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fino al 4.II.2007 Carmelo Zotti Milano, Museo della Permanente
milano
Cento opere del maestro triestino tra onirismo e teatralità. Cinquant'anni di pittura vissuti tra epica, racconto ed elegia. Tra mostri, archetipi e misteriosi simbolismi. A Milano va in scena il sogno. E l’incubo...
Onirico, inquieto ed enigmatico. Popolato di mostri, elefanti, figure alate, sfingi e mummie. Eccolo, alla Permanente di Milano, lo strano mondo di Carmelo Zotti, omaggiato di una vasta antologica che lascia intuire sotto una Madonnina finalmente infreddolita i colori e i sapori caldi dell’Oriente.
Quello di Zotti, artista triestino nato da padre istriano, un po’ per eredità culturale (la madre era cipriota), un po’ per esperienze personali (i viaggi in Egitto, in India e in Birmania) è un Oriente non storico, ma vissuto e interiorizzato, paragonabile all’istinto, per definizione irrazionale, che ci portiamo dentro.
Diciamolo subito. La pittura di Zotti non è “bella”, se con questo termine si intende, nel comune senso estetico, l’armonia, il giusto accordo, la proporzione. Espressionistici i colori, materici i tratti, pesanti le figure. Caratteristiche che se da un lato allontanano la sua arte dal canone classico, dall’altro le conferiscono una singolare, quasi mistica, forza, che risente dei tormenti e delle estasi di mezzo secolo d’arte, vissuti tutti –lui, classe 1933- in bilico tra accettazioni e ripensamenti. Tra l’Informale e la Pop Art, tra le suggestioni del neo-picassismo francese e il fascino inesorabile di Dubuffet.
Nelle tele di Zotti affiora un universo apparentemente fisso, ma in realtà in costante movimento. A partire dai simboli, arcaici ed evocativi, quasi ancestrali. Come la mano, che racchiude in sé il mistero del comunicare (la gestualità), ma anche del fare. Ecco allora l’India far capolino in Ganesha, il dio con la testa d’elefante, “signore di tutti gli esseri” e portatore di prosperità e fortuna. Ecco l’Egitto evocato dalle mummie e dalle piramidi, financo dalle sfingi, mute presenze che alludono ad insondabili misteri. L’America Latina, il Messico in particolare, alligna invece nell’esplosione di colori a tratti quasi violenta, senza ripensamenti, figlia che discende in linea diretta tanto dai murales di Orozco quanto dai variopinti tessuti aztechi e maya, riletti magari alla luce dei tormenti di Frida Kahlo. Le chimere e i mostri alati, poi, dall’Oriente tornano -passando per il Borges del Libro degli esseri immaginari– a popolare sogni e incubi, degni ispiratori già della torbida fantasia degli artisti romanici, come negli stessi anni metteva in luce Jurgis Baltrusaitis. Ma questo mondo che sembra fuori dal tempo non assume, come in un certo de Chirico, i tratti di un onirismo cristallizzato, simbolico e visionario. Semmai -tanto per restare in famiglia- si avvicina di più all’oscura mutevolezza di un Alberto Savinio, assumendo, come sottolinea Flaminio Gualdoni, curatore con Dino Marangon della mostra, “una meno esibita, ma non meno retoricamente padroneggiata, teatralità”.
La rassegna milanese, raddoppiando nel numero di tele esposte quella pur importante di San Gimignano (2003), propone un centinaio di lavori del maestro che ne sintetizzano l’intero percorso artistico, dalle prime esperienze nella scuola veneziana di Bruno Saetti all’infatuazione per l’informale, dall’incontro-scontro con la Pop Art (Biennale del ’64) alle tendenze degli ultimi anni, meno inclini al richiamo mitico e più aderenti all’esperienza del vissuto. L’uso del colore, da evocativo e bizantineggiante degli inizi, si fa via via più acceso ed espressionista. La pittura è narrativa e si muove tra figurazione e astrazione, tra memoria e storia. Accanto a opere note come le anticonformiste Pitture e la dirompente Auschwitz (1958) troviamo dunque lavori come il metaforico Personaggio (1967-69) e le pietrose Figure. Su su fino alle recenti rarefazioni di Bagnante (1992) e Oracolo (1991), e alla sconvolgente drammaticità di Cristo in Bosnia (1994), tra le più icastiche rappresentazioni di sofferenza mai dipinte.
Accompagna la mostra il volume L’epica, il racconto, l’elegia. 1956-2006. Cinquant’anni di pittura, pubblicato da Skira con un ampio contributo critico dello stesso Gualdoni, che si configura come un vero e proprio catalogo generale dell’opera di Zotti. Un artista che -il ritratto è ancora del critico- “dialoga ormai definitivamente, in serrata intimità, con il suo mondo di lucidi fantasmi e insieme con un’idea trepida, meditativamente assorta, di pittura”.
elena percivaldi
mostra visitata il 10 gennaio 2007
Carmelo Zotti. Antologica
Milano, Museo della Permanente (via Turati 34). Orari: da martedì a domenica, dalle 10 alle 20; giovedì fino alle 22. Lunedì chiuso.
Catalogo Skira. – Per informazioni e prenotazioni: tel. +39 02 6599803, e-mail: permanente@tin.it – Sito web: www.lapermanente-milano.it
www.carmelozotti.it
[exibart]