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design_resoconti Quando la sedia è take away
Design
Un’azienda, un designer, un nuovo prodotto da presentare. Ed una cena davvero particolare. A metà tra performance e serata glam. Dove gli invitati si portano a casa la sedia per ricordo. Che, guarda un po’, è l’ultima creazione di Denis Santachiara…
Lo scorso 23 marzo, al Teatro dell’Arte di Milano, un’azienda, un designer e un attore di teatro hanno animato una serata alquanto insolita, come non succedeva da anni. Obiettivo? Presentare l’ultima “creatura” di Denis Santachiara, da anni impegnato nella ricerca di una nuova collocazione per la progettazione di oggetti d’uso comune, oltrepassando i canoni consueti della funzionalità e della “bella forma”. Gli universi disegnati da Santachiara ricalcano mondi nuovi, dove l’uomo e l’artificio non sono più così distanti, ma dialogano, spesso attraverso vere e proprie trovate tecnologiche. È il caso di numerosi progetti realizzati: dalle lampade che sembrano delle fiaccole accese, alle sedie che posseggono differenti personalità, cambiando di colore ogni volta che qualcuno le utilizza. Non a caso Alessandro Mendini, già agli inizi degli anni ’80, ha definito questo designer “tecnologo intimo”, poiché userebbe la fantasia tecnologica per fini sensoriali.
Questa volta invece, l’oggetto in questione, una sedia, è muto. A parlare in sua vece l’attore Matteo Giardini, che nel 2002 è stato eletto “miglior lettore di Dante”. I brani sono tratti da autori come Pirandello, Dante, Palazzeschi: un repertorio da manuale tra una portata e l’altra di un banchetto, strettamente su invito, denominato la cena degli opposti. L’attore sedeva dall’altra parte del palco, tra una quantità di sedie vuote, le stesse utilizzate dai convitati. La sedia in questione si chiama Scoop, ed è stata realizzata dall’azienda Steelmobil con un tecnopolimero composito multistrato, a densità variabile, atossico e riciclabile al 100%. “Dal punto di vista progettuale” – spiega Santachiara – “l’idea era quella di studiare una sedia che si ‘puntasse’ nella mente dell’utilizzatore come un segno tipico, un oggetto che si ponesse a metà strada fra la seduta e la poltroncina”.
Una sedia che non rimanda ad una sessualità definita ma è piuttosto un “ermafrodita”, come a rimarcare l’impossibilità di dialogo con il resto, così da destare il giusto interesse. Ma il vero “scoop” è arrivato a fine serata. Perché tutti gli invitati alla cena degli opposti hanno potuto portarsi a casa la sedia. Sono usciti dal teatro ognuno col prezioso oggetto in spalla, con i versi di Pirandello ancora freschi di lettura, così da cancellare finalmente l’idea di un design solo forme e fashion, sottilmente finto-domestico. Entrando finalmente in scena direttamente come protagonisti, persone che mangiano insieme, bevono del buon vino, usano sedie più o meno comode. E soprattutto se ne appropriano come di un bel libro, o di una giornata particolare.
In questo caso il design è solo uno dei protagonisti, poiché il gioco è affidato a qualcos’altro che è insieme buone letture, buon cibo, buona musica: tutti ugualmente in scena come una sedia. Di buon design, naturalmente.
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Quante cazzate! comunque se ne può arguire una duplice traduzione della realtà: il design sta proprio bene; il design sta proprio male.
Al lettore di questo interessante innovativo “Scoop”, e all’uomo di strada con la sua evoluzione da cavernicolo a civilizzato, ecco un’altro prodotto (ancora un’altro) da usare con l’intendimento della fantasia, della riflessione e della novità: è sempre una sedia!
Quello che traspare dal design delle ultime generazioni ( ma forse è più chiaro di quanto non che si veda ) è la trasformazione delle denotazioni degli oggetti verso nuove identità. In questo passaggio, c’è il rischio potenziale che delle connotazioni tutt’altro che attinenti, subentrino nella trasformazione, con un cambio di direzione nella cretività propria del design: quanto detto, può miracolosamente portare a dei risultati sorprendentemente significativi (la nuova identità trovata o elaborata) o a dei prodotti meramente ludici (qualcosa che non serve, non si userà, ed è fine a se stesso).
Comunque vada, c’è il marketing che salva nel bene e nel male ogni cosa. Il marketing è quell’arte di dire ed ingannare, di indurre e di far desiderare, di attrarre e di affliggere, di bramare la propria evoluzione in relazione al “new brand”.
Una volta ci si portava la sedia da casa per andare in chiesa (veramente, altri tempi!). Oggi si esce da teatro con la sedia. Quali tempi?
Angelo Errico