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AVANTI MARCH!
Progetti e iniziative
Gioco di parole a parte, la neonata Fondazione March di Padova -chiamata con il nome del mese in cui è stata costituita, nel marzo 2007- vuole porsi come avanguardia, avanti rispetto alla tradizionale concezione di “fondazione”. La Presidente Silvia Ferri De Lazara ci racconta tutto. Nel giorno in cui lo spazio apre al pubblico con il solo show di Yael Bartana e la project room di Jordan Wolfson...
Ripensare oggi una fondazione per l’arte contemporanea non è cosa da poco. Nell’immaginario collettivo la fondazione è vista come qualcosa di statico e rigido, che si relaziona con la memoria di qualcuno o qualcosa, che tutela ciò che esiste già o ciò che non esiste più. Mi piace pensare che la Fondazione March sia invece un meccanismo mobile, orizzontale e morbido, capace di dilatarsi nello spazio e in costante divenire. Vorrei che la creatività e la sperimentazione corrodessero e decostruissero ogni usuale attività e modalità.
Perché nella periferia di Padova? Non vi è il rischio di dover rinunziare a una fetta di pubblico potenziale?
Il centro di Padova dista da via Armistizio circa cinque chilometri, cioè otto fermate di autobus, trentacinque minuti a piedi, dieci di bicicletta, cinque di motorino. Ma se vogliamo proprio parlare di periferia, oramai si sa che nella periferia succedono le cose più interessanti e che il centro delle città sta diventando un noiosissimo museo. Si sa bene anche che il problema dei costi ha generato il fenomeno della gentrification e della riqualificazione di spazi borderline, ma in fondo il motivo principale che ci ha portati fuori è che una sede centrale molto istituzionale non è l’immagine che cerchiamo. Non vogliamo essere una cattedrale nel deserto, anzi tendiamo a costruire relazioni e, infatti, abbiamo in serbo delle sorprese che connetteranno la periferia al centro e viceversa, e che soprattutto collegheranno tutto il territorio di Padova con il territorio internazionale.
I vostri spazi?
La Fondazione March non è solo un luogo, ma un progetto d’arte e per l’arte contemporanea che può operare nella sua sede, nel suo territorio, ma anche altrove. Questa idea di mobilità dovrebbe garantire la sua qualità e freschezza, oltre ad attivare le relazioni di cui vi accennavo prima. Nello specifico: lo spazio della fondazione sarà su due piani: il piano terra, dove vi sarà l’archivio my folder, la biblioteca e la videoteca aperte al pubblico; il primo piano, con gli uffici e le parti espositive.
Una struttura del genere significa, innanzitutto, investimenti. Quanti soldi sono stati investiti e, soprattutto, chi li ha investiti? Chi sono i promotori della fondazione?
Gli investimenti principali sono stati quelli della passione, degli ideali, delle energie necessarie a pensare che le persone possano credere nell’arte contemporanea. Poi, convinta della possibilità di un proficuo scambio fra arte ed economia, in cui l’una riceve strumenti di sostegno e concretezza e l’altra la spinta innovativa della creatività, si è studiata, con la consulenza strategica di Goodwill, la forma giuridica della fondazione di partecipazione. Insieme a me, che rappresento il socio fondatore di maggioranza, Porsche Italia, che da tempo sostiene iniziative ed eventi culturali nei settori della musica, del cinema d’avanguardia, della scrittura creativa, ha aderito al progetto come socio fondatore minoritario.
La strategia culturale della tua istituzione.
La strategia culturale della fondazione non significa soltanto mostre, ma anche archivio di opere d’arte travelling, formazione a più livelli, servizi, linee di ricerche specializzate per la biblioteca e la videoteca, programmi di residence e di workshop. La scelta del target degli artisti invece è stata costruita in stretta relazione con la mission e con l’identità della fondazione: niente artisti superstar, ma artisti a metà della loro carriera e possibilmente poco conosciuti in Italia, ma già affermati nel sistema dell’arte. Per la nostra posizione geografica, ma anche per la convinzione che lì la creatività sia effervescente e sofisticata, volgeremo i nostri sguardi a est.
