15 gennaio 2025

exibart prize incontra Massimo Pastore

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Negli ultimi anni la mia ricerca si concentra sull’urgenza di indagare il concetto di “Accoglienza” legato ai flussi migratori

Massimo Pastore

Come hai scoperto la tua passione per l’arte? Ci sono stati momenti o persone particolari che hanno influenzato il tuo percorso?

È stato un percorso che si è formato gradualmente, da quando ero molto giovane in cui, seppur in maniera inconsapevole, iniziai la ricerca di una forma che mi consentisse di concretizzare idee ed emozioni. Mi sforzavo a disegnare, a dipingere e realizzare bassorilievi in cemento, ma i risultati non mi procuravano alcuna soddisfazione e mi liberavo, distruggendo la quasi totalità delle opere realizzate, conservando solo qualche testimonianza di quegli attraversamenti. Poi agli inizi degli anni novanta incontrai la persona che sarebbe diventato il mio compagno e con il quale ancora oggi condivido la vita, idee e progetti. Mi introdusse al mondo della fotografia e iniziai a lavorare come assistente di laboratorio di sviluppo e stampa del bianco e nero. In questo periodo iniziai a scattare fotografie con consapevolezza tecnica e concettuale. Trovai così il mezzo a me più congeniale: la macchina fotografica e iniziai a raccontare le mie storie.
Se avessi avuto il talento per la scrittura sarei diventato senza dubbio uno scrittore, sarei stato così libero da condizionamenti legati alla materia, allo spazio ed al tempo.

 

Ci sono temi o concetti ricorrenti che esplori attraverso la tua arte? Cosa ti ispira maggiormente? 

Di sicuro il tema ricorrente nella mia ricerca artistica è la “Relazione”, non solo con i soggetti ritratti come nel progetto corale “As You Like It”, ma anche nelle accezioni più intime e concettuali come la relazione tra visibile e invisibile, tra luci e ombre, passato e presente. Negli ultimi anni la mia ricerca si concentra sull’urgenza di indagare il concetto di “Accoglienza” legato ai flussi migratori e la relativa propaganda promossa da certi mezzi di informazione di massa e dai governi che si sono succeduti dal sessantacinquesimo esecutivo della Repubblica Italiana (Governo Conte 1) ad oggi.

 

Come pensi che il contesto culturale e sociale in cui vivi influenzi il tuo lavoro artistico?

Almeno che non si decida di fare “decorazione” o produrre opere rassicuranti, non può esserci la dualità arte / contesto culturale e sociale, le cose sono strettamente legate tra loro. Esso, il legame, può produrre effetti diversi che possono esplicitarsi in forme diverse.
Ho vissuto a Napoli per buona parte della mia vita e gli stimoli ricevuti sono stati indubbiamente variegati e fondamentali per la mia ricerca artistica. Come non si può non considerare la storia millenaria della mia città! Impossibile non lasciarsi penetrare dai suoi contrasti, dalla musica, dal teatro, dall’arte che da sempre anima ogni angolo di Napoli!
Ma vivere in una grande città, oltre alle opportunità che essa può offrire, se da un lato i suoi straordinari contrasti, la sua abbondanza prepotente mi ha riempito e formato dall’altro occorre sgomitare, farsi spazio, nuotare più veloce e meglio degli altri per restare a galla  e il rischio di annegare è alto. Da quattro anni ho lasciato la mia città, per vivere, con il mio compagno, in un borgo dove vivono diciotto persone, oltre la meraviglia della natura (che non è poco) il contesto culturale e sociale è piccolo, limitato e limitante, qui quel pieno di tutto fatto in tanti anni a Napoli è stato motore di un nuovo progetto che sta trasformando questo pugno di case in pietra sulle pendici del Vulcano di Roccamonfina in un Borgo Culturale vivo, dove si fa musica, teatro, incontri letterari, mostre d’arte contemporanea dove le vecchie stalle di casa nostra sono state  trasformate in un presidio culturale fisso.

 

Puoi raccontarci di un progetto o di un’opera a cui tieni particolarmente e spiegarci il motivo?

