08 luglio 2005

Surrealismo sui sassi

 
Un amore reciproco, quello tra David Hare e la città di Matera. Che gli rende omaggio con una vasta antologica. Dalla fotografia alla scultura, Hare si dimostra un autentico figlio del surrealismo. Per le sculture predilige il metallo (meglio se riciclato), creando figure immaginarie che non sconfinano mai nell’astrattismo…

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A Matera David Hare (1917-1992) c’era già stato nel luglio del 1990. Rimase così colpito dal fascino del luogo (alcune sue opere furono esposte negli ambienti scavati nel tufo della chiesa di Santa Maria delle Virtù, in occasione della collettiva sulla scultura americana) che decise di donare alla città dei sassi l’opera in acciaio Mountaine Moonrise. Un reciproco feeling, quindi, quello tra l’artista statunitense e la città di Matera, che dal 9 luglio al 9 ottobre 2005 gli rende omaggio con un’importante antologica (80 sculture, 55 opere su carta, 24 fotografie e varie litografie). Una mostra, insomma, che ripercorre l’intero iter creativo di Hare, iniziato intorno al 1945 e terminato con la sua morte, nel 1992. Personaggio curioso, descritto dagli amici come un uomo geniale, un po’ distratto, artista bohèmien con “pedigree” che arriva all’arte passando per la chimica, la fisica e la medicina. Fu la madre, l’ereditiera Elizabeth Manning Sage Goodwin, che sembra avesse studiato a Parigi con Brancusi, a credere nelle potenzialità del figlio, permettendogli di aprire uno studio fotografico a Manhattan nel 1936. Il primo linguaggio artistico che David Hare sperimentò fu proprio la fotografia. Nella mostra di Matera è esposto anche un nucleo delle sue immagini fotografiche degli anni 1940-1943, che include alcuni ritratti di Pueblo Indians of New York as they are today (1940-41), un progetto dedicato agli indiani della riserva del New Mexico che gli fu commissionato dal Museo di Storia Naturale di New York. Per il resto Hare guardava molto alla fotografia di Man Ray e di Roul Ubac: “Era solito usare una fiamma per alterare i negativi in modo tale che le forme fotografate potessero diventare misteriosamente indeterminate, con i neri e i bianchi che si dissolvevano mescolandosi l’uno all’altro”, scrive Milton Gendel in un testo del catalogo.
L’interesse per la scultura arrivò in un secondo momento, frequentando a New York, tra il ’42 e il ’44, il gruppo dei surrealisti scappati dall’Europa nazista. Punto d’incontro era l’Atelier 17 al Greenwich Village: tra gli altri c’erano André Breton e la moglie Jacqueline Lamba (anche lei artista, che dopo poco sarebbe diventata la seconda moglie di David Hare), Max Ernst, Marcel Duchamp, Sebastian Matta. In questo periodo, pur dedicandosi ancora alla fotografia (alcune furono pubblicate sulla testata surrealista VVV, in cui il suo nome compare anche come redattore, accanto a Breton e Ernst), l’artista si avvicina alla scultura, lavorando il gesso, il cemento, la terracotta, la cera, prediligendo infine la flessibilità del metallo. Memore della lezione surrealista dell’automatismo, Hare sfida lo spazio, sfiorando il simbolismo già in quelle opere che furono esposte per la prima volta nel 1942, nella galleria newyorkese Peggy Guggenheim’s Art of this century. Jean-Paul Sartre, suo caro amico, dirà di lui: “La passione non analizza, non osserva: l’oggetto sorge improvvisamente nel suo universo, raccolto, strizzato, non più decomponibile; si vede l’orrendo di un viso non il colore degli occhi. E’ per questo motivo che, nonostante Hare non voglia rappresentare nulla, le sue figure sono sempre un aggrovigliarsi confuso di rappresentazioni contraddittorie, complesse, elaborate, pressate dall’emozione. Se si volesse definire la sua scultura, sarebbe meglio dire che essa non è esplorabile. Perché l’osservazione decompone e ricompone, va dal tutto alle parte e dalla parti al tutto in infiniti percorsi di andata e ritorno in cui ognuno è arricchimento.”

manuela de leonardis


David Hare – a cura di Giuseppe Appella, Ellen Russotto – Matera – Chiese rupestri Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci- tutti i giorni ore 10-21
ingresso € 5,00 – ridotto € 3,50
per informazioni tel. 0835337220
info@incongressmatera.it
ufficio stampa De Luca Comunicazioni m.deluca33@virgilio.it
Catalogo Edizioni della Cometa


[exibart]

1 commento

  1. “[…] chimica, la fisica e la medicina.”

    E secondo voi cosa c’è di più creativo?
    Ci vuole una enorme immaginazione per essere un chimico, un fisico, un medico.
    Provate, ad esempio, ad immaginare la struttura delle molecole, degli atomi, le reazioni chimiche, fisiche e il corpo umano.
    Si tratta di figurarsele nella mente (in collaborazione con la fantasia).

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