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Una mostra audace per terminare in grande stile il 2024 e iniziare nel migliore dei modi l’anno nuovo all’insegna dell’arte contemporanea. MOCKUPAINT si propone come una grande antologica, o forse sarebbe meglio definirla come un’esposizione del repertorio più intimo di Oscar Giaconia, artista milanese classe 1978. Il Comune di Lissone ha deciso di promuovere la sua ricerca composita, che parte dalla pittura ma che si avvale degli altri linguaggi dell’arte contemporanea per indagare a fondo tematiche talvolta di difficile comprensione. Concetti come quello di mostro, controfigura, autopsie rese opere d’arte e parassiti, l’idea di esumazione e di scavo, il ritrovamento, la costruzione artificiale del falso.
Il titolo della mostra fa riferimento ad una sintesi tra la parola Paint (pittura) e al termine “Mockumentary” (e ai derivati mock-up e mock-object), una sorta di documentario che mette in scena eventi fittizi e di fantasia. E la mostra di Giaconia è presentata proprio come fosse il set di un falso documentario, a partire dagli spazi espositivi apparentemente indipendenti l’uno dall’altro per via di divisori scelti e posizionati proprio dall’artista nel corso dell’allestimento delle opere. Introducendosi all’interno di essi si ha come la sensazione di dissociarsi dal resto della mostra, come se l’artista avesse creato una serie di punti strategici dove il visitatore possa astrarsi da tutto il resto e riflettere solo su determinati oggetti di scena, i cosiddetti “prop” cari a Giaconia. Questi oggetti sono maschere, quadri dai protagonisti indefiniti, tentacoli, relitti marini appositamente trattati per rimandare ad un’idea di ritrovamento e di degradazione materica, opere che sembrano essere state trovate dall’artista nel corso delle sue ricerche e successivamente messe in scena secondo precisi canoni estetici e valoriali.
Da sottolineare i materiali utilizzati da Giaconia, in particolar modo quelli sintetici come teche di silicone, vulcanite, nylon, gomma para e neoprene. Ad un certo punto della mostra ci si imbatte persino in installazioni contenenti materiali organici, mosche inserite in teche di vetro riempite d’olio, la trippa applicata ad un tubo fognario (l’opera di intitola The Grinder) e alla conchiglia con cui esso dialoga, quest’ultima tappezzata di bioplastiche. La messa in scena iniziale consiste invece in uno scaffale che ricorda uno studio d’artista, probabilmente quello di Giaconia stesso, molto criptico nelle spiegazioni dei propri lavori. L’oggetto di scena qui è composito, una natura morta di cui si riesce addirittura a sentire l’odore acre causato dai materiali sintetici applicati alle coperte posizionate sui ripiani del grosso scaffale. Un quadro al centro dell’opera dona al contempo simmetria e ambiguità ad un ambiente che si fa preludio di un teatro misterioso.
La mostra prosegue con le serie più iconiche dell’opera di Giaconia, dai Parassiti protagonisti delle opere pittoriche (in particolar modo Parasite Soufflè, una sorta di manifesto dell’estetica pittorica dell’artista basata sul rovesciamento dell’idea comune di mostro e parassita) alle Trappole in olio di cui si accennava in precedenza, fino ad arrivare alle Puppet Frog che Giaconia ripropone in diverse versioni e sfumature in opere su carta che viene letteralmente fritta e poi inserita in cornici colorate e dalle tonalità pastello che in qualche modo trovano un equilibrio con la palette cupa e severa che caratterizza la maggior parte delle opere dell’artista milanese. Sexual Clumsiness è un video del 2019 in 16mm che mette in scena una ripresa di alcune frattaglie di trucco prostetico, quel processo comunemente utilizzato per applicare le maschere sui volti degli attori in modo da creare effetti cosmetici sbalorditivi. Le frattaglie vengono toccate, movimentate, rimesse insieme e separate, in un loop continuo di diversi minuti che può essere definito come un caleidoscopio della “para-performance”, per via della crudezza dell’immagine, di una pelle che in realtà non è altro che un qualcosa di finto utilizzato per mascherare. La pelle copre ma rivela, il lavoro che l’artista effettua con la camera è propedeutico alla creazione di un effetto di inquietudine ma anche di forte interesse per quelle masse color sangue che vengono mescolate in continuazione nel video.
Infine, tutta una serie di altri prop che rimandano ad un’idea di gioco, forme mostruose e instabili sulle quali vengono applicati elementi sintetici e biologici, l’olio polimerizzato con cui Giaconia realizza anche i “basamenti” delle sue bizzarre installazioni di scena. L’artista riporta la propria realtà fatta di finzione e oggetti di scena in una mostra complessa e ricca di spunti, iconografie (come quelle del parassita o della tassidermia e dei fondali marini) e di punti di domanda. MOCKUPAINT è un cantiere aperto in cui il visitatore viene invitato a mettere in discussione le proprie convinzioni, accompagnato dall’installazione sonora Kanthèlios composta appositamente per la mostra da Steve Piccolo, fedele collaborare di Oscar Giaconia. Ogni set, scena, spazio espositivo è occasione di riflessione sull’avanzamento e decadimento della materia, sull’opera intesa come cantiere in evoluzione, sull’espediente del falso ritrovamento e tanto altro ancora.