-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
fino al 5.IX.2007 The Shapes of Space New York, Guggenheim Museum
around
Un frullato improvvisato dei gioielli di casa. Un museo che marcia spedito verso un’espansione senza limiti. Ma, anche intrappolati in una mostra pretenziosa, i capolavori del Guggenheim brillano di luce propria…
“Ogni periodo culturale ha la propria concezione di spazio, ma c’è bisogno di tempo prima di averne coscienza”, scriveva László Moholy-Nagy. Suona stranamente tombale la lapidaria affermazione dell’artista ungherese nell’atrio della mitica spirale di Wright: di fianco, una pista da ballo con tanto di musica assordante e luci lampeggianti, ispirata alla griglia di Mondrian, (Untitled. Dance Floor, 1996, di Piotr Uklanski) viene presentata come “spazio conviviale di interazione sociale”.
Rassegnatevi: sono arrivati i tempi in cui i musei si trasformano in discoteche. Oppure in catene commerciali, vista la smania di espansione del Guggenheim: dopo Bilbao e aspettando Abu Dubai, è il turno di Las Vegas, in collaborazione con l’Hermitage. In attesa di concludere il restauro della facciata, lungo la spirale di Frank Lloyd Wright, capolavori e acquisizioni recenti vengono mescolati alla rinfusa, all’interno di un’ipotetica inchiesta sulle idee di spazio dell’arte contemporanea.
The Shapes of Space non è altro che un confronto a intervalli regolari fra numerose presenze contemporanee e i cavalli di battaglia della collezione: dai padri fondatori (Mondrian, Kandinsky) all’espressionismo astratto (Agnes Martin, Mark Rothko, Ad Reinhardt), al minimalismo (Carl Andre, Larry Bell). Senza alcuna chiarezza sistematica, si passa in rassegna il panorama odierno come un mare magnum sottoposto a categorizzazioni approssimative e superficiali, quasi un’appendice postuma del Novecento. Spacciando questa passerella acritica per un modo di riportare le diverse voci della ricerca contemporanea, l’uso politico dello spazio architettonico, la complessità dei significati degli spazi domestici, la condensazione della realtà in forme astratte sono i punti di una riflessione traballante condotta all’insegna di un pluralismo inconcludente.
Nonostante tutto, è difficile resistere alla seduzione della poderosa energia costruttivista di Naum Gabo (Column, 1923), della dilaniante tragicità di Alberto Giacometti (Diego, 1953), di Several Circles (1926) di Kandinsky. Anche fra i contemporanei emergono piacevoli sorprese: Her, Her, Her, and Her (2002–03) di Roni Horn è un ritratto invisibile di una femminilità nascosta, intravista in 64 fotografie di uno spogliatoio di Reykjavik; in Mandalay Bay (Las Vegas) (1999) di Sarah Morris le intersezioni geometriche e cromatiche riportano ad una sistematicità analitica le luci abbaglianti del tempio dell’azzardo americano. Nello spazio di Pipilotti Rist (Himalaya’s Sister’s Living Room, 2000), congestionato da un caos postmoderno, va in scena l’incompiutezza fagocitante dei simulacri quotidiani, mentre il video Dough (2006) di Mika Rottenberg, proiettato in un’angusta casetta di legno, è un esilarante viaggio in un’improbabile catena di montaggio che, partendo dalle lacrime di un’impiegata obesa che sniffa fiori di carta, produce un impasto inquietante, accuratamente imbustato sotto vuoto.
Allora, se l’indubitabile qualità della collezione parla da sola (il pubblico italiano ne ha avuto prova recentemente nell’indimenticabile Capolavori del Guggenheim, alle Scuderie del Quirinale nel 2005), questo pretenzioso tentativo di leggere la ricerca contemporanea alla luce del filone astrattismo-minimalismo sembra figlio di un protagonismo curatoriale (Ted Mann, Nat Trotman, Kevin Lotery, un giovane trio guidato da Nancy Spector) e di un’istituzione recentemente preda della sua voracità.
articoli correlati
Capolavori del Guggenheim a Roma
Il pit stop della spirale
claudio gulli
mostra visitata il 25 luglio 2007
dal 14 aprile al 5 settembre – The Shapes of Space
Solomon R. Guggenheim Museum, 1071 5th Avenue (at 89th Street)
Orari Sabato–Mercoledì 10 –17:45 Venerdì 10–19:45 Chiuso il Giovedì
Ogni venerdì pomeriggio dalle 17:45 il museo supporta il Pay What You Wish, durante il quale l’ingresso è a offerta libera. Gli ultimi biglietti vengono rilasciati alle 19:15. I biglietti non possono essere prenotati in anticipo e non sono gratuiti. Ingresso: Adulti $18 Studenti e Anziani (oltre i 65 anni) con documento $15 Sotto i 12 anni grautito – Gratuito per i Membri
Durante il restauro del museo alcune gallerie possono essere chiuse
www.guggenheim.org – Info: 212 423 3500
[exibart]