09 maggio 2001

Gli artisti del PADIGLIONE SLOVENIA: Tadej Pogačar

 
Negli anni Ottanta e Novanta l’opera di Tadej Pogačar è stata l’arte dell’azione e del disturbo di un certo stato del mondo-come-arte, o la fenomenologia di uno 'scongelamento' del mondo che portasse il pianeta a “sciogliersi”, passando dallo stato di ZERO ASSOLUTO all’azione di UNO ASSOLUTO...

di

INTRODUZIONE

Artisti, colleghi, attivisti, combattenti!

Il mondo globalizzato è ormai privo di protagonisti, ad eccezione di chi lo comanda.
La comprensione politica è stata resa impossibile e sostituita da un determinismo neo-Darwiniano e mercantilista: il mercato e la tecnologia sono diventati forze naturali.

Al centro della società e della cultura occidentali contemporanee c’è la cancellazione di ogni confine culturale netto (o discrepanza, o rivalità), attraverso la miscela di tutti questi elementi nell’unica sfera immaginaria della cultura globale. La sostituzione e l’impoverimento della realtà si sovrappongono alla rappresentazione illusoria di ciò che non è ancora stato sperimentato.

Il presente è dominato da una totale mancanza di solidarietà o responsabilità nei confronti della condizione attuale di estromissione sociale.

Siamo sulla soglia di gravi crisi e di conflitti crescenti, in termini ecologici, di lotta tra mondo industrializzato e sottosviluppato, di perdita di senso della realtà eccetera.
La struttura dominante del capitalismo liberale è incapace di far fronte a questi antagonismi.

La cultura si nutre di opposizioni. A noi interessano i modelli culturali ed economici di gruppi e comunità socialmente isolati ed esclusi.

Le piccole enclave auto-organizzate, isolate e relegate dalla società ai margini della sopravvivenza, sono laboratori viventi di nuove forme di evoluzione sociale.

La prostituzione e i lavori collegati al sesso non possono più essere visti come un sintomo locale e nazionale; sono un fenomeno internazionale, che coinvolge gruppi multiculturali – un fenomeno globale.

La presenza di “lavoratori del sesso ” emigrati nell’industria europea del settore ha radicalmente modificato il mercato in ogni suo aspetto.
Le attuali politiche dell’Unione Europea in materia di prostituzione, emigrazione e prevenzione anti- AIDS non sembrano riflettere questa realtà.

Parlando di “lavoratori del sesso” ci riferiamo a economie informali o parallele. Coloro che rimangono esclusi dall’economia formale dei paesi UE cercano mezzi di sopravvivenza economica nel settore del lavoro informale.

La pratica della prostituzione dovrebbe essere considerata, classificata e legalmente riconosciuta come lavoro informale.

Il lavoro sessuale dovrebbe essere tutelato e considerato un’attività autonoma indipendente.

Artisti e curatori!
Uscite di vostri comodi padiglioni e unitevi alle prostitute e ai “lavoratori del sesso” che lottano per i propri diritti nelle strade della città.

È giunta l’ora di agire insieme!

Tadej Pogacar & P.A.R.A.S.I.T.E. Museum of Contemporary Art




Miško Šuvaković

La politica trasgressiva del parassitismo in progetti, realizzazioni ed effetti di Tadej Pogačar

UNO ASSOLUTO o L’AZIONISMO OGGI
Oggi, l’arte è facile, diretta e chiara. Niente illusioni. Oggi, l’arte non può funzionare come l’art pour art, o come “arte come arte”, o come “arte come idea come idea”. A differenza dello storicismo, essa non tende verso grandi obiettivi (estetici o politici), come fece durante il modernismo storico, non è nemmeno ecletticamente dispersa o decentrata sotto forma di puro piacere come nell’era del postmodernismo consumistico. Oggi i soggetti artistici sono socialmente espliciti culturalmente referenziali e artisticamente realistici. Il rapporto tra arte e realtà è ontologico.


L’arte non è una rappresentazione speculare del mondo, ma è rappresentativa di un “atto artistico” nel mondo che è dotato di una natura “nuova-o-diversa”. In questo caso il termine natura denota la polisemia della cultura o, più precisamente, i molteplici effetti della lotta per il potere all’interno di cultura e società. Nel corso del Diciannovesimo secolo e all’inizio del Ventesimo tutto questo si chiamava lotta di classe tra capitalisti e proletari. Nella seconda metà del Ventesimo secolo lo scontro divenne quello tra blocchi politicamente opposti (Est e Ovest), in un mondo simmetricamente diviso in zone di influenza. Oggi assistiamo alla lotta tra “centro” e “margini”:
– all’interno delle singole società (localizzate),
– nella cultura vista come nuova natura,
– nella comunicazione artistica pubblica o privata,
– nella politica globalizzata,
– nell’economia locale o globalizzata,
– nella distribuzione di potere nella nostra sfera quotidiana,
– all’interno di produzione, scambio e consumo di valori (informazione, potere, piacere).

Gli effetti di questo scontro si manifestano come “differenze” e “differenziazioni” di ogni singolo “margine” o “centro”, sia esso individuale o globale. Nel micro-livello razziale, etnico, sessuale, economico e politico, ogni società è oggetto di costruzioni e ricostruzioni basate sulla lotta tra “centro” e “margine”. La società planetaria globalizzata è costituita e ricostituita a livello globale per mezzo di scontri tra “margine” e “centro”, tramite rapporti stabili o relativi tra queste due entità, oppure tra il centro reale e la produzione di altri centri fittizi. Lo scontro è drammatico e senza quartiere. Tutto – la sfera privata e quella pubblica, l’arte, la produzione di valori materiali, la nascita e la morte, i divertimenti e la sofferenza, il dare e l’avere – è nell’occhio del ciclone, saldamente prigioniero.

Nella nuova Europa odierna l’arte dell’est e quella dell’ovest non sono più separabili con una linea netta, come invece era possibile nel periodo della Guerra Fredda o persino nell’ultima fase del socialismo reale. Una “nuova arte europea” onnicomprensiva, d’altro canto, non è ancora nata. Esistono funzioni ed attese di integrazione, in base alle quali l’arte dovrebbe essere al servizio di una nuova cultura europea libera dai conflitti, ma allo stesso tempo assistiamo a scontri imprevisti e inediti tra i paradigmi locali di margine-contro-centro e strategie transcontinentali (transnazionali) che oppongono marginalità e centralità globali alla promessa di un nuovo nomadismo. Da queste opposizioni sono nate due nuove pratiche artistiche:

1. La prima crea un’apologia statica-concettuale-mediatica per la cultura emergente, la quale è necessariamente vista come “natura altra”, stabilendo una sorta di realismo mediatico neoconcettuale e apologetico che “congela” e “conserva” la situazione collettiva (sociale, culturale) data – tale arte potrebbe essere metaforicamente definita ZERO ASSOLUTO
2. La seconda pratica innesca un’interferenza/deragliamento concettuale per mezzo dell’azione, critica e sovverte la nuova cultura che non viene sperimentata come una realtà data di “natura altra” fatalmente inevitabile, ma è piuttosto stabilita come pratica di realismo concettuale, che “scongela” (disloca, provoca, sfida) lo stato attuale della società e della cultura – quest’arte si può metaforicamente definire UNO ASSOLUTO.

