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fino al 10.VI.2007 Piccio. L’ultimo romantico Cremona, Santa Maria della Pietà
altrecittà
La (ri)scoperta di un grande dimenticato del nostro Ottocento. Geniale ritrattista, temperamento romantico, partendo dal realismo lombardo scompose colore e forma trasfigurando il vero in chiave psicologica...
Grandi occhi scuri, viso affilato, barba lunga e capelli spettinati, aria bohémienne. Sembra il prototipo dell’eroe romantico quello che emerge nella lunga serie di autoritratti che dipinse lungo tutta la sua vita, quasi un testamento spirituale. Così come romantica fu la sua scomparsa, avvenuta nel 1873 tra i flutti del fiume Po dove amava fare lunghe nuotate, il cadavere trascinato dalla corrente e ripescato giorni dopo come quello di Percy Bysshe Shelley, annegato cinquant’anni prima tra Lerici e Viareggio.
Certo tra i tanti pittori del nostro maltrattato Ottocento –fatti salvi Macchiaioli e poc’altro –, Giovanni Carnovali detto il Piccio (piccolo, per la sua precocità, in lumbard) è uno dei meno popolari. E a torto, perché pur non essendo un “sovversivo” –ché anzi la tradizione, specie lombarda, è parte fondamentale della sua poetica-, fu prodigioso disegnatore e geniale ritrattista, capace di confrontarsi con le sperimentazioni più moderne in ambito europeo e di anticipare, a livello di soluzioni formali, scapigliati, divisionisti e futuristi. Non troppo osannato in vita, dovette attendere però parecchio prima di essere rivalutato. Ma quando accadde, lo fu da Previati, Carrà e, soprattutto, de Chirico, che lo vide addirittura superiore a Delacroix.
La mostra cremonese, curata da Fernando Mazzocca al culmine di un progetto avviato in occasione del bicentenario della nascita dell’artista (Montegrino Valtravaglia, nel Varesotto, 1804), ripercorre attraverso quasi 150 tra dipinti, disegni e bozzetti suddivisi in nove sezioni la carriera del Piccio proponendo anche un interessante confronto con pittori a lui affini come l’Appiani, il Trécourt, il Faruffini e il maestro Giuseppe Diotti, presso cui aveva studiato alla Carrara di Bergamo.
Si spazia dagli autoritratti –così abbondanti da accostarlo a Rembrandt- alla pittura sacra e storica, dai piccoli dipinti caratterizzati da audace sperimentalismo cromatico al realismo spinto dei ritratti di personalità bergamasche –come quello della contessa Anastasia Spini, dissacrante e ironico nella riproduzione impietosa della vecchia zitella in tutta la sua bruttezza-, fino al naturalismo panteistico dei nudi e dei paesaggi riprodotti en plein air che tradiscono i primi l’influenza di Giorgione, Tiziano, Boucher e Fragonard, i secondi dei pittori di Barbizon e in certi tratti addirittura di Turner.
Il meglio di sé, però, Piccio lo diede forse nei ritratti degli ultimi anni, in cui, superata la virtuosistica ricerca della somiglianza, prevale la volontà di esprimere, attraverso una nuova tecnica costruttiva a macchie di colore giustapposte, in “dissolvenza”, la passione e il carattere dell’effigiato. Le Flore, i ritratti di donne e di bambini diventano così altrettante occasioni per scavare nell’intimo dei personaggi, metterne a nudo ora l’ironia, ora la fragilità, ora il carattere trasognato e malinconico, gettando semi che sarebbero stati raccolti da Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni.
Tra i pregi della mostra (oltre alla ricostruzione della “Sala ovale” della famiglia Berizzi, mentre fa difetto il troppo buio, ancorché suggestivo, delle sale) l’aver ricomposto la lunga gestazione della controversa pala di Agar nel deserto, commissionata nel 1840 dalla parrocchiale di Alzano. Costellato di ripensamenti, teso tra l’ansia del confronto con gli antichi (Tintoretto e Lotto) e i coevi (Appiani, Camuccini, Diotti) e la volontà di produrre un capolavoro davvero “moderno”, l’iter si concluse col rifiuto dell’opera da parte dei committenti e una violenta polemica tra Pasino Locatelli (che la stroncò definendola “arcadica”) e il Trécourt (che invece la difese con passione): incarnazione dello scontro tra due estetiche opposte, il romanticismo “storico”, tutto fedeltà “filologica” (financo oleografica) al contesto, e il romanticismo “emotivo”, che privilegiava la resa emozionale delle passioni. In verità pochi avevano capito ciò che il Piccio stava elaborando: un’ardita sperimentazione coloristica che non aveva eguali. E proprio qui sta la sua grandezza: l’aver sfaldato progressivamente colore e materia trasfigurando il vero in chiave psicologica e mitica. Partendo dal realismo lombardo appreso a Bergamo, il “piccolo” pittore di Montegrino era arrivato a prefigurare le avanguardie e de Chirico.
elena percivaldi
mostra visitata il 25 marzo 2007
Piccio. L’ultimo Romantico
Cremona, Centro culturale Santa Maria della Pietà, Piazza Papa Giovanni XXIII
Orari: dal martedì al sabato, ore 9-19. Domenica e festivi, ore 10-19. Chiusa il lunedì, tranne il 9 aprile 2007. Apertura straordinaria martedì 1° maggio 2007. Biglietti e agevolazioni: Intero: € 9,00; ridotto: € 7,00 (militari, ragazzi fino a 18 anni, studenti universitari, ultrasessantenni, comitive di almeno 15 persone con prenotazione obbligatoria, possessori di: biglietto ferroviario in arrivo a Cremona, tessere TCI e FAI, disabili, visitatori di mostre contemporanee collegate). Ridotto speciale: € 5,00 (scuole e possessori di Apic Card e Cremona City Card). Ingresso libero: bambini fino a 6 anni, accompagnatori di scolaresche o di comitive di almeno 15 persone. Catalogo Silvana Editoriale, € 35,00. Informazioni e prenotazioni: APIC Cremona – Biglietteria tel. +39 0372 31222 (dal martedì alla domenica) – apic@digicolor.net – www.cremonamostre.it
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