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fino al 14.IX.2006 Contempor’art Brescia, Castello
altrecittà
Prosegue il percorso nella storia della fotografia al femminile della Biennale di Fotografia. Una mostra che fa riflettere. Tra visioni, luoghi silenziosi ed effetti pittorici. Nove artiste a confronto...
Concepita come continuazione della mostra “storica” in Santa Giulia, Contempor’art si presenta volutamente con poche opere, scelte dalla triade galleristica composta da Massimo Minini, Albero Peola e Valerio Tazzetti.
Il Piccolo Miglio nel Castello di Brescia si presta particolarmente bene a questo tipo di operazione, essendo uno spazio sobrio e al tempo stesso suggestivo. L’unica pecca sono forse le didascalie, assenti accanto ai rispettivi quadri e collocate un po’ confusamente su un’unica parete. La mostra è uno sguardo al contemporaneo piuttosto efficace, che presenta un confronto tra i lavori di nove artiste, tanto diverse quanto simili. Ad accomunarle è forse la riflessione semiotica sul linguaggio artistico, la ricerca antropologica sui costumi, gli usi, i simboli, le icone, la filosofia della nostra cultura.
Da Monica Carocci (Roma, 1966), che tortura l’immagine fotografica con degli acidi per ottenere effetti pittorici visionari, a Sophy Rickett (Londra, 1970) che riempie di significato uno spazio nero, dal quale emergono alberi o raccordi stradali, luoghi che individuano un percorso o un semplice transito verso una destinazione. Sulla scia dei “non luoghi” è anche Candida Höfer (Eberswalde, 1944) che ama immortalare spazi pubblici come musei, alberghi, stazioni, teatri o in questo caso università: a colpirla è il silenzio dello spazio vissuto e l’emozione di un luogo d’incontro dove l’uomo non compare. Immortala la quiete come fosse la “rarità” del nostro tempo e non nasconde una critica, seppur sottile, nei confronti della condizione umana. Più mordace è invece Sandy Skoglund (Quicy, Massachusetts 1946) che dagli anni Ottanta riesce a fondere bizzarria surrealista e immaginario pop, in scenari a metà tra fantasia e realtà. I suoi lavori sono il risultato di installazioni studiate e preparate per mesi prima di essere fotografate. Non c’è mai armonia, i colori sono stridenti, gli animali immaginari, le situazioni rappresentate ai limiti dell’assurdo. Così troviamo scoiattoli colorati che invadono una stanza rossa, o una macchina semi demolita stracolma di forchette di plastica. Ogni particolare viene studiato e ogni oggetto presente sulla scena non è frutto di un ritocco digitale, quanto di una lunga fase di costruzione mediante resine sintetiche. È una realtà immaginaria e al tempo stesso reale, tanto assurda quanto attuale. La critica è tagliente, spudorata e insieme ironica, che grazie alla fantasia riesce a salvare un po’ di senso in tanto paradosso. Presente anche Marina Abramovic (Belgrado, 1946), ma con la medesima opera –i cinque pezzi di Human Receivers– esposta da Minini durante nell’edizione 2004.
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a cura di Massimo Minini, Albero Peola, Valerio Tazzetti;
dal 9 giugno al 14 settembre 2006, orari: da martedì a domenica 10 – 13 e 14 – 18; chiuso il lunedì. Biglietto cumulativo euro 10, ridotto 6 euro
[exibart]