Negli anni Ottanta e Novanta l’opera di Tadej Pogačar è stata l’arte dell’azione e del disturbo (inteso come perturbamento) di un certo stato del mondo-come-arte, o la fenomenologia di uno “scongelamento” del mondo che portasse il pianeta a “sciogliersi”, passando dallo stato di ZERO ASSOLUTO all’azione di UNO ASSOLUTO. Oppure, nelle parole dell’artista stesso: “Il messaggio contenuto nel progetto UNO ASSOLUTO è che (nell’arte) esiste una componente di azione che non è disposta a cedere allo stato delle cose (nella globalizzazione economica e politica), e insiste sulla costruzione di vari/e reti/modelli/strategie/istituzioni paralleli/e (e trasformazionali). Questo artista costruisce tali reti, modelli, strategie e istituzioni paralleli, trasformazionali e transfigurali, attorno alla politica del parassitismo, la quale assume diverse forme:

– Parassitismo nei confronti di istituzioni culturali quali musei, laboratori, uffici, abitazioni.
– Comportamento sociale parassitico, ovvero parassitismo pubblico rispetto a istituzioni pubbliche, parassitismo privato in relazione alle ordinarie esistenze quotidiane (individuali, famigliari, appartenenti a un particolare gruppo sociale), oppure parassitismo né pubblico né privato nei confronti di gruppi marginali (homeless, prostitute, operatori del sesso, passanti, impiegati, hostess, curatori, editors).
– Parassitismo nei confronti di una pratica artistica: impadronirsi del “mondo” esistente e portarlo da uno stato stabile, esente da entropia (caratterizzato da normalità e norme sociali e civili), fino a uno stato di precaria entropia (uno stato in cui l’arte diventa un agente dell’azione, capace di svelare e denunciare gli orrori della normalità funzionale, utilitaristica e sicura della produzione sociale, oltre che scambio e consumo di identità, valori, divertimento, razionalità, quotidiano, comunità e individualità).

Il parassitismo di Pogačar opera una sottile decostruzione dell’orizzonte quotidiano, e rappresenta una sfida provocatoria diretta ai sistemi sociali abituati a costruire il centro, il dominio e il potere nella vita, nell’arte e nella società quotidiane. La politica del parassitismo porta alla luce i “lati oscuri” dell’esistenza umana e la censura, la quale è creata e utilizzata dal vasto potere centralizzato allo scopo di organizzare, mantenere e preservare la “normalità” regolamentativa della vita quotidiana individuale e sociale.

Tutti coloro che non si adeguano a questo gioco di “quotidianità normale e normativa” sono relegati ai margini. È possibile, tuttavia, che tali margini siano in realtà il vero centro della società e della quotidianità sociale, che siano il mezzo per smascherare il centro, il potere e il dominio? I margini sono forse un accumulo di traumi appartenenti ad un enorme e potentissimo centro di tutte le società? Come si inserisce il parassitismo dell’artista in questo discorso? Qual è la politica del parassitismo di Pogačar? In che cosa consiste?

La filosofia della Politica Trasgressiva del Parassitismo

Il parassitismo è un concetto di lavoro e di comportamento, ma allo stesso tempo è anche il metodo di lavoro e lo schema di comportamento dell’artista in una cultura storica e geografia ben precisa, che lo porta a servirsi di “oggetti” inerenti a quella stessa cultura. Il parassitismo è una strategia di colonizzazione temporanea e di utilizzo di una cultura specifica. La cultura colonizzata o “parassitizzata” (un museo, una casa, un ufficio, un rifugio per senzatetto, un sex shop) diventa “poligono” (uno schema, un modello indicativo o una mappa per orientarsi) di un atto artistico (di violenza artistica passiva o anti-violenza) capace di influire sulla ordinata quotidianità sociale “normale e repressiva”. L’artista esplora una realtà specifica e il modo in cui questa reagisce all’invasione, colonizzazione, invadenza e penetrazione da parte dei parassiti nel tessuto (le chair) del mondo come mondo umano. Ecco come Pogačar descrive il parassitismo del mondo: “In ecologia, il parassitismo è il rapporto che lega due o più specie, di cui una (il parassita) assorbe l’energia dell’altra (ospite). L’ospite fornisce cibo, enzimi e ossigeno al parassita, ma allo stesso tempo attiva vari sistemi di difesa, dando luogo a una tensione perpetua, una specie di guerra tra i due organismi. Il parassita cerca di superare tale stato di cose stabilendo nuovi generi di legami con l’ospite. Reagisce alle armi meccaniche e chimiche (peristalsi, pulizia della pelle, anticorpi) prima ancorandosi al corpo dell’altro per mezzo di appigli o artigli, poi producendo sostanze e strumenti che diminuiscono le capacità di difesa dell’ospite. Sviluppare approcci di difesa e di attacco richiede molta energia al parassita e, dato che non è disponibile, esso mette a punto un sistema di difesa specializzato. L’impiego di questa particolare tecnica dipende in primo luogo dall’età del legame tra ospite e parassita. L’habitat immediato dei parassiti, in particolare di coloro che rimangono tali per tutta la vita, è il corpo dell’ospite: il corpo dell’ospite è l’habitat del parassita. Questa inversione tra “esterno” e “interno” è esattamente ciò che suscita l’interesse del Nuovo Parassitismo. In natura il parassitismo nella sua forma più pura è rarissimo, sono molto più comuni le sue forme di transizione (le quali comprendono, secondo l’ambiente ecologico, il mutualismo e il commensalismo). All’interno di un ecosistema il parassitismo è un fenomeno positivo, poiché rappresenta una forma di controllo della popolazione. Per avere un’idea dell’importanza e della diffusione di questo fenomeno, pensiamo che su 40.000 specie animali esistenti in Europa centrale, 10.000 sono parassite. Gli approcci utilizzati dal Nuovo Parassitismo sono diversi dai meccanismi propri dei parassiti naturali, ma alcuni modelli riscontrabili in natura sono interessanti per il funzionamento di un ambiente sociale. I progetti del sintagma del Nuovo Endoparassitismo prevedono “l’insediamento” in varie istituzioni (musei, scuole), e la risistemazione degli elementi interni di queste ultime (sistema informatico, architettura, contesto storico e sociale, manufatti, testi ecc.) allo scopo di creare una nuova lettura e nuova comunicazione.

L’approccio artistico e politico di Pogačar è determinato dalla conversione di una bio-politica o eco-politica in una teoria e pratica della politica artistica e culturale del Parassitismo. La politica del parassitismo è un’ulteriore strategia para-ecologica che opera direttamente sulla trama (textus) e sul tessuto (le chair) della cultura storica e geografica della società. In questo modo, la “forma normativa dell’esistenza naturale”, rappresentata dal parassitismo in ambiente naturale, è trasposta, trasformata e sviluppata come “forma trasgressiva dell’esistenza della cultura.” La politica del parassitismo di Pogačar non è interamente critica né illusoria – è semplicemente trasgressiva. Non è critica nell’accezione della “teoria critica” di arte e società intesa da Benjamin, Adorno o Habermas, così come non rimanda alla “arte critica” dei primi gruppi post-strutturalisti che si radunarono attorno alla rivista “Tel Quel”, né agli artisti concettuali collegati alla rivista Art-Language. Non è critica in quanto non opera in accordo con le intenzioni di chi mira ad una trasformazione dialettica positiva dello “stato negativo della società (arte)” in un “funzionamento positivo (ideale, sperato) della società o dell’arte.”

