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L’albero di Natale perfetto? Tutti gli alberi di Natale sono perfetti!
Arte contemporanea
Ogni anno a dicembre, qualcuna prima qualcuna dopo, le case si accendono di luci e colori. Dicembre è il mese in cui tradizionalmente si decora l’albero di Natale, simbolo per eccellenza delle festività: le case, qualcuna prima qualcuna dopo, si accendono di luci e colori, segnando ufficialmente l’inizio del periodo natalizio. L’albero è l’assoluto protagonista per quasi un mese, porta con sé l’atmosfera calda e accogliente delle feste, e la sua illuminazione è ormai diventata rappresentativa di un rito collettivo che coinvolge famiglie, amici e comunità, in un clima di di gioia condivisa, di ricordi e di speranze. Al di là della tradizione religiosa o del calendario ufficiale, dunque, ognuno gli attribuisce un significato, che sia un rito familiare o un momento di condivisione, un gioco per i bambini, un’espressione di creatività o un’opera d’arte.
Ebbene si, ci sono alberi che per tutti i giorni dell’anno sono una scultura, a eccezione del mese di dicembre, quando si “trasformano” in un albero di Natale. Un esempio? C’est une oeuvre d’art pendant onze mois de l’année et en décembre c’est Noël, che Philippe Parreno ha realizzato nel 1993. Una simile messa in discussione dell’oggetto artistico ha le sue radici nelle espressioni legate al movimento Fluxus, che agli inizi degli anni Sessanta attua uno sconfinamento radicale dell’operare artistico nel flusso della vita quotidiana, e al Neo-Dada, nato in quegli anni negli Stati Uniti e fondato sull’interesse per l’oggetto di consumo e per i mezzi di comunicazione di massa. Philippe Parreno certo, ha sempre spinto ai limiti le ricerche sulle modalità di percezione di un’opera, affermandone sia la provvisorietà sia la correlazione con altri fattori in costante evoluzione: è un albero di Natale, è un’opera d’arte o è tutte due?
Philippe Parreno, però, non è l’unico. Anche Tony Cragg, nel 1992, realizzando Spyrogyra sembra dare forma a un albero di natale: ha un riferimento organico, ma di natura più astratta, e ogni “ramo” anziché aghi è composto da bottiglie di vetro sabbiato, più o meno grandi, dalla superficie opaca e dall’aspetto senza dubbio esuberante e allusivo. Alex Chinneck invece – una ventina di anni dopo Parreno e Cragg, nel 2016 – ha apparentemente congelato in un enorme cubo di ghiaccio (fatto in resina trasparente) un gigantesco albero di Natale, alto cinque metri e decorato con 1.200 luci (Fighting fire with ice cream), che è rimasto esposto a Granary Square, King’s Cross per l’intero periodo di festività. «L’opera è stata creata per tutti e per chiunque», affermava all’inaugurazione pubblica Chinneck, mettendo l’accento sul valore dell’unicità e sull’importanza del messaggio che si dà (l’albero di Natale di Jota Castro, per esempio, ha perso il colore e la rotondità dei tipici addobbi, sostituiti da intrecci di filo spinato: here and now mostra come una tradizione luminosa e scintillante possa cedere il passo a un declino inevitabile e muto, come la coscienza di chi preferisce ignorare), ma anche delle sensazioni che chiunque può provare – la Conifera di Marco Nones o Tree di Ai Weiwei o i Christmas Cacti che Paul Octavious condivide su Instagram, in quanto simboli cosmico della vita riescono a brillare comunque, senza mai mostrare il benché minimo rimpianto di non possedere radici.
