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03
dicembre 2007
fino al 12.I.2008 Luca Matti Firenze, Galleria Frittelli
toscana
È ancora possibile il contatto con una città che ha estromesso l’uomo? Forse sì, tornando indietro nel tempo o correndo in avanti. Con forme pure, fredde, concettuali. E sotto lo sguardo benigno degli architetti. Che sembrano fumetti...
È alla fine del Settecento che nasce l’idea di modernità come un “qui e ora” teso verso il futuro, l’innovazione, il progresso. La città è da questo momento in poi l’orizzonte imprescindibile dell’umano, luogo del cambiamento -anche feroce- in cui si confrontano natura e civiltà, uomo e tecnologia, individualità e collettività. Col postmoderno, tutto quello che della città era riconoscibile diventa un labirinto senza destinazione, un vortice disordinato, un insieme di messaggi e voci indecifrabili.
La città di Luca Matti (Firenze, 1964), almeno quella degli oli e degli acrilici (tutti rigorosamente in bianco e nero), estremizza questa perdita di comprensibilità tra uomo e ambiente urbano. La città è un organismo vivente che si autoalimenta, cresce per proliferazione, occupa tutto lo spazio disponibile, è un’infestazione “tutta orizzontale e tutta verticale”, come scrive Sergio Risaliti in catalogo. È un insieme impenetrabile di palazzi, uno accanto all’altro, uno sopra l’altro, uno germinante dall’altro, che ha espulso le strade e soprattutto gli uomini. La città è una malattia, un tumore che ha eliminato da sé l’elemento umano. I palazzi hanno finestre che sono puntini, non lasciano uscire né entrare niente. Matti deforma la città “al limite del fumetto e della pittura espressionista”. Il rapporto dell’uomo con la città si è interrotto, tanto che l’unico modo possibile di contatto con l’elemento urbano è quello di camminarci sopra, incerto, come recita il titolo di una delle opere in mostra. Da cui nasce il video, in cui alle immagini si accompagna l’angosciante respiro affannoso dell’uomo che salta da un palazzo all’altro.
L’altra sezione della mostra costituisce contemporaneamente un balzo in avanti e uno indietro nel tempo. La città carnale e viva delle opere pittoriche cede il posto a una installazione. In tre ambienti separati di un’unica sala sono disposti una griglia di tubi in pvc legati tra loro da camere d’aria e due specie di capanne, sempre in pvc, circondati da una serie di acrilici su carta in cui Matti ha ridisegnato a monocromo (partendo da fotografie) i volti di importanti architetti del Novecento. La griglia e la casa/capanna: forme base, azzerate, prive di storia e aperte a ogni sviluppo oppure deriva post-atomica, punto di non ritorno.
In ogni caso, forme pure, fredde, penetrabili con la mente e con la vista. Che non è solo quella dell’osservatore: ai lati, infatti, ci sono i ritratti degli architetti che osservano la scena come numi tutelari. Tratteggiati con un segno leggero e ironico, ancora da fumettista, questi volti diventano quasi “tipi”, un vocabolario umano che sembra ritentare, ognuno a suo modo, un contatto.
La città di Luca Matti (Firenze, 1964), almeno quella degli oli e degli acrilici (tutti rigorosamente in bianco e nero), estremizza questa perdita di comprensibilità tra uomo e ambiente urbano. La città è un organismo vivente che si autoalimenta, cresce per proliferazione, occupa tutto lo spazio disponibile, è un’infestazione “tutta orizzontale e tutta verticale”, come scrive Sergio Risaliti in catalogo. È un insieme impenetrabile di palazzi, uno accanto all’altro, uno sopra l’altro, uno germinante dall’altro, che ha espulso le strade e soprattutto gli uomini. La città è una malattia, un tumore che ha eliminato da sé l’elemento umano. I palazzi hanno finestre che sono puntini, non lasciano uscire né entrare niente. Matti deforma la città “al limite del fumetto e della pittura espressionista”. Il rapporto dell’uomo con la città si è interrotto, tanto che l’unico modo possibile di contatto con l’elemento urbano è quello di camminarci sopra, incerto, come recita il titolo di una delle opere in mostra. Da cui nasce il video, in cui alle immagini si accompagna l’angosciante respiro affannoso dell’uomo che salta da un palazzo all’altro.
L’altra sezione della mostra costituisce contemporaneamente un balzo in avanti e uno indietro nel tempo. La città carnale e viva delle opere pittoriche cede il posto a una installazione. In tre ambienti separati di un’unica sala sono disposti una griglia di tubi in pvc legati tra loro da camere d’aria e due specie di capanne, sempre in pvc, circondati da una serie di acrilici su carta in cui Matti ha ridisegnato a monocromo (partendo da fotografie) i volti di importanti architetti del Novecento. La griglia e la casa/capanna: forme base, azzerate, prive di storia e aperte a ogni sviluppo oppure deriva post-atomica, punto di non ritorno.
In ogni caso, forme pure, fredde, penetrabili con la mente e con la vista. Che non è solo quella dell’osservatore: ai lati, infatti, ci sono i ritratti degli architetti che osservano la scena come numi tutelari. Tratteggiati con un segno leggero e ironico, ancora da fumettista, questi volti diventano quasi “tipi”, un vocabolario umano che sembra ritentare, ognuno a suo modo, un contatto.
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In collettiva a Mirano
donata panizza
mostra visitata il 20 novembre 2007
dal 17 novembre 2007 al 12 gennaio 2008
Luca Matti – Babele
a cura di Sergio Risaliti
Frittelli Arte Contemporanea
Via Val di Marina, 15 (zona Novoli) – 50127 Firenze
Orario: da martedì a sabato ore 10-13 e 15.30-19.30; lunedì, domenica e festivi su appuntamento
Ingresso libero
Catalogo disponibile
Info: tel. +39 055410153; fax +39 0554377359; info@frittelliarte.it; www.frittelliarte.it
[exibart]
Bravo Luca.
un mito
grande!