Non si serve della dialettica ma di meccanismi di regolamentazione e deregolamentazione propri del para-eco-sistema che è la cultura parassita. La sua politica del parassitismo non è totalmente affascinante nel senso delle teorie della simulazione post-situazionista di Baudrillard, o di strategie simili appartenenti al neo-concettualismo americano (Cindy Sherman, Barbara Kruger, Richard Prince). La fascinazione non è totale perché non opera secondo le intenzioni di un richiamo e di un assorbimento negativo e antidialettico, offrendo un oggetto del desiderio (possesso, voyeurismo, feticismo) affascinante e attraente. Pogačar non si appropria della performatività di Don Giovanni, poiché non inganna gli altri offrendo gli effetti di un oggetto. Attacca, critica, seduce e, infine, colonizza un’istituzione formale o informale in un processo di regolamentazione e deregolamentazione sociale dell’esistenza. In questo senso, Pogačar conquista parassiticamente anche il mio discorso sull’arte, fornendomi l’argomento di cui scrivere, il tema da discutere, la struttura del testo e l’economia interpretativa. In altre parole, il Pogačar artista non lavora con gli oggetti in quanto isolati oggetti del desiderio o come feticci culturali, ma si serve piuttosto di contesti e istituzioni materiali all’interno dei quali un desiderio diviene articolato, manifesto, offerto, scambiato, realizzato, consumato, oltre ad essere la base di un centramento e decentramento (regolamentazione e deregolamentazione) del potere sociale. È una sorta di capo del personale di vendita di un grande magazzino, o di curatore di un museo, un maquereau o il conquistatore dello spazio sociale nel gioco parassitico. Attraverso la struttura e le funzioni delle istituzioni abitate dal suo corpo/mente, mette in luce i punti critici e le strutture di desiderio e potere o, piuttosto, di centro e margine del potere all’interno di cultura e società. Qui, l’arte non è che uno strumento: “apparato materiale” della colonizzazione, della conquista, della coesistenza, di decostruzione e distruzione, del sostentamento dell’ospite.

La politica del parassitismo di Pogačar è “trasgressiva”. Questo termine indica uno sconfinamento, un’infrazione della legge o di un ordine. Lo scrittore e filosofo Georges Bataille ha fissato la filosofia della trasgressione come l’atto di superamento o di violazione di un limite. La teoria psicanalitica di Lacan avanza un’idea controversa, affermando che la sola autentica trasgressione è rappresentata dalla Legge che viene infranta: l’unica avventura e la più grande, capace di trasformare qualsiasi altra avventura (criminale) in un avvenimento provinciale è l’avventura della civiltà, l’avventura della Legge stessa. Secondo Lacan, la più grande “trasgressione” o, per meglio dire, la più grande “follia”, “nonsenso” o “atto traumatico” è la Legge stessa: la Legge folle. I contrasti esistenti tra Legge e trasgressione della Legge si ripetono, in un certo senso, all’interno della legge stessa. La Legge non rappresenta una forza pacificatrice “nuda” che si oppone alla trasgressione, ma è essa stessa la maggiore forza trasgressiva al proprio interno. In questo senso, le azioni di Pogačar ci dicono che la trasgressione fondamentale è contenuta nella distinzione tra margine e centro, nel criterio della normalità stabilito dalla comunità sociale e nella costituzione di un’istituzione come spazio del quotidiano sociale. Di conseguenza, la sua politica del parassitismo trasgredisce la differenza aprioristica che separa margine e centro, normalità sociale imposta o normativa e il potere che le istituzioni hanno di influire sulle norme sociali. In quanto parassita, abita le istituzioni dell’occidente contemporaneo. Pogačar dimostra che la sua politica parassitaria e trasgressiva rivela la vera Trasgressione e la Legge folle del nostro umano quotidiano, servendosi del potere di un’istituzione nel regolare e deregolamentare ciascuna esistenza umana. La sua arte, dunque, consiste nel contrapporre, per esempio, istituzioni “sublimi” (un museo o una Biennale, intesi come archivi della memoria sociale collettiva, oppure un laboratorio come un poligono per la scoperta di nuovo sapere) e istituzioni “basse”, destinate ai senzatetto o ai procacciatori di servizi sessuali (dormitori, bordelli ecc.).

Un artista è uno schermo su cui si proiettano l’immagine della società, le lotte sociali tra margine e centro, la legge e la trasgressione, la funzione e la struttura, la regolamentazione e la deregolamentazione, le politiche quotidiane e il quotidiano stesso. Il corpo, ovvero il corpo dell’artista come vettore di un’azione, svela una Legge sociale folle, in gioco tra attivo e passivo, o tra privato e pubblico.


Storia e circolazione del parassitismo

Il processo che ha condotto alla politica del parassitismo è stato lungo e lento. Iniziò con una sfilata di moda ironica e anonima, svoltasi in una discarica vicino a Lubiana nel 1979.Pogačar fece poi delle performance anonime nei musei (Visit I nel 1981, e Visit II nel 1992), sfidando il proprio atteggiamento nei confronti delle opere d’arte e degli altri pezzi esposti. Nel Museo di Scienze Naturali, per esempio, inscenò la complessa Visit II, la quale era senza pubblico e prevedeva una meditazione con il mammut, una unione con un cervo e di dare da mangiare a un orso. In Traveling Globe (Globo Viaggiante, 1990) esibì due mappamondi scolastici neri come sculture pubbliche. L’installazione Laboratorium I (1993) fu allestita in uno spazio molto raccolto, che il pubblico poteva percepire in maniera diretta. Un altro esperimento fu compiuto in segreto: le informazioni che lo riguardavano furono diffuse in un secondo tempo per mezzo di testi e di documentazione scritta. Il progetto History of Art – Through the Body (Storia dell’arte – attraverso il corpo, 1994) utilizzava i reperti del Museo di Storia Moderna di Lubiana. Una nuova disposizione delle collezioni produsse una storia dell’arte fittizia, immaginata come la storia del corpo umano. L’azione intitolata The Kings of the Street (I re delle strade, 1996) ebbe luogo per le strade con la partecipazione dei senzatetto, i quali entravano a far parte del gioco di intrusione e intervento nel loro mondo messo a punto dall’artista. Pogačar partecipò alla mostra internazionale After the Wall (Dopo il muro, Stoccolma, 1999-2000) con un trono, sul quale era seduta una donna homeless di Stoccolma (storici dell’arte e curatori potranno confermarvi che non fu facile trovarne una nella capitale svedese). Il progetto Home Stories si preoccupò di dimostrare l’esistenza di un rapporto parassitario tra ospite e parassita a livello micro-sociale – l’artista visse per un certo periodo nella casa di uno storico dell’arte. Verso la fine del Ventesimo secolo/inizio del Ventunesimo, Pogačar iniziò a lavorare sulle funzioni e le strutture parassitiche dei lavoratori del sesso, concentrandosi in particolar modo sugli apparati materiali dell’economia del desiderio.

