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21
dicembre 2007
LA PI(A)ZZA NATALIZIA
Progetti e iniziative
Napoli, piazza Plebiscito, ore sedici e trenta del ventidue dicembre. Come andrà quest’anno? La classica domanda dalle cento pistole. Ma con un unico Pistoletto. E col solito, prevedibile pistolotto...
di Anita Pepe
Come ogni Natale che si rispetti sforna il suo “cinepanettone”, così Napoli non può fare a meno di scodellare l’installazione in piazza Plebiscito. Piazza un tempo simbolo del bassolinismo illuminato, oggi arena improvvisata per agoni calcistici, rampa di lancio per scooter plurifamiliari (nonostante la pedonalizzazione) e, una tantum, palcoscenico di comizi e concertoni. Terra di nessuno sovrastata dal degradato Pallonetto, da attraversare a passo spedito. E circospetto, visto che, come annota Ermanno Rea nel suo ultimo, splendido Napoli ferrovia, qui le zebre pedonali, indicatori di vivibilità, democrazia e capacità di gestione della cosa pubblica, sono puri ectoplasmi. Questo l’emiciclo borbonico, spazio decisamente difficile per un intervento artistico, a non volerlo definire impietosamente brutto: troppo grande, troppo bianco, con quella chiesa troppo finta che mixa, scimmiottandoli, Pantheon e Colonnato di San Pietro.
L’anno scorso se l’è cavata bene Jenny Holzer, impostasi semplicemente con le gigantesche proiezioni dei suoi tipici truism. Fedeli a se stessi rimasero pure Luciano Fabro, con una della sue “Italie” capovolte, Joseph Kosuth, che “scarabocchiò” una citazione crociata al neon, Mario Merz che, al solito, “diede i numeri”, mentre Anish Kapoor tese e fece squillare la tromba della “Vela” rossa. Poco brillò la stella di Gilberto Zorio, svanì Da un momento all’altro Giulio Paolini, sbiadì la pur imponente mole di pietra firmata Sol LeWitt. E ci fu chi si attirò lazzi: i mobili appesi da Jannis Kounellis fecero ricordare il proverbiale “Quatt’e maggio” degli sfratti popolari, Rebecca Horn fu letteralmente massacrata per le sue “capuzzelle” di morto (cui qualcuno pensò bene di accendere candele e lumini). Peggio andò a Richard Serra, la cui Spirale, rimasta in loco fino a primavera, funse perfino da orinatoio (e certo non per ispirazione duchampiana). Ai nastri di partenza ora c’è un altro grande, Michelangelo Pistoletto, che con Love difference verrà a diffondere il verbo buonista dell’intercultura mediterranea in una delle polis storicamente più ibride del Mare Nostrum.
Servito il “pastone” d’obbligo per chi si fosse perso le puntate precedenti, per l’installoroccocò partenopeo (da queste parti il panettone è arrivato dopo) giunge inevitabilmente il momento del dibattito. A tredici anni di distanza dal primo esperimento, ci si chiede innanzitutto se l’installazione del Plebiscito abbia ancora un senso, e quale sia. Se, infatti, la novità della Montagna di sale di Mimmo Paladino nel 1995 calamitò la curiosità e l’interesse di “indigeni” e turisti, oggi, più che bersaglio d’un’aspra resistenza, l’operazione natalizia pare essere l’ennesimo muro di gomma contro cui sbatte una città rassegnata a colare a picco nelle classifiche sulla qualità della vita, curva nella lacera maglia nera di capitale del Negativo, dai rifiuti alla criminalità (e pure per le zebre, accidenti a Rea!).
Sicché si rifletterà sul valor civile della lussuosa decorazione in un contesto privo di senso civico, e salteranno fuori i ragionieri, riattizzando le polemiche sui costi (in parte strumentali e demagogiche, in parte fondate, in ogni caso fumo negli occhi). Perché, dunque, ripetere il “regalo” senza chiedersi se i suoi destinatari se ne sentiranno appagati proprietari? E quanto, per esteso, i napoletani sono riusciti ad affezionarsi all’arte contemporanea? Per rispondere alla domanda basterebbero forse i botteghini di Pan e MADRe, che non tintinnano esattamente come le slot machine di Las Vegas, anche se il secondo, con i cinque milioni di euro stanziati dalla Finanziaria regionale 2008, sembra passarsela decisamente meglio.
