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Teatro: i migliori spettacoli del 2024 e qualche riflessione sulla sua accessibilità
Teatro
Il 2024 sarà ricordato come l’anno del «Sei riuscita a vedere?”. Una domanda diventata simbolo dell’assurda velocità con cui gli spettacoli teatrali rimangono in scena prima di iniziare tournée o scomparire nel nulla. Teniture sempre più brevi, talmente fugaci da far invidia a una finale olimpica di 100 metri. Se va bene, le produzioni più fortunate resistono due settimane nei grandi teatri; il resto si consuma in cinque giorni o, peggio ancora, in un’unica data. Una corsa contro il tempo che rende inevitabile, tra gli operatori, scambiarsi la solita risposta amara: «Non ho fatto in tempo». Prendiamo Milano, capitale italiana del teatro e della contraddizione. Con oltre 60 spazi attivi, la città concentra un ampio numero di teatri del Paese, ma il pubblico non cresce. Gli spettatori non sono moltiplicabili, i giorni sul calendario nemmeno. Se la metà dei teatri milanesi propone un debutto ogni settimana, il rischio è che alcune sale rimangano semivuote. La soluzione? Per molti è giocare sul sicuro: grandi nomi, adattamenti letterari, messe in scena televisive. Ma davvero è questa la ricetta per far spegnere la TV e riempire una platea?
La vita in scena la porta Tindaro Granata con Vorrei una voce (produzione 2024, visto al Teatro Elfo Puccini di Milano) ispirato dall’incontro con le detenute del teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare. Le canzoni di Mina, cantate in playback, diventano l’opportunità per esprimere i propri sentimenti, in una narrazione emotiva che il repertorio della leonessa di Cremona rende universale. Un viaggio straziante ricordandoci la potenza della musica. Emma Dante, con Re Chicchinella (produzione 2024, visto al Piccolo Teatro di Milano), firma invece un capolavoro tratto da Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille, la raccolta di novelle in lingua napoletana, che Giambattista Basile creò nel 1634. La regia bilancia grottesco e sublime, portando sul palco un re divorato dalla sua stessa avidità, circondato da una famiglia glaciale. Una metafora acida e ironica che affonda nella tradizione barocca. L’intero cast dona vita a personaggi iconici con maestria e passione, in cui spicca per intensità e bravura Carmine Maringola, nei panni del sovrano.
La memoria diventa centrale in Album dei Kepler-452 (produzione 2023, visto al Teatro Franco Parenti di Milano). Nicola Borghesi trasforma il palco in un luogo di dialogo intimo, partendo dall’alluvione in Romagna del 2023. Dall’Alzheimer alle questioni ambientali, il lavoro scava tra colpe, ricordi e possibilità, ricordandoci che memoria e politica sono indissolubilmente intrecciate. Ma come disegnare il futuro in un Paese che non ha memoria?
Anche Gabriella Salvaterra indaga la dimensione del ricordo, a partire dalle emozioni individuali che un oggetto o una situazione: Tutto passa, tutto resta e Nodo in gola (produzioni 2021, visti nel 2024 a Trasparenze Festival a Gombola e a Olinda Teatro La Cucina a Milano), in cui l’artista del Sense Specific Theatre – SST disegna paesaggi emotivi site specific invitandoci a riscoprire i legami invisibili che ci uniscono al tutto.
César Brie ha portato in scena uno dei lavori più toccanti e necessari dell’anno: Re Lear è morto a Mosca (produzione 2023). Lo spettacolo, ospitato dal Teatro dell’Argine di San Lazzaro, è un omaggio al teatro ebraico di Mosca e alle figure di Michoels e Zuskin, tragicamente segnate dalla repressione staliniana. Brie intreccia sapientemente memoria storica e arte scenica, regalando un’esperienza teatrale che alterna poesia e denuncia, vita e morte. La regia si ispira ai colori visionari di Chagall, che evocano un mondo sospeso tra sogno e tragedia, e alle ombre di un’epoca segnata dalle purghe sovietiche. La scena è popolata da simboli potenti, che richiamano la fragilità dell’arte e la violenza della storia. Le vite di Michoels, regista e attore del Teatro Ebraico di Mosca, e del suo collega Zuskin sono raccontate con delicatezza e potenza, rivelando come il loro impegno artistico sia stato schiacciato dalla brutalità del regime. Non è solo uno spettacolo, ma una riflessione sulla vulnerabilità dell’arte in tempi di oppressione. Brie costruisce un ponte tra passato e presente, invitando il pubblico a considerare i rischi di un mondo che troppo spesso ignora le lezioni della storia. Il Teatro dell’Argine si conferma così uno spazio prezioso, dove la cultura diventa anche resistenza e riflessione civica.
Ed è qui che ho visto anche Ladies Body Show (produzione 2021): Francesca Albanese, Silvia Baldini, Laura Valli si mostrano sul palco in tutta la loro bellezza indossando solo un body sfidando il pubblico con una performance ironicamente incisiva e provocatoria, che esplora il corpo come simbolo e bersaglio di giudizio. La regia di Silvia Gribaudi fonde danza, drammaturgia e arte visiva in un’esperienza multisensoriale che coinvolge e scuote. Un viaggio potente tra successo e fallimento, per smascherare gli stereotipi e ridefinire il valore umano e sociale del nostro sguardo. La verità delle donne, con i loro corpi, le loro paure, la loro realtà, condizionata dalla pressione sociale è il tema anche del lavoro del Teatro dell’Argine Miserella con la regia di Micaela Casalboni (produzione 2024) dove quattro donne provano a reagire alla crisi di mezza età, pronte a sfidare un mondo imprigionato in una copertina di una rivista di moda. Ecco per il 2025 ci meritiamo più vita in scena, reale e intensa, fatta di corpi, movimenti, fallimenti, paure, esitazioni, che riporti la centralità del teatro come atto d’arte indipendente da numeri, dogmi e dettami sociali.