Questo breve elenco del lavoro di Pogačar mira ad evidenziare il particolare carattere Duchampiano della sua politica parassitaria e del suo azionismo attivo-passivo. L’opera di Pogačar potrebbe addirittura servire come point de capiton per una lettura della storia dell’arte del Ventesimo secolo come la storia dei rapporti parassitici tra artisti e istituzioni. Ci riferiamo, naturalmente, a quello straordinario percorso artistico iniziato da Eric Satie e Marcel Duchamp con cui è nato il nuovo status dell’artista-dandy, il quale non produce opere d’arte ma osserva e tiene le orecchie bene aperte di fronte al mondo, ridefinendone la semantica e devisualizzandone manifestazioni e presenza per mezzo di denominazioni e rinominazioni minimalistiche. La cultura stessa è divenuta oggetto degli interventi da parte degli artisti, della loro colonizzazione parassitaria e dei ripetuti spostamenti dal privato al pubblico, dal marginale al dominante. In questo, il suo lavoro è nella scia di John Cage:

Per stabilire se siamo di fronte a un’opera di arte contemporanea oppure no, non ricorriamo più a criteri estetici (se è distrutta dalle ombre, rovinata dai suoni ambient); [considerandoli assodati], utilizziamo criteri sociali, che possono comprendere azioni compiute da altri. Pogačar adotta la procedura Duchampiana del ready-made e la relativa tradizione, pur ridefinendone l’approccio abbandonando gli oggetti “non artistici” (Marcel Duchamp) o le “tracce linguistiche della cultura” (Jasper Johns, Art&Language, Joseph Kosuth), o le macro e micro istituzioni fittizie/fantasma (Duchamp ‘Societé Anonyme’, Andy Warhol ‘Factory’, Marcel Broodthaers ‘Museum of Contemporary Art’, Joseph Beuys ‘Free International University’, Kosuth e la serie di mostre sviluppatesi nel processo di risistemazione degli archivi dei musei, per esempio la mostra su Ludwig Wittgenstein) . Pogačar costruisce (allestisce), produce (organizza), trasfigura (sposta), o assesta (parassitizza) istituzioni che rappresentano la struttura portante del suo lavoro all’interno del triangolo composto da arte, cultura e società. L’istituzione colonizzata non si trasforma in un’opera d’arte, ma è un contesto entro il quale diviene possibile l’azione dell’artista, e insieme ad essa la trasformazione dello stato di ZERO ASSOLUTO in un evento di UNO ASSOLUTO.

L’arte slovena di avanguardia, neoavanguardia e postavanguardia ha prodotto un fenomeno caratterizzato dalla collaborazione tra gli artisti e un’istituzione che rappresentasse un campione della cultura e della società. I protagonisti dell’avanguardia storica degli anni Venti, per esempio i costruttivisti come August Černigoj e gli artisti di teatro come Ferdo Delak, cercarono di infrangere l’autonomia dell’arte e di introdurre l’arte nei processi del conflitto sociale e di classe. L’opera d’arte era il punto di partenza per un intervento esterno all’arte stessa e per la trasformazione rivoluzionaria e utopica della società. I membri del gruppo OHO, appartenenti alla neoavanguardia e all’arte concettuale degli anni Sessanta, crearono un essere umano concettuale chiamato Uomo OHO, unendo e sintetizzando in lui il carattere e i tratti psicologici dei singoli membri di OHO. Nei primi anni Novanta OHO si trasformò in una comune con sede nel villaggio di Šempas, vicino al confine con l’Italia. La comune funzionava come un organismo esistenziale e metafisico di collegamenti concreto-utopici, nella compenetrazione di natura e cultura. Durante il periodo postmodernista e retroguardista nacque il movimento della Neue Slowenische Kunst, il quale si presentò come una sorta di sistema para-istituzionale e antiutopico, composto da gruppi artistici che coordinavano la propria attività spaziando dalla musica (Laibach), alla pittura (Irwin), al teatro (Red Pilot), al design (New Collectivism) ecc. L’auto-organizzazione e auto-istituzionalizzazione del movimento NSK fu una pratica concettuale/artistica/politica diretta, che equiparava il loro lavoro (prodotti artistici di gruppi individuali) all’organizzazione stessa dei gruppi e del movimento come un “fenomeno artistico”. Il movimento della NSK giunse fino a progettare e realizzare uno stato fittizio (o meglio, virtuale) con tutte le manifestazioni istituzionali essenziali (passaporto, cittadinanza, francobolli, sedi diplomatiche). Marjetica Potrč ha concluso la sua fase eclettica postmoderna per passare allo studio e alla ricostruzione dei sistemi urbani e dei fenomeni catastrofici (entropici) propri di tali sistemi, occupandosi principalmente della morte delle città. Marko Košnik ha creato l’‘Egon Marš Institute’, un centro fittizio/attivista incentrato sulle articolazioni corporee e cibernetiche dei micro e macro sistemi esistenziali e comportamentali. Marko Peljhan ha messo a punto un laboratorio pseudoscientifico, il Macrolab, che è un simulacro artistico di un laboratorio scientifico. Numerosi net.artists degli anni Novanta hanno lavorato con sistemi e reti informatiche, per esempio Vuk Cosić e Igor Štromajer. Gli interventi artistici, le azioni e la politica parassitaria di Tadej Pogačar sono emersi proprio nell’ambito di tali “sistemi”, considerati come un campo (territorio senza territorio). È un “parassita universale” che appare in circostanze individuali, frammentarie e specifiche di regolamentazione e deregolamentazione di insediamenti, istituzioni, anti-istituzioni… ovvero della cultura nel suo complesso.

Contestualizzazione, decontestualizzazione, regolamentazioni e deregolamentazioni, simbiosi e parassitismo nell’ambito della società, della cultura e dell’arte odierne.

Il contesto artistico e culturale della politica del nuovo parassitismo è attualmente rappresentato da Venezia e della Biennale. Tale contesto è regolamentato e deregolamentato dall’opera “costruttiva e attivista dell’artista.” Da un punto di vista metaforico, l’evento creato da Tadej Pogačar potrebbe essere denominato ZERO UNO. L’artista si rivolge a gruppi “parassitici” e marginali, contrapposti alle grossi manifestazioni internazionali come la Biennale di Venezia. Il “nocciolo” concettuale della sua azione è rappresentato dalla centralizzazione del potere dell’arte odierna e dalla decentralizzazione del lavoro sessuale marginale. Pogačar collega strategicamente i modi del comportamento sociale pubblico, privato e segreto, e si serve dell’azione e dell’azionismo per dimostrare la componente parassitaria dei sistemi “economici” e “politici” del comportamento segreto (rapporti con prostitute e operatori del sesso), dell’esistenza privata (essere un turista, un artista, un osservatore, un visitatore dei monumenti pubblici e nascosti di Venezia), e della dimostrazione pubblica (lo sfruttamento parassitario dell’arte come uno “schermo” su cui proiettare i rapporti regolamentativi e deregolamentativi, la contestualizzazione e la decontestualizzazione di ciò che è “segreto”, “privato” e “pubblico”). Il parassitismo è un modo per colonizzare Venezia nel periodo della Biennale (vedendo la città come un ambiente ecologico). Simbiosi significa entrare nei “giochi” dell’ecosistema culturale e impadronirsi delle sue manifestazioni segrete, private e pubbliche (forme, movimenti, presenze, posticipi).


