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10
ottobre 2007
fino al 4.XI.2007 A bon droyt Aosta, Museo Archeologico
torino
I cavalieri e le armi, più che le donne e gli amori. In una bella esposizione che evoca il lato poetico e leggendario della guerra. Senza tuttavia dimenticarne il volto truce...
Strumenti atti a offendere, anzi a uccidere. Ma anche oggetti di grande valore estetico e dal forte significato simbolico, emblema di morte ma anche di forza e potenza virile, che si esplica ad esempio nella ben poco mascherata forma fallica. A usarla nella storia sono stati in molti. I santi guerrieri -Giorgio e l’arcangelo Michele in primis- che la sguainarono per sconfiggere nientemeno che il diavolo. I cavalieri, che la usavano per fare la guerra ma anche come status symbol. Gli uomini liberi, che se la portavano dietro come nel Far West le Colt perché, si sa, la sicurezza non è mai troppa. E persino le donne, come le terribili Amazzoni, la regina celtica Boudicca-Boadicea, Matilde di Canossa condottiera di eserciti, Giovanna D’Arco salvatrice della patria francese.
Le spade, insomma, da sempre sono un concentrato di fascino. Ambiguo, per quel loro dare la morte ma anche proteggere la vita, i deboli, gli ammalati, gli infermi. Soprattutto, richiamano alla mente epoche ormai tramontate e valori -quelli cavallereschi- diventati epici e oggi quasi del tutto dimenticati. A risvegliarli ci pensa la bella mostra A bon droyt, allestita al Museo Archeologico di Aosta, davvero un piccolo gioiello nel suo genere. Curata da Mario Scalini, svela alla vista una quarantina di spade tra le più belle d’Europa, e se anche nella città di Sant’Orso non c’è né Excalibur né Durlindana, ciò non significa che la mostra non possa attirare qualcun altro oltre agli appassionati di armi e ai cultori di storia antica.
L’allestimento è infatti accattivante, grazie anche ai supporti multimediali. Sembra di fare un salto indietro nei secoli. Ai tempi delle donne, dei cavalier, dell’armi e degli amori di ariostesca memoria. Anzi prima. Se il titolo della mostra rievoca la corte dei Visconti, dove nientemeno che il Petrarca, per il matrimonio di Gian Galeazzo con Isabella di Valois, coniò il motto, destinato a diventare famoso (A bon droyt a buon diritto), immortalato sul “brieve” che avvolge i gruppi di spade sul mazzo dei tarocchi usati a Milano, i primi cenni sono per il gladium latino, usato anche ad Aosta, che sorse su un castrum, cioè su un accampamento romano. Si passa poi al frontale dell’elmo del sovrano longobardo Agilulfo, simbolo di potere e regalità, alle spade di Ludovico il Moro, di Giovanni de’ Medici, di Estorre Visconti, persino di Bonarroto, padre di Michelangelo, anche lui “gentiluomo di cappa e spada”. Quello che emerge dalla mostra, però, non è affatto un Medioevo da cartolina, fatto di belle dame che sospirano davanti ai loro spasimanti in armatura. Certo, la metafora del “guerriero d’amore” è presente. In genere è abusata. Non in questo caso. Ci sono, Tristano e Isotta, Lancillotto e Ginevra che occhieggiano dalle pagine miniate dei codici custoditi nelle biblioteche di Firenze e Modena, simile a uno di quelli che, galeotto, indusse Paolo e Francesca ad amarsi. Ma ci sono anche le a dir poco inquietanti armi appartenute a Renato d’Angiò, il compagno d’arme di Giovanna d’Arco. Sulla sua spada compare per la prima volta in assoluto l’effige della Pulzella d’Orléans. E un brivido corre lungo la schiena, a pensare che fu fatta santa nel 1920, archiviato il macello della Grande Guerra coi suoi oltre nove milioni di morti.
I pezzi in mostra non datano oltre il Rinascimento. Non che da allora di spade non se ne siano più viste roteare sui cambi di battaglia, né nei duelli all’arma bianca. Il problema è che da allora a prevalere fu, grazie alla non comparabile potenza distruttiva e alla possibilità di evitare i corpo a corpo, la polvere da sparo. Certo, con il trionfo della pistola e del fucile andarono perdendosi quei valori millenari che avevano regolato, in un codice non scritto ma rispettato da tutti, l’arte della guerra. Dallo sterminio degli indios d’America, sopraffatti dai conquistadores anche grazie alla potenza di Vulcano più che di Marte, alle bombe atomiche e ai missili “intelligenti”, la strada è forse più breve di quanto si pensi.