C’è stata qualche ispirazione rispetto a istituzioni straniere?
La mia esperienza newyorkese mi ha molto influenzato: il modello degli spazi indipendenti americani e, in particolare, dello spazio pierogi 2000 a Brooklyn mi hanno insegnato il rigore della selezione e allo stesso tempo la necessità assoluta di luoghi che aiutino la ricerca degli artisti al di là delle necessità commerciali.
Parliamo dello staff. Da chi e come è composto?
A parte lo stretto nucleo interno, la fondazione si avvale di collaboratori esterni che la seguono nelle sue aree principali: fiscale, comunicazione, progettazione dell’immagine, fundraising. Per la parte scientifica abbiamo fatto la scelta di avere un curatore interno che si relaziona con una rosa di curatori internazionali (Santa Nastro, N.d.R.).
Il naming e il branding della Fondazione ha una storia particolare. Ce la racconti?
Il naming della fondazione è un’opera d’arte, nata dal mio incontro-confronto con Jonathan Monk. Jonathan ha deciso di ancorare la struttura da un lato al momento dell’atto fondativo, il 29 marzo, e dall’altro di sottolineare il carattere di work in progress dell’attività artistico–culturale, modificando di mese in mese il nome della Fondazione march. La Fondazione March diventa così Fondazione April, Fondazione May, Fondazione June… Il costruire e il decostruire insieme. La riconoscibilità e lo spaesamento insieme. Lo studio grafico che ci segue, Signaletic di Paolo Fontana, ha poi sviluppato l’identità visiva mantenendo inalterato il messaggio di cambiamento implicito nel lavoro di Monk. Dalle pubblicità, al sito, all’idea della linea di variazione dei cataloghi sino alla segnaletica esterna. L’immagine è stata poi resa fundraising oriented.
Oltre all’aspetto espositivo, la Fondazione si pone come sorta di “centro servizi” con una serie di caratteristiche. Quali?
Credo che oggi fare formazione sia imprescindibile e debba quindi essere il primo servizio da offrire. Mi piacerebbe aiutare le persone a credere nella cultura e nell’arte, a capire il proprio tempo, a innalzare il proprio modello mentale e a saper vedere il mondo da prospettive diverse. Personalmente l’arte mi ha permesso di non fare la stessa strada tutti i giorni e di non sedermi sempre sulla stessa sedia a tavola, ed è già tanto. La fondazione poi ha studiato una ricca serie di servizi di orientamento sull’arte: consigli per gli acquisti, guida al collezionismo, guide alle mostre e a viaggi specializzati, etichette sulla conservazione del contemporaneo, ricerche approfondite per studi e istituzioni e anche editing per gli artisti più giovani.
Quale tipo di “clientela” avete individuato per questo tipo di servizi?
Per la formazione il range è molto vario: privati, addetti al settore, scuole e università, e soprattutto aziende. Non dimentichiamoci che noi siamo nati nel Nordest e che abbiamo grandi imprenditori e grandi aziende che sono continuamente tese verso l’innovazione e la creatività. La Fondazione March vuole porsi come intermediario fra il mondo imprenditoriale e quello dell’arte, fornendo le chiavi d’accesso necessarie per le due realtà. Il rischio e la sperimentazione impliciti nel Dna di un buon imprenditore sono qualità molto vicine all’arte contemporanea.
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La nascita della Fondazione
a cura di massimiliano tonelli
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 40. Te l’eri perso? Abbonati!
dal 30 ottobre 2007 al 21 gennaio 2008 (inaugurazione alle ore 18.30)
Yeal Bartana / Jordan Wolfson
a cura di Gabi Scardi
Fondazione March
Via Armistizio, 49 – 35142 Padova
Orario: da martedì a venerdì ore 10-14 e 16-20; sabato ore 16-20
Ingresso libero
Info: tel. +39 0498808331; fax +39 0496886727; info@fondazionemarch.org; www.fondazionemarch.org
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