1 Clement Greenberg, ‘Modernist Painting’, Francis Frascina, Charles
Harrison (ed), Modern Art and Modernism: A critical Anthology, Harper &
Row, London, 1986, p. 5-10.

2 Achille Bonito Oliva, Transavanguardie Internazionali, Giancarlo Politi
Editore, Milano, 1982.

3 L’arte tematizza, visualizza, ricostruisce, simula e cita la cultura.

4 L’opera d’arte è presente come un testo mediatico referenziale (installazioni, video, fotografia), con dei riferimenti nel mondo (società, cultura, storia-geografia-generi, potere-margini-centro).

5 Il realismo diventa la poetica della teoria dell’arte. Il realismo contemporaneo non è realistico i termini di stile ed iconografia nella pittura, come in Gustave Courbet, Otto Dix, Isaak Brodsky o Gerhard Richter. Oggi il realismo è concettuale, procedura mediatica e di simulazione attraverso la quale e generata la vera relazione fittizia, referenziale del mondo (cultura) e il lavoro-come-documento.


6 Here the idea of the real is dual, its is: (1) the everyday world that surrounds us which is an individual and collective symbolic and imaginary reality of everyday (2) Lacan’s Reality, with capitalized R, which is impossible, escapes symbolization and representation as something imaginary, but dictates each of our (individual and collective) gestures, act, action, behavior, life.

7 In fisica, ABSOLUTE ZERO è la temperatura di 0° K or –273° C, uno stato di entropia zero.

8 ABSOULTE ONE è un’unità in opposizione allo zero assoluto di Kelvin’ e lo stato di zero entropia. ABOSULTE ZERO è uno stato critico di entropia, instabilità, movimento e trasferimento.

9 Da una lettera di Tadej Pogačar, Febbraio 2001.

10 Qui l’idea dell’usanza è storicamente un debito alla concezione Duchampiana di ready-mades di un oggetto non artistico utilizzato come opera d’arte. Pogačar riprende questa idea nell’azione della vita reale (l’idea del tardo Ludwig Witgenstein) dove parassitizza il mondo nel quale vive e lavora.

11 Tadej Pogačar, P.A.R.A.S.I.T.E. Museum of Contemporary Art and new parasitism,
in The World of Art. Curatorial Course for Contemporary Art, SCCA, Lubiana,
1998, p. 49-51.

12 Per saperne di più sulla funzione di ‘para’ come prefisso, vedi David Carroll, Paraesthetics.
Foucault Lyotard Derrida, Methuen, London, 1987.

13 Mi riferisco alla teoria di Lacan dello `objet a´ (petit a). I lavori di Cindy Serman, Barbara Kruger e Richard Princen sono oggetti del desiderio rimossi dalla cultura dei consumi per essere immessi nelle speculazioni del mezzo artistico .

14 Shoshana Felman, Le scandale du corps parlant. Don Juan avec Austin ou la seduction en deux langues, Editions du Seuil, Paris, 1980.

15 Il concetto di `apparato´ è definito da Louise Althusser. L’ideologia ha materializzato l’esistenza- Louis Althusser, “Ideology and Ideological State Apparatuses (Notes towards an Investigation)”, vedi Slavoj Žižek (ed), Mapping Ideology, Verso, London, 1994, p. 125.

16 Lui pone in rilievo due trasgressioni del discorso sulla ragione. La prima introduce al discorso degli elementi umili (come il dito,il pianto, il silenzio, il fallimento del discorso, una macchia d’inchiostro). La seconda trasgressione, di nobili elementi ( dall’interno provoca un codice simbolico, problematizza le certezze e la legittimazione del senso. Riunendo queste due trasgressioni (quella `umile´ e quella `nobile´ ), si dissolve il baratro che garantisce la distinzione umile e ed elevata: “Una sera particolarmente triste ho sognato un cielo stellato sotto ai miei piedi.” Perciò, la trasgressione dai significati alla moda nei dizionari: (a) sovversione, rottura e rivoluzione; (b) parodia della trasgressione – secondo Marcelin Pleynet “nella nostra epoca, non c’è più trasgressione, non c’è più sovversione, non c’è più rottura”(1966); (c) assenza di significato;
(d) basso materialismo (bas materialisme); (e) estasi e anarchia; (f) scrittura del corpo (ecriture
corporelle); (g) perdita, incompleta, pas tout; (h) scivolamento (glissement); (i) pericolo e sublime;
(j) orizzontalità; (k) entropia; (l) senza origine; (m) l’architettura contro se stessa; (n) erotismo; (o) perversioni sessuali in cotrapposizione alle normali attività di riproduzione sessuale; (p) punto cieco di interpretazione; (q) informe (informe); (r) transitorio; (s) lavoro aperto; (t) traumatico; (u) progetti d’entrata; (v) dietro le dimesnioni del corpo; (z) eliminazione dei simboli, metafore e allegorie;(ž) entropia del senso. Vedi: Denis Hollier, Against Architecture. The Writings of Georges Bataille, The MIT Press, Cambridge Mass, 1989; Susan Rubin Suleiman, “Transgression and the Avant-Garde: Bataille´s Historie de l´oeil”, in Subversive Intent. Gender, Politics, and the Avant-Garde, Harvard University Press, Cambridge, 1990, str. 72-87; Yve-Alain Bois, Rosalind Krauss, Formless. A User´s Guide, Zone Books, New York, 1997.

17 Slavoj Žižek, Hegel with Lacan, in Philosophy through Psychoanalysys,
Analecta, Lubiana, 1984, p. 18.

18 Vedi: The Art of History – Through the Body(Jornal for Anhropology and New Parasitism vol. 1 no. 2, Museum of Modern History and The P.A.R.A.S.I.T.E Museum of Contemporary Art, Ljubljana, 1994; Tadej Pogačar, ifa-Galerie, Berlin, 1995; Laboratorium I (Journal
for Anthropology and New parasitism vol.2 no. 1-2), Likovni Salon Celje e
The P.A.R.A.S.I.T.E Museum of Contemporary Art, 1995; Kings of the Street
(Journal for Anthropology and New parasitism vol. 3 no. 1), The P.A.R.A.S.I.T.E Museum
of Contemporary Art, 1996; Home stories (Journal for Anthropology and New parasitism
vol. 4 no. 2), The P.A.R.A.S.I.T.E Museum of Contemporary Art, 1999, Ljubljana, 1999.

19 Posso concludere che Pogačar lavora senza lavorare e lavora senza lavoro, quasi come i buddisti Zen. Potrebbe essere questa una definizione della politica parassitaria?

20 John Cage, da: DIARY: HOW TO IMPROVE THE WORLD (YOU WILL ONLY MAKE MATTERS WORSE) 1965-67, dEliot Weinberger (ed), American Poetry since
1950 – Innovators and Outsiders, Marsilio Publishers, New York, 1993, p. 140.

