23 marzo 2001

A Roma restauro di ‘Venere e Amore’ del Ghirlandaio

 
Svelate le nudità della Venere di Michele di Ridolfo del Ghirlandaio. L’intrigante dipinto manierista, dopo un attento restauro, ritorna a Palazzo Colonna in tutto il suo splendore…

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Nella splendida cornice della Galleria di Palazzo Colonna a Roma, la tavola raffigurante “Venere e Amore”, dopo il paziente restauro sponsorizzato dalla casa cosmetica Estée Lauder – Lekythos, ritrova l’originario splendore, regalandoci inaspettate sorprese. La paternità del dipinto è stata assegnata senza alcun dubbio a Michele di Ridolfo del Ghirlandaio, artista fiorentino, appartenente alla seconda generazione manierista. Nella seconda metà del XVI secolo, egli realizzò il dipinto in questione insieme ad altre due tavole raffiguranti “L’Aurora” e “La Notte”, custodite nella medesima galleria ed ispirate in maniera evidente alle celebri statue michelangiolesche nelle Cappelle Medicee a Firenze.

L’intero gruppo di quadri giunse nella collezione Colonna in seguito al matrimonio avvenuto nel 1718 tra Fabrizio Colonna e Caterina Zeffirina Salviati, che portò in dote un cospicuo numero di opere d’arte, tra cui la splendida “Venere”. La storia del dipinto è particolarmente complessa e inizialmente è legata a quella di un cartone, oggi disperso, che Michelangelo realizzò nel 1533-34 per l’amico Bartolomeo Bettini. Da questo cartone il Pontormo ne trasse un dipinto, un tempo proprietà dei Medici e attualmente conservato presso la Galleria dell’Accademia di Firenze. E’ chiaro che l’opera del Pontormo ed il cartone michelangiolesco ispirarono ed affascinarono molti artisti per il carattere particolarmente seducente del suo soggetto. C’è da dire inoltre che tra il 1830-40 il quadro fu oggetto di una pesante ridipintura. In piena Restaurazione ed investiti dal clima austero del pontificato di Gregorio XVI, si ordinò ad un pittore accademico, di cui non si conosce il nome, di rivestire le nudità delle Venere con un panneggio. Prima dell’intervento, i restauratori si trovarono di fronte ad un dipinto alterato dalle pesanti vernici ingiallite che ne falsavano le tonalità fredde. Una serie di moderne indagini diagnostiche ad infrarosso colore, fluorescenza ed ultravioletti, affiancate dall’analisi stratigrafica, hanno confermato la datazione ottocentesca della ridipintura, accertando l’alta qualità pittorica del dipinto originale. Si è quindi proceduto con una cauta pulitura a pennello in cui è stata impiegata una mistura di alcool, acqua distillata, ammonio idrato e cera sbiancata in emulsione, mentre i ritocchi sono stati eseguiti a velature e a selezione cromatica, per le lacune più estese. La pulitura ha svelato una tavolozza fatta di tonalità fredde e brillanti.

Si va dal blu intenso dei lapislazzuli per il manto ed il cielo, ai rossi accesi delle lacche per la faretra e le rose, sino alle terre per i toni bruni del paesaggio, reso con pennellate dense e pastose. Con sorpresa i restauratori si sono trovati a “spogliare” letteralmente la Venere, scoprendone un incarnato trasparente, sottolineato da un delicato chiaroscuro. Tra gli aspetti più intriganti di questo affascinante dipinto è senza dubbio il complesso tessuto di significati simbolici che si intreccia intorno alle due figure. Venere sensuale seduce Cupido, personificazione dell’amore irrazionale, e allo stesso tempo lo inganna, disarmandolo delle sue frecce. Esaltazione della bellezza, il quadro è anche un ammonimento verso l’amore sensuale, reso ancora più esplicito da una serie di elementi come le rose, allusione alla transitorietà delle passioni, o le maschere che simboleggiano l’inganno e l’apparenza fallace.

Francesca Matarrese



Il dipinto restaurato si può ammirare visitando la Galleria di Palazzo Colonna a Roma, aperta ogni sabato mattina dalle ore 9 alle ore 13, con ingresso a Via della Pilotta, 17. Per informazioni Tel. 06/6784350.



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