16 giugno 2005

Sbirri in tv. Perché così tanti?

 
di elisa giomi

La Squadra, Carabinieri, Distretto di Polizia, R.I.S. Vi dicono qualcosa? Esatto, si tratta di alcune delle serie televisive che hanno come protagonisti tutori dell’ordine. Che, guardacaso, lavorano tutti in squadra. Un piccolo saggio per riflettere su un genere televisivo che, oltreoceano, è un ‘fenomeno’ da quarant’anni. E che da noi è portato, specie in questi anni, all’eccesso. Banale entertainment o sottile strumento di potere…?

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Spesso li abbiamo trovati in coppia. Sguardo macho e moto per inseguimenti spettacolari sulle strade della California (I Chips). Oppure in versione femminile, alle prese con i malavitosi di New York e il maschilismo dei colleghi (come in New York New York, variante anti-patriarcato di Charlie’s Angels). Altre volte da soli: avevano impermeabile e aplomb da cancelliere tedesco (L’ispettore Derrick) oppure bermuda Hawaiani, Ferrari e villa con piscina (Magnum P. I.); sono stati disillusi e induriti dallo scontro con i poteri forti (La piovra) o piuttosto genuini come le province in cui si muovevano (Il commissario Montalbano).
Dopo il precedente di Hill Street Blues, cult in America (in Italia con il nome di Hill Street giorno e notte), molti preferiscono il lavoro di squadra. Anche le loro storie ci sono arrivate in una grande varietà di registri e tonalità: scandite dai ritmi adrenalici dell’action (Cops squadra speciale) o diluite nella cantilena buonista della commedia all’italiana (uno per tutti? Il maresciallo Rocca); immerse in atmosfere crude e realistiche (NYPD – New York Police Department) o rivestite da una generosa patina di glamour (Miami Vice). Alcune serie hanno insistito sui toni drammatici, altre hanno puntato sulla formula del giallo, a volte con varianti esoteriche (X-files) o virtuosismi high-tech (C.S.I. –Crime Scene Investigation, l’italiano R. I. S.- Delitti imperfetti).
Di chi stiamo parlando? Ovviamente di loro, i poliziotti della fiction televisiva. E non solo i poliziotti: intere flotte di investigatori privati con regolare porto d’armi, agenti dell’Fbi, rangers texani; in Italia soprattutto Carabinieri, ma anche avvocati, magistrati, medici legali e, ultimamente, persino le Fiamme Gialle…se si escludono i celerini (ma chissà, magari nella prossima stagione…) e i controllori di Trenitalia, praticamente il prodotto narrativo medio della tv ha portato in scena ogni tipologia di tutore della legge. La spiccata predilezione di questo medium per le forze dell’ordine potrebbe far pensare ad un’inquietante universo disciplinatorio, che sorveglia e punisce con ogni mezzo, avvalendosi di ritrovati tecnologici come dell’ausilio delle forme di vita più diverse: cowboy metropolitani se ne vanno in giro per le strade di Manhattan cavalcando (Uno sceriffo a cavallo), poliziotti inseguono bande di dinamitardi nella periferia di Vienna in compagnia di un pastore tedesco (Il commissario Rex), battono il cielo sopra Berlino a bordo di un elicottero (Helicops), fanno appostamenti nelle strade di Bologna in compagnia d’intellettuali anarcoidi (L’ispettore Sarti).
La televisione, però, prima ancora che una fucina di immaginario e un grande serbatoio di materiale simbolico, è soprattutto un sistema economico ed un apparato produttivo, organizzato da regole e filosofie che sono mutate nel corso del tempo. E’ in questa dimensione che devono essere spiegate le forme ed il senso del suo narrare. Le detection story rappresentano in realtà un’antica frequentazione del piccolo schermo, e compaiono nell’offerta di molti Paesi europei già negli anni ’60 e ’70, nella forma di adattamenti letterari da classici del giallo (firmati da Simenon, Doyle, Greene, Chesterton): in linea con il progetto educativo e culturale del servizio pubblico, le storie del piccolo schermo s’ispiravano infatti alle opere della letteratura internazionale. Naturalmente si tratta di produzioni che, proprio per questa matrice, risultavano molto diverse dal poliziesco di oggi.