21 See: Thierry de Duve (ed), The Definitively Unfinished Marcel
Duchamp, Nova Scotia College of Art and Design, Halifax NS, 1993; Martha
Buskrik, Mignon Nixon (ed), The Duchamp Effect (Essays, Interviews, Round
Table), The MIT Press, Cambridge, Mass, 1996; Benjamin H.D. Buchloh (ed),
Broodthaers. Writings, Interviews, photographs, The MIT Press, Cambridge
Mass, 1988; Caroline Tisdall, Joseph Beuys, Thames and Hudson, London,
1979.

22 Tomaž Brejc (ed), OHO 1966-1971, Galerija ŠKUC, Lubiana, 1978;
Eda Čufer (ed), NSK Embassy Moscow, Obalne Galerije Pirano, 1992; Marjetica
Potrč, Two Essays on Built Disasters, M´ars no.3-4, Lubiana, 1997, p. 29-48.

23 Vedi: Inventura 90ih (The Inventory of the ‘90s), Maska at. 5-6, Lubiana, 1999.

24 Da una lettera di Pogačar, Febbraio 2001.




Il para-specchio del Nuovo Parassitismo

1. I due livelli del Nuovo Parassitismo
La strategia che Tadej Pogačar descrive come “Nuovo Parassitismo” (per differenziarla dal parassitismo inteso come fenomeno biologico) si presenta sotto svariate forme. Pogačar crea sistemi e istituzioni fittizi, entra in istituzioni reali (musei, scuole ecc.) per operare al loro interno, ed è attivo nel ricercare e presentare fenomeni, gruppi sociali, pratiche e relazioni nascosti o trascurati. Forme ed attività da lui esplorate, tuttavia, rimandano ad unico concetto fondamentale: quello del museo. L’istituzione-museo creata da Pogačar, il P.A.R.A.S.I.T.E. Museum of Contemporary Art (d’ora in poi PMCA), non è solo una delle vesti esteriori del Nuovo Parassitismo, bensì ne rappresenta la base istituzionale. Il Museo è una forma istituzionale divenuta, in quanto tale, indipendente dallo stesso Pogačar come persona e artista (per esempio, il PMCA può entrare in possesso delle sue opere d’arte e utilizzarle come crede). Questa istituzione getta le basi per le altre forme di Nuovo Parassitismo e le arricchisce di significato (tra queste, il discorso scientifico e pedagogico, le attività commerciali ecc.), ed essendo compatibile con altre strutture è in grado di penetrarle, di adattarvisi e di operare al loro interno. La forma istituzionale è anche il mezzo per strutturare i tentativi di ricerca e disvelamento di ciò che è nascosto, represso e parallelo, e organizzare uno spazio di visibilità. Il “Nuovo Parassitismo” di Pogačar, dunque, opera su due livelli. Il primo è quello della penetrazione nei sistemi, nelle istituzioni e nei rapporti – ma questo livello è possibile solo in virtù di un’operazione di parassitismo più radicale: l’appropriazione della forma museo e, dunque, una replica, una duplicazione dello spazio artistico istituzionale.

2. L’arte è ciò che è esposto nel museo.
Naturalmente dobbiamo chiederci perché ha scelto proprio il museo come base istituzionale. La risposta rimanda probabilmente alla definizione di “arte” e alla sua radicale trasformazione nel secolo scorso. L’estetica tradizionale descriveva l’arte in base al medium (pittura, scultura, disegno ecc.), alle attività specifiche legate a ciascun medium (“imitazione”, “figurativo” ecc.) e attraverso i valori specifici così prodotti (“il Bello”, il Sublime” ecc.). Negli ultimi cento anni, tuttavia, l’arte si è estesa ben oltre questi limiti, trasformando radicalmente il proprio carattere e la propria definizione. Nel corso del ventesimo secolo, inoltre, si è tentato più volte di abolire il carattere autonomo dell’arte e di amalgamare completamente arte e vita. L’arte si è appropriata di ogni genere di oggetto, fenomeno o attività (spesso tentando persino di abolire se stessa in quanto arte, per diventare un tassello della cosiddetta “pratica di vita”), rendendo necessaria l’elaborazione di nuovi criteri che permettessero di giudicare in maniera affidabile cosa è arte e cosa non lo è. Si è scoperto che i criteri dell’arte (ma non della qualità artistica) possono essere esterni o formali piuttosto che interni o strutturali. Il campo dell’arte è, per dirla in parole semplici, determinato insieme alla propria struttura istituzionale. Può essere definito come il mondo o il sistema dell’arte; qualunque cosa rientri nel sistema diventa artisticamente rilevante. Un artista può appropriarsi e servirsi di qualsiasi elemento appartenente alla realtà non artistica, o persino di opere realizzate da altri artisti, e trasformare tutto questo nella propria arte. Lo status artistico, tuttavia, non dipende più completamente dalle decisioni dell’artista; il sistema dell’arte ha acquisito un certo grado di autonomia. Se un tempo il valore artistico dipendeva dalla decisione di un artista (possiamo citare il noto esempio di una “corsa d’autobus”, la quale può diventare arte se effettuata da un artista per affermare qualcosa), oggi, per investire di valore artistico un fatto che per origine e intenzione non aveva questa valenza è sufficiente che esso entri nel sistema dell’arte – per mezzo di un artista, ma anche di un curatore, di un critico, di uno storici o di un direttore di museo. Per questo ci capita spesso di vedere mostre, messe sullo stesso piano delle esposizioni artistiche, dove sono esposti gli oggetti più diversi: dai modelli medici, agli strumenti erotici, alle foto segnaletiche, alle rilevazioni dei satelliti e così via… questi oggetti non sono nati come opere d’arte, e spesso non sono mai stati utilizzati da nessun artista.

Un’istituzione che ha assunto un ruolo speciale e dominante nel mondo dell’arte è quella del museo (in particolare, il museo di arte moderna e/o contemporanea). Si può dire che spesso il museo, in modo quasi metonimico (in quanto “parte per il tutto” dell’intero sistema) rappresenta il mondo dell’arte, avendo raggiunto tale ruolo chiave grazie alla propria posizione nella gerarchia del sistema stesso, alla varietà delle proprie attività, possibilità e strutture, e al proprio ruolo di selezione e regolamentazione in campo artistico. Il museo è in cima alla piramide degli spazi pubblici (intendo tutti gli spazi, fisici e istituzionali, in cui l’arte è esposta al pubblico); la semplice presenza fisica di un’opera all’interno dello spazio museale è in sé una conferma, non solo della sua artisticità, ma anche del suo possedere qualità specifiche, degne di una maggiore considerazione.

Se la semplice presenza nel museo conferma l’oggetto in questione come opera d’arte significativa (o come qualcosa che nasce da un’intenzione non artistica ma è per qualche ragione adatto a svolgere questa funzione), forse dovremmo interrogarci sulla struttura dello spazio museale – magari riusciremo a farci un’idea più precisa della strategia parassitaria nei confronti del museo come spazio e come istituzione.

