19 novembre 2007

libri_biografie Leo Castelli (castelvecchi 2007)

 
È più coraggioso scrivere la recensione sul New York Times di un artista sconosciuto o promuoverlo aprendo una galleria? Leggere la biografia dell’elegante Leo Castelli è un beneficio per gli amanti dell’arte. Specie per chi non ha ancora deciso cosa fare da grande...

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Audax vicit. Leo Castelli è con ogni probabilità un personaggio mitizzato, ma fu certo uomo dall’intelletto acuto e sensibilissimo agli sviluppi dell’arte contemporanea. Vero è che senza i talenti aviti (e acquisiti) non sarebbe diventato uno dei più grandi galleristi del Novecento. Garba che un intellettuale -perché fu anche e soprattutto questo- sia anche un mercante. E, importante perché la cultura si fa e si consuma fuori, nel mondo, che abbia legato il proprio nome a due luoghi come l’Harry’s Bar di Venezia, che riservava un tavolino per lui e la consorte, poi strettissima collega, Ileana Sonnabend, e il Cedar Tavern di New York, dove avrebbe inventato l’Action Painting e la Pop Art.
Questo è il senso del titolo della biografia Leo Castelli. L’italiano che inventò l’arte in America, firmata da Alan Jones e con introduzione di Gillo Dorfles. Castelvecchi l’ha pubblicata quasi per caso: l’autore gli si piazzò davanti informandolo che stava compilando, in inglese s’intende, una biografia di Leo Castelli e desiderava fosse pubblicata in Italia, in occasione del centenario della nascita. Già nel 1996 Skira pubblicò una bella raccolta illustrata di testimonianze. Ma il lavoro di Jones è denso come una critica e appassionante come un romanzo. Con qualche eccesso di acribia.
Il 25esimo anniversario della Leo Castelli Gallery. Leo Castelli è il terzo da sinistra, seduto
La vita di Leo Castelli è l’entelechia dell’arte contemporanea: non c’è se non c’è il mercato. Castelli fu il motore di una macchina che ha bisogno del mercato per muoversi. Ad esempio, cos’è la Pop Art? È Leo Castelli, che visse in simbiosi e interagì con l’arte contemporanea. Non da subito, però. Dall’età di 50 anni in poi. Da quando decise che avrebbe fatto il gallerista. Vi furono avvisaglie ben prima, naturalmente. A 32 anni aprì -e poi chiuse- a Parigi la prima galleria, con la cerchia di Leonor Fini e René Drouin. Opening a mezzanotte a lume di candela, mescolando quadri e mobili, surrealismo e art nouveau. I suoi successi furono conseguenze di addii. A Trieste: da lì partì per andare a Bucarest, dove conobbe Ileana Schapira. A Parigi, per sfuggire alle persecuzioni razziali e giungere a New York. Dove nel 1957 aprì per la seconda volta una galleria. E dove nacque l’arte contemporanea americana. A New York, Castelli trovò una Trieste allargata e un ambiente culturale più stimolante di Parigi.
Leo Castelli
Grande mercante e grande intellettuale, seppe spostarsi con lo spirito dei tempi nei centri dell’arte -prima Parigi, poi New York- e, cogliendo la luce degli artisti emergenti, ebbe la capacità di restituirla loro in modo più intenso, dando senso ai più grandi dell’ultimo mezzo secolo. Twombly, De Kooning, Rauschenberg, Stella sono tali anche e soprattutto grazie a Castelli. Che rappresenta splendidamente la duplice funzione del sistema dell’arte: riconoscere (critica) e affermare (mercato).

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Leo Castelli Gallery

emanuele beluffi

la rubrica libri è diretta da marco enrico giacomelli

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 44. Te l’eri perso? Abbonati!


Alan Jones – Leo Castelli. L’italiano che inventò l’arte in America
Castelvecchi, Roma 2007
Pagg. 427, € 49,99
ISBN 9788876151958
Info: la scheda dell’editore

[exibart]

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