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Note per una poetica del disarmo: l’armonia dell’arte per riscoprire la pace
Attualità
L’intelligenza artificiale è uno dei principali cardini della svolta epocale che stiamo vivendo: vale a dire lo sviluppo della razionalità, applicata ai massimi livelli scientifici e tecnologici. In una parola: il trionfo della Tecnica, come da tempo sottolinea Umberto Galimberti.
Nel contempo, ascoltiamo i quotidiani bollettini di guerra: un tragico stillicidio di sangue che vede in primo piano le guerre in Ucraina e a Gaza ma non solo. Armed Conflict Location & Event Data Project – ACLED con i suoi puntuali report ci informa che i conflitti sono presenti in tante altre aree del pianeta; si pensi a quelli nello Yemen, nella regione del Tigrai, in Etiopia, in Birmania, in Afghanistan, in Sudan.
Difatti, assistiamo sgomenti a questi scenari di guerre, in cui l’uomo si spinge oltre ogni limite, spesso facendosi beffe delle convenzioni internazionali, rendendosi responsabile, col suo potere tecnologico, di stermini e genocidi, oppure violentando la natura senza alcun ritegno.
E dunque ci si interroga: chi è costui, che si aggira sul pianeta, che fonda città e poi le distrugge e mentre uccide invoca amore, o prega il suo dio con le mani insanguinate? Chi è questo ente, che si porta nelle vette più alte della bellezza e dell’arte o, all’opposto, precipita nell’efferatezza, distruggendo la dignità del suo mistero?
E dunque, chi è costui che dimentica che la sua esistenza è un enigma (Sergio Moravia docet). Chi siamo, noi, in questo istante, in questo nostro presente che appare come un corpo ammalato, tremante di febbre e di vischiosa energia, dove nell’aria aleggia un senso di deformazione, di anamorfosi?
Quest’uomo imbocca le strade che lo portano alle forme più estreme di regressione e disarmonia, e penetra con disinvoltura nei regni delle sopraffazioni, delle ingiustizie, delle lucide allucinazioni; “sintomi espansivi” li definiscono gli psicologi e gli psichiatri. Nel linguaggio comune si chiamiamo guerre, devastazioni, stupri, violenze di ogni genere: una follia retta da una “sana razionalità” nel cui nome si portano avanti nel mondo crimini di ogni genere.
Sigmund Freud sosteneva che tutto ciò appartiene alla storia dell’uomo, che si svolge nel territorio governato da Eros e Thanatos, in cui agiscono una contro l’altra le forze dissipative e quelle costruttive; come quella orfica, che a noi sta a cuore, della musica e della luce, dell’Arte, i cui sviluppi superiori conferiscono senso e dignità alla vicenda umana. Per questo, il mito di Orfeo che si oppone alle forze distruttive, sarà costantemente perseguito, in tensione verso una nuova armonia, una nuova storia da iniziare.
Ciò riguarda l’intelligenza dell’uomo di penetrare più a fondo in se stesso, non soltanto in “modalità razionale”, ma con la coltivazione di altre dimensioni che costituiscono la struttura “polifonica” della coscienza. Bisogna partire anche dalla riscoperta della nostra origine; sentirsi come antenne sonore protese verso l’alto; verso quell’enigma che ci costituisce e dal quale proveniamo. Sentirne il richiamo, senza illudersi di poter giungere a qualche disvelamento definitivo.
Ma per aprirsi a questa tensione occorrono altri mezzi; occorre uno sforzo di ricerca su di sé per stanare il pensiero “vecchio” e pervasivo che nella società attuale paradigmaticamente sostanzia il neocapitalismo e neoliberismo, espressioni di un refrain monocorde basate esclusivamente sui profitti, non più adeguati ad affrontare le sfide della nostra contemporaneità. Occorre attivare quel “sentire”, pensare e progettare polifonico che ci consenta di penetrare nel coacervo della realtà con una sensibilità a 360 gradi, che deve tener conto dell’integrità dell’individuo in rapporto alla comunità di appartenenza.
Compete all’uomo di oggi trovare nuove energie per rinnovarsi e riprogettarsi. E in tutto ciò rientra anche l’arte. Non è un caso che molte aziende chiedono agli artisti di entrare a collaborare nel loro habitat produttivo. Si pensi già all’esperienza di Adriano Olivetti tra la seconda metà degli anni Cinquanta e i primi Sessanta; alla sua azienda in cui poeti scrittori matematici ingegneri creavano sinergie sotto la guida di Mario Tchou (ideatore di Elea 9003 il primo calcolatore elettronico).
Ma, per tornare al dramma dei nostri giorni, bisogna chiedersi se tutte queste possibili aperture siano comprese nei parametri di osservazione dei conflict analysis o nelle agende dei policy analyst; e questo semplicemente per comprendere il peso che riveste la mancanza di sviluppo armonico delle persone a capo dei governi, responsabili delle determinazioni dei conflitti. Questi ultimi non soltanto spiegabili in termini di accaparramento delle risorse primarie o di ideologie controverse.
Ma per avviare questi processi di crescita umana occorrono anche le condizioni “materiali”. Pertanto è indispensabile per i governi dei vari Stati investire le migliori risorse per consentire all’individuo/società di sviluppare le sue potenzialità (come recita l’articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana) attraverso un profondo lavoro autoeducativo che parta dal bambino e arrivi all’adulto, ancorché all’uomo politico e alle sue funzioni ministeriali e decisionali; una nuova paideia, da avviare con urgenza, che apra nuovi percorsi costruttivi attivati da una visione armonica e polifonica dello sviluppo umano. Una educazione della conoscenza degli istinti violenti che albergano ancora nel cervello rettiliano; che ponga come obiettivo primario quell’armonia non altrimenti raggiungibile se non attraverso una costante comprensione della dinamica dei conflitti (necessari), dell’eliminazione degli scontri (non necessari), allenandosi alla risoluzione dei problemi e dei bisogni.
Per questo non ha nessun senso parlare di pace se si ignora la matrice di fondo dell’uomo, se si ignorano le ragioni recondite che spingono al conflitto. Ed è in questo senso che si dovrebbe avviare una “poetica del disarmo”; costruendo strumenti di conoscenza per una raccolta indifferenziata delle armi di offesa, materiali e psicologiche, provvedendo al loro smantellamento.
L’ideale kantiano di una “pace perpetua” sarà forse impossibile da raggiungere ma, nel frattempo, il destino dell’uomo contemporaneo è nelle sue stesse mani e sarà quello d’incamminarsi o verso la catastrofe o verso un risveglio per la costruzione di una nuova civiltà in cui anche l’arte gioca la sua parte. Ma bisogna saper ascoltare e saper vedere, e distinguere tra arte e arte.
Come scrive Ramin Bahrami – grande pianista interprete di Johann Sebastian Bach – nel suo libro Come Bach mi ha salvato la vita (Mondadori 2012): «Sarebbe utile, nel nostro mondo tanto frammentato, parlare loro di Bach, che ha il dono di abbracciare le culture più diverse: in lui il canto del muezzin si intende con il galoppo scozzese, il galoppo scozzese va d’accordo con la cantabilità italiana e la cantabilità italiana si mescola con l’eleganza francese; in lui la Spagna abbraccia i mori, suoi invasori, e la danza e la matematica ballano insieme; in lui tutto confluisce in un disegno splendente, unico nel genere: una coesistenza di civiltà».