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I criteri di indagine, analisi e progetto tradizionali infatti non valgono più quando ci si confronta con un’ entità urbana mutevole e oggi poco controllabile: è la “metropoli fatta di accatastamenti di immagini, di figure architettoniche, di violenti contrasti”, come la definisce Wenders. Le città storiche nascevano e crescevano, secondo Della Pergola, con l’intento di “inglobare l’universale nel particolare, trasferire il cielo in un luogo specifico”, di materializzare “in un certa forma l’inconscio collettivo di una civiltà riuscendo a spazializzare le relazioni territoriali”. Attualmente queste relazioni non riescono a farsi coscienza collettiva, poiché le forme e i caratteri di tali rapporti si modificano continuamente e si dilatano sempre più e, grazie alla loro immateralità e istantaneità, non hanno più bisogno di un supporto spaziale per realizzarsi.
La crisi dei modelli urbani che miravano ad ottenere in terra un ordine perfetto (spaziale, sociale, produttivo ecc.), è da valutarsi positivamente perché precede necessariamente una scelta. La città telematica, invasa da luci, pubblicità, forme e colori che la rendono quoitidianamente cangiante, può costituire una nuova tappa dell’evoluzione della forma e del concetto di città. All’interno di essa i vuoti urbani acquistano un’importanza sempre maggiore: essi costituiscono una rete di connessione che é base materiale su cui la nuova “blobcittà” si modifica e si muove. Da queste spazialità potenziali si può partire per dare vita ad un nuovo processo di antropizzazione che non si svolga, come vorrebbe Cetica,”attraverso la mobilità”, bensì, per tornare a Wenders, attraverso la cura di “tutto ciò che è piccolo, che conferisce alle grandi cose una prospettiva da cui vederle[ e ] che ci permette di ricaricarci contro lo strapotere dei grandi complessi”. I saggi ed i casi presentati in questo allegato testimoniano la diffusione di una nuova sensibilità ambientale anche in Italia, dove la resistenza del tessuto storico delle città ad ogni trasformazione rende particolarmente delicati gli interventi di carattere urbanistico.
Il villaggio globale nasconde insidie e speranze che solo il tempo potrà svelare, ma oggi abbiamo di nuovo la possibilità di ripensare globalmente al significato e ai contenuti che vogliamo dare all’architettura intesa come arte del costruire, come pensiero utopico, come “luogo dove costruire l’idea (cui) solo la morale può dare struttura”.
Francesca Pagnoncelli
[exibart]
Complimenti per l’articolo. Molto interessante.
Sarebbero molto apprezzati ulteriori approfondimenti sullo stesso tema.
l’intenzione della redazione è proprio quella di dedicare una sezione della pagina “architettura” a questo tema e ai quesiti, alle perplessità, domande che porta inevitabilmente con sè ! Attendiamo consigli, suggerimenti, segnalazioni anche dai lettori ! grazie