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Cronofagia, riflessioni sul tempo nell’era del virtuale: la mostra di Saverio Todaro
Arte contemporanea
«Non mi interessano i tuoi soldi, i tuoi gioielli o le tue proprietà. Io voglio il tuo tempo. Anzi me lo sono già preso e non te ne sei accorto. Hai fatto tutto da solo ed è stata una tua decisione volontaria. Tutto è successo il giorno in cui hai organizzato il funerale del tuo Privato senza una lacrima e senza un fiore». È in queste parole dello stesso artista, il senso ultimo della mostra di Saverio Todaro (Berna, Svizzera, 1970) Cronofagia, allestita nelle sale del Torrione Passari di Molfetta e curata da Gaetano Centrone. Nella sua manifesta etimologia, il titolo evoca una realtà che consuma il tempo individuale, privando l’essere umano di spazi di intimità e contemplazione, sostituendoli con un ritmo inesorabile imposto dalla società connessa; un tempo individuale divorato dall’iperconnettività del presente che, in maniera più o meno esplicita, sottrae a ciascuno porzioni di tempo e memoria. Ne consegue un’accusa manifesta all’oramai costante e condivisa pratica di delegare alla Rete la costruzione del sé, della nostra immagine e finanche della nostra identità.
Nato a Berna e formatosi a Torino, Saverio Todaro appartiene a una generazione di artisti che ha vissuto il passaggio dall’analogico al digitale, dal tangibile al virtuale. La sua pratica si è trasformata nel tempo, abbracciando temi sempre più legati all’immaterialità e alla virtualità. Nella sua ricerca decodifica le dinamiche della società, proponendo una riflessione spesso complessa e stratificata. La mostra di Molfetta, promossa dal Comune e visitabile fino al 31 gennaio 2025, è un viaggio filosofico ed emotivo attraverso le tensioni del presente. Il visitatore è chiamato a confrontarsi con la propria esistenza, con le scelte che compie ogni giorno, spesso inconsapevolmente, nel rapporto con il tempo e la tecnologia.
Idonea cornice all’evento, è Torrione Passari, sito nel centro storico cittadino e lambito dal mare, con una lunga e prestigiosa storia espositiva alle spalle, nel quale le opere di Todaro si pongono in un dialettico confronto con le strutture, contrapponendo alla lapidea solidità del passato l’effimera e spesso ingannevole costruzione del presente. Edificio cinquecentesco che trae il nome dalla nobile famiglia che a lungo ne ha detenuto la proprietà, nell’ultimo ventennio, dopo il restauro, ha ospitato eventi di rilievo, alcuni curati dallo stesso Centrone, altri da Giacomo Zaza, anche se non sempre con cadenza regolare, anzi a fasi intermittenti e spesso in assenza di una vera programmazione che ne salvaguardasse in toto la qualità delle proposte, oltre che la continuità delle stesse.
Articolata in 13 opere disposte sui due livelli della struttura, Cronofagia è una mostra ben allestita, carica di visioni suggestive e di stimolanti connessioni. Opere recenti, quasi tutte realizzate nell’ultimo anno, in cui l’artista, operando tra incisività del concettuale e persuasione di un linguaggio neopop, che si fa tale per la stessa scelta iconografica, attua una riflessione a vasto raggio sulla tecnocrazia contemporanea e sulla perdita di privacy che affligge la società odierna.
I loghi di Facebook, Twitter, Instagram, Whatsapp ma anche di Google Chrome, Snapchat e We Chat ritornano nelle singole opere, si affiancano e si combinano nelle forme e nei colori determinando nuovi loghi, talvolta inquietanti, stendardi di nuove dittature, più silenziose e meno crudeli ma non per questo meno impositive. Se in alcuni lavori di più spiccata vocazione concettuale, le parole Dio ed Io sono tradotte in codice binario, in una inquietante dicotomia tra l’individualità del sé l’impersonalità del linguaggio informatico, in altri si evincono più chiaramente le doti tecniche dell’artista. Emblematica la serie Followers in cui l’artista combina elementi tipici della ritrattistica di età moderna, da Petrus Christus a Magritte, con l’anonima figurina degli utenti social.
La mostra rappresenta un intenso percorso critico che invita a riflettere sulla natura del tempo e sulla condizione umana nell’era digitale. L’artista, attraverso la sua pratica, si confronta con la dimensione invisibile ma onnipresente del tempo, trasformandola in materia di indagine e denuncia. Le sue opere sono specchi della contemporaneità, rivelando il paradosso di una libertà percepita ma mai veramente posseduta.
L’opera Power (Self_Portrait) rappresenta un invito esplicito al pubblico: un pulsante che suggerisce la possibilità di un riavvio, di una rinascita, un ritorno all’essenziale. Todaro sembra proporre una via d’uscita, una possibilità di riconnettersi con se stessi al di fuori dei meccanismi alienanti della tecnologia e della società. Ma è davvero possibile premere quel pulsante? Oppure esso rimane un simbolo irraggiungibile, un’illusione che accentua il senso di impotenza del visitatore?
Todaro non si limita a descrivere ma orchestra una vera e propria drammaturgia del tempo, dove passato, presente e futuro si sovrappongono e si dissolvono. Il suo lavoro si radica in una tensione dialettica rivelando da un lato la necessità e il fascino della connessione globale, dall’altro una profonda inquietudine verso le conseguenze di questa rivoluzione.
L’artista ci pone dinanzi alla consapevolezza che ogni immagine, ogni traccia lasciata nei canali digitali contribuisce a creare una narrazione collettiva, ma lo fa a costo della frammentazione dell’identità individuale. Un ritorno alla vanitas, un rinnovato memento mori in cui la vita che fugge non è l’esistenza fisica ma la dimensione privata e la paura dell’oblio si è trasformata in un nuovo, inedito e tanto dibattuto diritto alla disconnessione.