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Tommaso Calabro sbarca a New York con il suo pop-up per tutto il mese di maggio, periodo che coincide le edizioni newyorkesi di Frieze e TEFAF. Situato al 545 W 23th Street, Chelsea, sull’isola di Manhattan, lo spazio sarà immerso nel cuore pulsante della scena artistica della Grande Mela, circondato dalle più importanti gallerie d’arte contemporanea della città, nel momento più atteso della stagione. All’ombra della High Line di Manhattan, il giovane gallerista italiano decide di portare in mostra due artisti a lui molto cari: Aldo Sergio e Harold Stevenson, una proposta alternativa per il mercato americano.
«Ho deciso di portare con me Aldo», racconta a exibart Tommaso Calabro, «perché è un artista con cui abbiamo già fatto un progetto a Milano, ed è un nome con cui stiamo facendo un lavoro duraturo nel tempo. Secondo me, può anche sposarsi bene con New York, che non è una città molto abituata a questi quadri così piccoli, così minuti; delle tele che sono delle vere e proprie, come le chiama l’artista, “preghiere”, delle riflessioni che lui fa su questi oggetti che diventano senza tempo. Mi piaceva questo contrasto tra la grandezza newyorkese, il fatto che l’arte contemporanea americana è soprattutto grande, e opere che sono di circa 25 cm di altezza, per cui molto minute. Sicuramente può essere una bella esperienza anche per l’artista, per dargli ulteriore visibilità, perché appunto noi di fiere, e di arte contemporanea soprattuto, abbiamo deciso di non farne».

E prosegue: «Per quanto riguarda Stevenson, è stato scelto perché l’avevamo presentato anche in occasione della Biennale di Venezia, ed era andata molto bene, e poi perché è un artista che in America non è stato esposto molto negli ultimi decenni. L’unica opera che ricordo di aver visto, personalmente, era al Jewish Museum, in una mostra sull’arte americana, per cui secondo me poteva essere significativo per il contesto. Inoltre, è un artista che colleziono da tanti anni, un artista che lavorava con Iolas, per cui penso che riproporlo anche a New York assieme ad Aldo Sergio, con un allestimento che sarà curato da Filippo Bisagni, possa creare un dialogo interessante tra i due e la città».
Con l’iniziativa di questo spazio temporaneo, aperto dall’1 al 31 maggio, Tommaso Calabro sceglie un modello espositivo in grado di superare le limitazioni economiche e temporali tipiche delle fiere, aprendo la strada verso un dialogo con i collezionisti e i vari addetti ai lavori più autentico. «Ho scelto, parlando anche con i miei colleghi, questo tipo di modello preferendolo a un’esperienza in fiera, anche per stare un po’ più di tempo sul territorio, poter coltivare dei rapporti che altrimenti in soli tre giorni di fiera non sarebbe possibile curare. Il mercato l’anno scorso è andato molto male, quest’anno sembra ci siano dei segni di ripresa, ma c’è ancora una grande incertezza, di riflesso economico-politico naturalmente. Anche quando si tratta di comprare, le tempistiche si sono un po’ allungate rispetto alle decisioni istantanee di due anni fa. Auspico di incontrare a New York numerose persone che si interessino alla nostra realtà a prescindere di quella che è la nostra posizione geografica. Speriamo questa scelta sia vincente sotto tutti i punti di vista».
Esperienze analoghe a quella di Tommaso Calabro non sono un caso isolato nel panorama internazionale, negli ultimi anni anche Gagosian, Hauser & Wirth, David Zwirner, Lehmann Maupin hanno abbracciato questo tipo di iniziative, rompendo la rigidità dei saloni tradizionali. Una scommessa audace, ma anche un invito a riconsiderare il valore del tempo e dei rapporti nel mondo dell’arte contemporanea.