3. Planimetria e disciplina del sapere.
Quando, nella seconda metà degli anni Trenta, l’architetto Edvard Ravnikar progettò la sua prima grande opera, la Moderna galerija di Ljubljana, studiò attentamente i musei di recente costruzione, osservandone più gli aspetti strutturali e l’organizzazione funzionale che le caratteristiche formali. Raccolse una serie di esempi architettonici che risolvevano i problemi di un’esposizione razionale, chiara e comprensibile degli oggetti, un percorso semplice e logico attraverso l’esposizione e un accesso rapido e semplice a tutte le aree espositive. Osservando le planimetrie pubblicate da Ravnikar nel 1939 a corredo di un articolo sul progetto della Moderna galerija, si vede chiaramente che il valore della pianta non è strettamente funzionale; la perfezione geometrica dei disegni esprime l’organizzazione del sapere che il museo rappresenta. Gli spazi sono spesso collegati in un sistema di campi e discipline: un oggetto che entra in una sala del museo viene contemporaneamente immesso in un sistema di sapere ordinato e gerarchico, un sistema chiaro, perfetto e accessibile quanto gli spazi stessi del museo. È interessante notare che le planimetrie del pianterreno, le quali parevano interessare particolarmente Ravnikar, sono piuttosto simili tra loro: tutte fanno pensare a una ruota, con un edificio circolare il cui centro è collegato al diametro per mezzo di un sistema ordinato di raggi (non importa se la pianta raffigura un cerchio intero o un semicerchio). Siamo di fronte a una forma archetipica, razionale, chiara, perfetta, funzionale ed estetica, con un forte potenziale metaforico. Allo stesso tempo, si tratta di una forma dotata di storia e connotazioni molto specifiche per il mondo occidentale, poiché rimanda direttamente all’architettura ordinata e gerarchica di prigioni, ospedali ed altre simili istituzioni fin dal Diciassettesimo e Diciottesimo secolo, e all’architettura dell’ordine e della disciplina descritta da Foucault, soprattutto in Sorvegliare e punire. In questo senso, potremmo intendere la nozione delle “discipline” collegate al museo (e da questo ordinate e rappresentate) in modo più letterale, inserendo il museo nel sistema del controllo e della disciplina – in questo caso, del controllo e del disciplinamento del sapere.

I materiali pubblicati da Ravnikar nell’articolo sopra citato ci mostrano come nella planimetria del pianterreno della Moderna galerija, con il salone centrale che immette direttamente alla quasi totalità degli spazi espositivi, permanga (ancorché dissimulato) il sistema dell’istituzione gerarchica e punitiva: il carcere, l’ospedale ecc.

A quanto pare, però, il museo di arte moderna non si basa su un sistema ordinato di sapere, cioè su un sistema scientifico, come era quello del cosiddetto museo generico o dei musei dedicati a particolari settori scientifici (storia naturale, etnografia, storia).È questo che ha permesso a Ravnikar di occultare e modificare la struttura gerarchica della planimetria, dotandola di un carattere più flessibile, meno gerarchico e sistematico, persino più eterogeneo. Il museo d’arte moderna e contemporanea ha forse più la funzione di inserire alcune prassi e saperi in un campo specifico, entro cui assumono un particolare valore “artistico” e divengono oggetto di osservazione e contemplazione, immagini, rappresentazioni – perdendo allo stesso tempo la funzione primaria che li caratterizzava nel mondo non artistico. Tali oggetti diventano, per usare l’espressione di Peter Bürger, folgenlos, ovvero privi di effetto reale sul mondo (naturalmente, escludendo il ruolo sociale delle rappresentazioni e delle immagini).

4. Il museo come specchio
Il museo, soprattutto quello d’arte moderna e contemporanea, funziona in un certo senso come uno specchio: può catturare al suo interno “il mondo intero”, ma ciò che vi vediamo riprodotto, per quanto possa apparire reale e identico alla realtà “esterna”, è solo un riflesso, un’immagine, una rappresentazione della realtà. Come lo specchio seleziona un dettaglio o un frammento, isolandolo dalla continuità del reale e dunque rendendolo veramente visibile per la prima volta, così il museo accetta determinate pratiche e oggetti appartenenti al mondo esterno e, immettendoli nel campo istituzionale dell’arte (per esempio esponendoli nelle sale di un museo d’arte moderna) li trasforma in riflessi e rappresentazioni della realtà, ormai privi di una propria realtà ma dotati di visibilità, forma, struttura, significato e contesti affatto nuovi. Tali entità entrano nel visibile e, allo stesso tempo, in un sistema di sapere, come dimostrano le planimetrie della Moderna galerija di Ravnikar: lo “specchio” del museo non è neutrale, né innocente; la sua struttura è, apertamente o segretamente, quella di un’istituzione gerarchica e punitiva. “Riflettendo” le numerose prassi e realtà del mondo, il museo d’arte contemporanea vi apporta ordine e disciplina, trasformando il mondo in un sistema di sapere e creando attraverso di esso strutture di potere.

Ora possiamo tornare alla strategia parassitaria del PMCA. Come qualsiasi altro museo, il PMCA produce visibilità e la immette nei sistemi di sapere, ma compie questa operazione ad un meta-livello. Essendo un’entità parallela e delocalizzata (letteralmente un “para-site”, parassita o para-sito), non ha una sostanza propria, una base materiale per una tale produzione, ma solo la forma istituzionale che gli serve per attaccarsi al corpo dell’ospite e iniziare ad esplorarne le potenzialità. Solo attraverso gli ospiti può darsi un corpo e un luogo, sfruttando le loro risorse per esercitare le proprie funzioni fondamentali di museo, riassumibili nella produzione di visibilità/sapere. Solo un corpo ospitante può mettere a disposizione lo spazio, la “superficie riflettente”, per questo compito. Il PMCA, tuttavia, in quanto paraistituzione che duplica i propri ospiti pur rimanendo essenzialmente non localizzata e non materializzata, introduce un certo dualismo nel modo di vedere dell’entità ospitante. Si serve della “struttura riflettente” dell’ospite per catturare riflessi del mondo, ma allo stesso tempo mette in mostra la superficie stessa e la sua struttura, ovvero le strategie e i metodi usati dall’ospite per produrre visibilità. Questo rapporto di duplicazione, il riflettersi dell’ospite nel proprio specchio entrato in possesso del parassita (cioè nel “para-specchio del parassita) è incerto e instabile, continuamente a rischio di trasformarsi nel suo opposto (esiste cioè il pericolo che l’ospite si appropri e si serva del parassita, come è accaduto a numerosi tentativi critici che volevano attaccare e indebolire l’istituzione-museo – ma è anche vero che in questo processo il museo, costretto ad adeguarsi e a reagire agli attacchi, ha subito una radicale trasformazione). La “planimetria nascosta” dei rapporti di potere che definiscono il museo si mostra dunque solo a frammenti, e sul crinale di questa duplicazione.