Le spade, insomma, da sempre sono un concentrato di fascino. Ambiguo, per quel loro dare la morte ma anche proteggere la vita, i deboli, gli ammalati, gli infermi. Soprattutto, richiamano alla mente epoche ormai tramontate e valori -quelli cavallereschi- diventati epici e oggi quasi del tutto dimenticati. A risvegliarli ci pensa la bella mostra A bon droyt, allestita al Museo Archeologico di Aosta, davvero un piccolo gioiello nel suo genere. Curata da Mario Scalini, svela alla vista una quarantina di spade tra le più belle d’Europa, e se anche nella città di Sant’Orso non c’è né Excalibur né Durlindana, ciò non significa che la mostra non possa attirare qualcun altro oltre agli appassionati di armi e ai cultori di storia antica.
L’allestimento è infatti accattivante, grazie anche ai supporti multimediali. Sembra di fare un salto indietro nei secoli. Ai tempi delle donne, dei cavalier, dell’armi e degli amori di ariostesca memoria. Anzi prima. Se il titolo della mostra rievoca la corte dei Visconti, dove nientemeno che il Petrarca, per il matrimonio di Gian Galeazzo con Isabella di Valois, coniò il motto, destinato a diventare famoso (A bon droyt a buon diritto), immortalato sul “brieve” che avvolge i gruppi di spade sul mazzo dei tarocchi usati a Milano, i primi cenni sono per il gladium latino, usato anche ad Aosta, che sorse su un castrum, cioè su un accampamento romano. Si passa poi al frontale dell’elmo del sovrano longobardo Agilulfo, simbolo di potere e regalità, alle spade di Ludovico il Moro, di Giovanni de’ Medici, di Estorre Visconti, persino di Bonarroto, padre di Michelangelo, anche lui “gentiluomo di cappa e spada”. Quello che emerge dalla mostra, però, non è affatto un Medioevo da cartolina, fatto di belle dame che sospirano davanti ai loro spasimanti in armatura. Certo, la metafora del “guerriero d’amore” è presente. In genere è abusata. Non in questo caso. Ci sono, Tristano e Isotta, Lancillotto e Ginevra che occhieggiano dalle pagine miniate dei codici custoditi nelle biblioteche di Firenze e Modena, simile a uno di quelli che, galeotto, indusse Paolo e Francesca ad amarsi. Ma ci sono anche le a dir poco inquietanti armi appartenute a Renato d’Angiò, il compagno d’arme di Giovanna d’Arco. Sulla sua spada compare per la prima volta in assoluto l’effige della Pulzella d’Orléans. E un brivido corre lungo la schiena, a pensare che fu fatta santa nel 1920, archiviato il macello della Grande Guerra coi suoi oltre nove milioni di morti.
I pezzi in mostra non datano oltre il Rinascimento. Non che da allora di spade non se ne siano più viste roteare sui cambi di battaglia, né nei duelli all’arma bianca. Il problema è che da allora a prevalere fu, grazie alla non comparabile potenza distruttiva e alla possibilità di evitare i corpo a corpo, la polvere da sparo. Certo, con il trionfo della pistola e del fucile andarono perdendosi quei valori millenari che avevano regolato, in un codice non scritto ma rispettato da tutti, l’arte della guerra. Dallo sterminio degli indios d’America, sopraffatti dai conquistadores anche grazie alla potenza di Vulcano più che di Marte, alle bombe atomiche e ai missili “intelligenti”, la strada è forse più breve di quanto si pensi.
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elena percivaldi
mostra visitata il 10 agosto 2007
dal 29 giugno al 4 novembre 2007
A bon droyt. Spade di uomini liberi, cavalieri e santi
a cura di Mario Scalini
Mar – Museo Archeologico Regionale
Piazza Roncas, 12 – 11100 Aosta
Orario: tutti i giorni ore 9-19
Ingresso: intero € 5; ridotto € 3,5
Catalogo Silvana Editoriale, € 50
Info: tel. +39 0165275902; u-mostre@regione.vda.it; www.regione.vda.it
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