Esso ha letteralmente travolto i palinsesti europei dagli anni ’80 in poi, quando l’ambiente competitivo creatosi dopo la rottura del monopolio televisivo impose la necessità di fidelizzare il pubblico e sottrarlo alla concorrenza: la fiction seriale statunitense -costituita per gran parte di cop shows– era il materiale ideale per riempire palinsesti adesso sempre più dilatati, perché poco costosa, riutilizzabile e già tagliata per gli inserimenti pubblicitari. Infine, quando i sistemi televisivi europei hanno abbandonato le caratteristiche artigianali per dotarsi di una fisionomia industriale, la produzione di fiction domestica è cresciuta ovunque e ovunque il poliziesco, nelle sue mille varianti, ha continuato ad offrire una preziosa risorsa, soprattutto per i programmi a carattere seriale. Per quale motivo? Aveva alle spalle consolidati codici di genere, e offriva vantaggi economici e drammaturgici. La centralità di caserme di polizia e questure consente di ambientare buona parte delle storie in interni, abbattendo i costi di produzione, ma anche di introdurre sviluppi narrativi sempre nuovi, legati alle vicende personali dei protagonisti, alle dinamiche sentimentali e professionali tra colleghi, ai numerosi “casi umani” con cui il lavoro li mette a contatto.
C’è, però, un dato singolare all’interno di questo trend. Se riscontrate una sovra-rappresentazione delle forze dell’ordine nella fiction italiana, pensate che in realtà da noi la tradizione produttiva del poliziesco è molto meno forte e radicata nei gusti del pubblico rispetto a quanto avviene negli Stati Uniti, in Francia, Germania o Inghilterra. In ogni paese il genere assume caratteristiche diverse, in buona parte espressione delle diverse identità culturali. Così, ad esempio, i poliziotti delle serie americane e francesi spesso sono veri antieroi, cinici e duri, vittime per primi di una società allo sbando in cui non s’illudono di poter ristabilire l’ordine; quelli italiani sono invece eroici difensori della legge, apostoli del credo istituzionale, uomini e donne di grande umanità e spessore. La visione problematica della realtà contemporanea tipica di molte serie estere lascia qui il posto ad una rappresentazione distensiva e non sempre verosimile, ispirata all’imperativo riconciliatorio che anima un po’ tutta la fiction nostrana. Tra le peculiarità dei questo poliziesco troviamo una nota dominante di leggerezza e humour -spesso affidati alla presenza di attori della commedia italiana (Proietti, Manfredi ecc.)– ed una quasi completa assenza di action. Il livello di violenza è poi molto più contenuto che altrove, anche per ovvie ragioni attinenti al tessuto sociale e culturale del Paese (Roma e Milano non presentano certo il livello di conflitto sociale ed anomia di Los Angeles o anche semplicemente di Marsiglia). Infine, il focus della narrazione è molto più spesso sul retroscena familiare, sulle vicende personali ed i rapporti umani tra colleghi che non sugli intrighi connessi alle vicende investigative, mentre l’ambientazione provinciale è nettamente preferita allo scenario metropolitano dei cop shows americani.
Certo, questi ultimi continuano ad essere abbondantemente trasmessi da noi, ma è minima l’influenza che esercitano sulla fiction prodotta in proprio: raramente si è tentato di clonarli, come è avvenuto in altri paesi, o anche semplicemente di domesticizzarli, optando piuttosto per scelte all’insegna di una totale prossimità culturale con il pubblico. I risultati, a volte, sono di dubbio gusto, oleografici e pieni di cliché, ma in un’offerta televisiva sempre più dominata da forze globalizzatrici e dall’egemonia della cultura statunitense, l’autonomia dei modelli produttivi e narrativi del poliziesco rappresenta se non proprio uno spazio di resistenza, perlomeno una zona franca.

elisa giomi

[exibart]

6 Commenti

  1. oppure un invito acritico a vedere uno stato perfetto, una polizia buona, che funziona, senza macchia…insomma uno dei tanti tentativi di farci credere alle favole…in tanto c’è sempre qualcuno che le ascolta

  2. questo articolo cosa ha a che fare con l’arte?
    lo ritengo decisamente fuori luogo e comunque assolutamente incodivisibile per il contenuto riportato.
    perchè invece non parlare del Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri che da sempre mette a segno brillantissime operazioni per preservare il nostro patrimonio artistico? questo sicuramente sarebbe stato argomento attinente con l’arte.

    infine evito altro commento perchè questo articolo non lo merita.

  3. Effettivamente, un articolo un po’ fuori luogo. Poi puzza un po’ di “gli alternatttivi”.
    A quando un bel articolo sul riciclaggio di denaro sporco nell’arte? Così sì che si puó poi parlare di caramba, banche, padroni, fondazioni, stato etc. Forza.

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