Igor Zabel








TADEJ POGAČAR
Hruševska 66
1110 Ljubljana
Slovenia
tel/fax: +(386) – 01 – 542-56 85
e-mail: tadej.pogacar@guest.arnes.si, tpogacar@yahoo.com

Biografia

Nato: Lubiana, Slovenia
Studi: Diploma in Storia dell’arte, Università di Lubiana, Slovenia
Specializzazione in Storia dell’arte, Università di Lubiana, Slovenia
Specializzazione in Etnologia e Storia dell’arte, Università di Lubiana, Slovenia
Posizione:Direttore del P.A.R.A.S.I.T.E. Museum of Contemporary Art.
Direttore artistico e fondatore della Galleria P74, Lubiana, Slovenia

Mostre personali
2000 – Art Gallery, Slovenj Gradec, Slovenia; Storie di due città (cat.)
– Art Gallery, Ravne na Koroškem, Slovenia; Storie di due città (cat.)
1998-99 – Appartment Nicklas – Spanke, Cologna, Germania; progetto: Home Stories (cat)
1998 – Museo di Storia Moderna, Lubiana, Slovenia; Vedute sulle Esposizioni
1996 – Galleria Škuc, Lubiana, Slovenia; progetto: Nuove acquisizioni del P.A.R.A.S.I.T.E.
Museum of Contemporary Art II.
1995 – Azione pubblica, Lubiana, Slovenia; I re della strada (cat.)
– Museo D’Arte Moderna, Lubiana, Slovenia; progetto: La mia bella casa/con Joze Barsi
– Ifa Galerie Friedrichstrasse, Berlino, Germania; installazione: Due maestri (cat.)
– Galleria CULT, Vienna, Austria; installazione: Scorciatoie (cat.)
1994 – Museo della Rivoluzione Socialista, Lubiana, Slovenia; progetto: L’Art della Storia-
Attraverso il Corpo.
– Art Gallery, Slovenj Gradec, Slovenia; installazione: West-side-Story
1993 – Mala Galleria, Museo D’Arte Moderna, Lubiana, Slovenia; progetto: La casa di Copernico
– Galleria Loggia e Galleria Meduza, Capodistria, Slovenia; progetto: La casa di Copernico (cat.)
1992 – Galleria Krka, Lubiana, Slovenia
1991 – Galleria Miklova hiša, Ribnica, Slovenia
– Galleria Škuc, Lubiana, Slovenia; progetto: Nuove acquisizioni del P.A.R.A.S.I.T.E.
Museum of Contemporary Art I.
– Galeria CULT, Vienna, Austria; installazione: Dipartimento di Geografia
– Galleria ZDSLU, Lubiana, Slovenia; installazione: Dipartimento di Geografia
1990 – Galleria Rotovž, Maribor, Slovenia
– Galleria Equrna, Lubiana, Slovenia; Titanic
1989 – Stil und Bruch Gallery, Berlino, Germania; Quattro continenti
– Centro culturale Ivan Cankar, Lubiana, Slovenia; Il continente oscuro

Selezione di mostre collettive
2000 – Museo d’Arte Moderna, Lubiana, Slovenia; U3, 3° Triennale D’Arte Contemporanea Slovena
curatore: Gregor Podnar (cat.)
– Contemporary Museum, Baltimore, USA; SNAPSHOT , curatore: Gary Sangster (cat.)
– Hamburger Bahnhof, Berlin; After the Wall (cat.)
– Ca del Duca, Venezia, Italy; artisti.giovani@sloveni.si, curatore: Aurora Fonda (cat.)
– Ludwig Museum, Budapest, Hungary; After the Wall (cat.)
– What, How & for Whom? In occasione del 152° anniversario del Manifesto Comunista,
Zagabria, Croazia (cat.)
– City Hall Gallery, Limerick, Irlanda; Amici e vicini, curatore: Rosa Martinez (cat.)



– Museo d’Arte Moderna, Lubiana, Slovenia; Worthless (Invaluable),
curatore: Carlos Basualdo
1999 – Galleria Škuc, Lubiana, Slovenia; Il gusto della città
– Moderna Museet, Stoccolma, Svezia; After the Wall – Arte e Cultura nell’Europa
Post-Comunista, curatore: Bojana Pejić (cat.)
– Galleria Škuc, Lubiana, Slovenia; It´s Comfy
– Casa des Artes, Vigo, Spagna; Nuovi percorsi (cat.)
1998 – ZMNK Adlershof, Berlino, Germania; Osservatore/Servizio Segreto (cat.)
– Buechenhausen Ausstellungsraum, Innnsbruck, Austria; Privato (Praxis) (cat.)
– Galleria Equrna, Lubiana, Slovenia; Visioni Manieristiche: Slovenia e il Futuro dell’arte
curatore: Paul Crawther
– Galleria Škuc, Lubiana, Slovenia; Do It ! (cat.)
– Castello di Ujazdowski , Varsavia, Polonia; Cartografie
– Museo Ernst, Budapest, Ungheria; Cartografie (cat.)
1997 – Art Pavilion, Zagabria, Croazia; Cartografie (cat.)
– Museo d’Arte Moderna, Lubiana, Slovenia; U3, curatore: Peter Weibel
1996 – Manifesta 1, Rotterdam, Olanda (cat.)
– Museo Bochum, Bochum, Gemania; La collezione del P.A.R.A.S.I.T.E. Museum,
Arte slovena degli anni 90’ (cat.)
– Mucsarnok, Budapest, Ungheria; La collezione del P.A.R.A.S.I.T.E. Museum,
Arte slovena degli anni 90’ (cat.)
1995 – Galleria Civica d´Arte Moderna, Bologna, Italia; Forma Eterna,
curatore: Nadja Zgonik (cat.)
– Galerie M, Spittal an der Drau, Austria; Forma Eterna (cat.)
– Neue Galerie, Graz, Austria; Pittura – Immedia, curatore: Peter Weibel (cat.)
– Mucsarnok, Budapest, Ungheria; Pittura – Immedia (cat.)
– Galleria Maerz, Linz, Austria; TransAlpino (cat.)
– Museum fur angewandte Kunst , Vienna, Austria; Kunst Wien 95
1994 – Art Center, Poprad, Slovakia; Laboratorium (cat)
– Libreria Nazionale e Universitaria, Lubiana Slovenia; Urbanaria I. (cat.)
– Marburg, Germania; Von uns Aus, Nuova Arte dalla Slovenia 1970 – 1990 (cat.)
– Centro Friulano Arti Plastiche, Videm, Italy; Intart´94 , Una lettera per la pace

Borse di studio e premi
2000 – Borsa di studio del Ministero della Cultura New York Atelier, Lubiana, Slovenia
1999 – Borsa di studio del Ministero della Cultura, Lubiana, Slovenia
1998 – Borsa di studio del Ministero della Cultura, Lubiana, Slovenia
– Borsa di studio del Centro Soros per l’arte Contemporanea, Lubiana, Slovenia
1997 – Borsa di studio della Comunità Culturale di Lubiana, Lubiana, Slovenia
1996 – Borsa di studio dell’Open Society Fund, Lubiana, Slovenia
1994 – Borsa di studio del Ministero della Cultura, Lubiana, Slovenia
– Borsa di studio del Centro Soros per l’arte Contemporanea, Lubiana, Slovenia


Progetti curatoriali:

– Attraverso il vetro – Giovane arte ungherese, Galleria Skuc, Lubiana, 1995
– Per la qualità della vita, Galleria P74, Lubiana, 1997
– Questa città non è sufficientemente grande per tutti e due, Vrabic e Kariz,
Galleria P74, Lubiana, 1997
– BIOTOP /con A.Pirman/, Galleria P74, 1997
– Il gusto della città /con Igor Zabel e Gregor Podnar/, Galleria P74 e
Galleria Skuc, 1999
– Io tocco me stesse, Galleria P74, Lubiana, 2000
– Pitture 70,90 Revisione, Galleria P74, Lubiana, 2001



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