti capolavori, esposti nella sala principale della sezione: i tre Paesaggi e i noti dipinti metafisici, Fiori e Natura morta con tavolo rotondo, Fiori e Paesaggio. Nella stessa sala un ritratto famoso, L’enfant gras di Amedeo Modigliani del 1915.
Previstauna sezione grafica della raccolta: il Volto in una falce di luna crescente di Odilon Redon (1890 ca.), un disegno di Leonardo da Vinci (Testa virile di profilo 1510-1511) e altri tre di Edgar Degas, copie di grandi maestri della tradizione rinascimentale. Nella ‘saletta pompeiana’ vengono esposti i dipinti dell’Ottocento della collezione: Adriano Cecioni, Silvestro Lega (Ritratto del fratello Ettore, Testa di donna), Giovanni Fattori (Signora all’aperto) e del pointilliste Théo van Rysselberge, il Ritratto femminile di Mauro Conconi e la Natura morta con fichi di Raffaello Sernesi. Una speciale vetrina ospita i reperti tardoantichi. Nella sala degli specchi, la sezione archeologica della collezione Vitali è sistemata al centro della stanza come se fossero oggetti posati sul tavolo da pranzo. In chiusura di percorso si incontra la raccolta degli Autoritratti minimi di grandi artisti del Novecento fatti commissionare dallo sceneggiatore, regista e scirittore Cesare Zavattini e le 23 Fantasie di Mario Mafai, donata da Aldo Bassetti, già presidente degli Amici di Brera. Palazzo Citterio ha intenzione di aprirsi anche all’arta contemporanea. E così tra mostre temporanee c’è quella site-specific dedicata a Mario Ceroli con dieci lavori inediti, la Forza di sognare ancora curata da Cesare Biasini Selvaggi, che invade per intero lo spazio ipogeo di James Stirling. E un grande schermo con un pannello dalla colossale opera digitale di Refik Anadol, Renaissance Dreams, proveniente dal MEET Digital Culture Center di Milano.