Lo stesso anno, all’incirca a sei chilometri da Granary Square, la Tate Britain dava inizio alle festività appendendo al soffitto un albero di Natale (Christmas Tree). L’artefice? Shirazeh Houshiary: «Vorrei che si riflettesse sul fatto che il pino è una delle specie più antiche e che le radici sono la fonte della sua stabilità, del suo nutrimento e della sua longevità», aveva dichiarato l’artista iraniana, che già nel 1993 aveva realizzato un albero per la Tate. Il messaggio è chiaro, come a voler dire che «è meglio cercare ciò che è nascosto piuttosto che ciò che è apparente». Come Shirazeh Houshi, tanti artisti sono stati invitati dall’istituzione inglese a disegnare il loro albero di Natale. Nel 1996 per esempio fu Julian Opie a creare un gruppo di alberi, immediatamente riconoscibili come abeti, evocativo dell’idea di una foresta che sembrava attrarre le persone in un mistico parco giochi natalizio, poi fu la volta di Michel Landy, di Catherine Yass – il suo albero non decorato era sospeso e tagliato in due da un fascio di neon blu – di Sarah Lucas (nel 2006) e di tanti altri, tra cui Tacita Dean, che nel 2009 decorò un abete con candele di cera d’api che venivano accese (allo scopo di spegnersi alla chiusura) ogni pomeriggio quando il sole tramontava e la luce si affievoliva nella galleria.
«Quando sono arrivata a Berlino sono rimasta colpita dalla semplicità del Natale. Ho avuto l’impressione che i tedeschi fossero riusciti a conservare qualcosa della sua purezza e della sua magia nonostante le pressioni commerciali. Dato che molti dei miei film sono incentrati sul crepuscolo e sul passaggio dal giorno alla notte, mi sembra appropriato accendere le candele in questo momento della giornata», spiegava la Dean, che di fatto ha realizzato un’opera in sintonia con l’idea tradizionale di come dovrebbe essere un albero di Natale. La luce delle candele evoca un senso di magia e meraviglia, e l’atto di accendere l’albero è allo stesso tempo semplice e teatrale: qualche anno fa anche a Venezia 80 flussi di luce dorata diramavano o dall’installazione a forma di albero di Natale realizzata ad hoc da Fabrizio Plessi e posizionata in Piazza San Marco. Quello di Plessi, nel 2020, era un Natale digitale, mentre a Milano E ogni cosa è connessa con tutte le altre era l’albero firmato da Massimo Uberti pensato per il personale sanitario del Policlinico della città e per chi si stava impegnando nella lotta contro il coronavirus.
Poiché – come ci ricordava Luciano de Crescenzo – «A suo dire l’umanità si divideva in due grandi gruppi nemici fra loro: i presepisti e gli alberisti. “È una suddivisione – diceva lo zio – così importante che dovrebbe comparire sui documenti di identità, né più né meno di come appare il sesso e il gruppo sanguigno. Altrimenti può accadere che un disgraziato scopre, solo a matrimonio avvenuto, di essersi unito ad un essere umano di tendenze natalizie diverse», la selezione di alberi non può concludersi senza una menzione agli addobbi, dalle renne (impossibile non pensare a Rudolph the Red-Nosed Reindeer Paddle Ball Game di Jeff Koons), ai Babbi Natale – Andy Warhol ideò un portfolio di Miti, tra cui Babbo Natale e Santa Claus – fino alle palle (chi non vorrebbe sul proprio albero una I am cool strange light ball too di Paola Pivi?), e ai presepi. «Amo il presepe – diceva Maria Lai – come esperienza di qualcosa che, più ne indago l’inesprimibile, più trovo verità, più divento infantile e ingenua, e più rinasco. (…) Amo il presepio perché ci raccoglie intorno alla speranza di un mondo nuovo». Maria Lai era capace, attraverso le sue minuscole rappresentazioni, di riprodurre in un’unica superficie storia, sogni e utopie che resistono tra i popoli, chiamando in causa la precarietà della condizione contemporanea, e nello stesso tempo mettendo in connessione la finitezza della terra e l’infinità del cielo.
Presepisti e alberisti, alberisti e presepisti … che dire? Buon Natale! Che sia luminoso, e colmo di amore, e che porti con sé la voglia di scoprire sempre nuovi mondi e nuovi modi di pensare.