Vi racconto del progetto fotografico di arte pubblica “Santi Migranti”, che riavvolge – di poco o di secoli – il nastro della storia per inviare un messaggio di compassione e di riflessione. Santi Migranti è un logo/manifesto che nasce come reazione “gentile” ad una politica fortemente anti-migrante. Si innesta sull’azione collettiva #quiriposa, la cui missione è quella di sensibilizzare l’opinione pubblica collocando in giro per le città manifesti in formato A3 che riportano le storie delle vittime delle traversate in mare e le vicende legate ai grandi naufragi degli ultimi anni. Nasce da una riflessione sulle politiche anti migranti che hanno trovato la loro esasperazione durante il primo Governo Conte, quando Matteo Salvini era Ministro degli Interni. È bastato aggiungere una “S” per rendere positivo un concetto negativo, trasformando così Anti in Santi. Allora ecco Patrizia, Compatrona di Napoli, che partì da Costantinopoli per sfuggire ad un matrimonio imposto dal padre che naufragò sull’isolotto di Megaride a Napoli dove poi divenne una Santa molto amata in città, oppure  Brigida di Svezia che  per motivi diversi partì dalla sua terra per operare e morire in Italia, oggi Compatrona d’Europa. San Calogero, Sant’Egidio, Santa Restituta, Santa Oliva di Palermo, San Pietro, San Rocco, San Gaudioso, Sant’Erasmo, San Marco Evangelista, San Luca. Ma questa sorte toccò a molte altre persone, religiose e laiche, divenute poi icone popolari per diversi motivi. Rappresentazioni di persone che migrarono, per motivi religiosi, politici o sociali, come il Dalai Lama che nel 1958, in seguito alla repressione cinese  delle sommosse tibetane, fu costretto all’esilio, migrando in India, dove tutt’ora risiede. Allora eccoli avvolti tutti in una coperta isotermica, di quelle che si danno ai migranti o alle persone in difficoltà durante le fasi di primo soccorso. Migrare è nella natura umana, una necessità innata di sopravvivenza.
Più di 500 installazioni, per lo più pirata , sono state effettuate dal 2019 ad oggi, a Bruxelles in occasione delle elezioni europee del 2019, Torino, Roma, Napoli, Palermo, Cosenza e in altre località, fino a Lampedusa .

 

In che modo l’interazione con il pubblico influisce sulla tua pratica artistica? Ti capita di modificare il tuo lavoro in risposta ai feedback che ricevi?

Gli artisti sono come antenne che captano i segnali spesso confusi della società, provano a codificarli e li restituiscono ad essa sotto forma di opere d’arte, sono, a mio avviso il risultato dell’ascolto e dell’osservazione. È un processo, quello dell’interazione, che spesso si sviluppa prima o contestualmente alla creazione dell’opera. Ovviamente il linguaggio utilizzato non può suscitare reazioni uguali in tutti gli osservatori. C’è chi riesce a leggere l’intenzione dell’artista, chi la reinterpreta, chi prende le distanze o chi  resta indifferente. Considerando ciò non ho mai provato la sensazione o la necessità di modificare la mia ricerca in base ai diversi feedback che mi arrivano, troppo diversi tra loro ed eventualmente scegliere quali considerare sarebbe troppo complicato e poco rispettoso nei confronti delle mie idee, che non possono essere modificate per accontentare qualcuno.

 

Cosa pensi della commercializzazione dell’arte contemporanea? Pensi che possa compromettere l’integrità dell’opera o la sua funzione critica?

Penso che gli artisti, come tutti gli altri, devono pagare le bollette, potersi nutrire e soddisfare tutti i bisogni di una qualsiasi altra persona che fa un qualsiasi altro tipo di lavoro.  Esistono due livelli di commercializzazione, quello diretto in cui l’artista cede direttamente dietro un giusto corrispettivo all’acquirente la propria opera. Poi c’è il mercato dell’arte contemporanea, quello per pochi artisti eletti dalle grandi gallerie, dai critici, dai curatori, che producono  processi economici spesso folli, in cui gli artisti possono restare intrappolati. Ho un amico francese, un bravissimo pittore che negli settanta e 80 ebbe  in Francia e non solo un discreto successo con una serie di dipinti che ritraevano scale. La galleria che lo rappresentava era entusiasta ma l’autore fu costretto a continuare su quella scia creativa a discapito della stessa creatività. Quando decise di smettere di dipingere scale, non ne poteva più, la sua galleria, che nel frattempo aveva guadagnato molti soldi, lo abbandonò e iniziò il suo declino. Ma aveva ritrovato la sua libertà e ritrovata quella funzione critica smarrita.

 

Santi Migranti – Santa Restituta
Santi Migranti – Santa Restituta

 

 

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