All’argomento s’aggancia un altro quesito: ha ancora senso il piano bonitoliviano d’’“arte obbligata” in un posto ormai provvisto di due spazi dedicati (per giunta l’intervento di Pistoletto avrà una propaggine fondamentale a Donnaregina, organizzatrice dell’intera operazione, dove andranno Luogo di raccoglimento, Il Terzo Paradiso e la Venere degli stracci)? Dunque l’appuntamento di Largo di Palazzo è una consuetudine passivamente accettata o un evento atteso e invocato? Non trascurabile, infine, l’atteggiamento e l’approccio degli autori convocati. Certo, è ridicolo tacciarli di disamore nei confronti di una comunità che chiaramente dell’arte non vuole saperne, considerato il suo modo di tenere il/al suo patrimonio e di recepire i deboli tentativi culturali, ma è evidente che nessuno dei big finora ingaggiati abbia osato pensare più al genius loci che a se stesso, checché ne abbia detto la propaganda (forse solo la Horn, ma qual guiderdone ne ha ricevuto!). Lo stesso Pistoletto arriva rimaneggiando un lavoro della 50esima Biennale di Venezia (quest’anno c’è stata la 52esima, quindi si fa presto a calcolare la freschezza dell’invenzione).
Proprio in ragione dei massicci investimenti sul contemporaneo -qualunque ne sia stato l’esito- e proprio per sottolineare la dignità di tale progetto, piuttosto che incartarsi nella solfa autarchica “Napoli ai napoletani”, si dovrebbe allora pretendere un’idea davvero site specific, invece della solita -prestigiosa ma pigra- incursione “coloniale”, col placet di chi ci mette la faccia (sua) e i soldi (di tutti). Perché rococò e panettone sono buoni entrambi, per carità. Però c’è chi non li digerisce allo stesso modo.
L’anno scorso se l’è cavata bene Jenny Holzer, impostasi semplicemente con le gigantesche proiezioni dei suoi tipici truism. Fedeli a se stessi rimasero pure Luciano Fabro, con una della sue “Italie” capovolte, Joseph Kosuth, che “scarabocchiò” una citazione crociata al neon, Mario Merz che, al solito, “diede i numeri”, mentre Anish Kapoor tese e fece squillare la tromba della “Vela” rossa. Poco brillò la stella di Gilberto Zorio, svanì Da un momento all’altro Giulio Paolini, sbiadì la pur imponente mole di pietra firmata Sol LeWitt. E ci fu chi si attirò lazzi: i mobili appesi da Jannis Kounellis fecero ricordare il proverbiale “Quatt’e maggio” degli sfratti popolari, Rebecca Horn fu letteralmente massacrata per le sue “capuzzelle” di morto (cui qualcuno pensò bene di accendere candele e lumini). Peggio andò a Richard Serra, la cui Spirale, rimasta in loco fino a primavera, funse perfino da orinatoio (e certo non per ispirazione duchampiana). Ai nastri di partenza ora c’è un altro grande, Michelangelo Pistoletto, che con Love difference verrà a diffondere il verbo buonista dell’intercultura mediterranea in una delle polis storicamente più ibride del Mare Nostrum.
Servito il “pastone” d’obbligo per chi si fosse perso le puntate precedenti, per l’installoroccocò partenopeo (da queste parti il panettone è arrivato dopo) giunge inevitabilmente il momento del dibattito. A tredici anni di distanza dal primo esperimento, ci si chiede innanzitutto se l’installazione del Plebiscito abbia ancora un senso, e quale sia. Se, infatti, la novità della Montagna di sale di Mimmo Paladino nel 1995 calamitò la curiosità e l’interesse di “indigeni” e turisti, oggi, più che bersaglio d’un’aspra resistenza, l’operazione natalizia pare essere l’ennesimo muro di gomma contro cui sbatte una città rassegnata a colare a picco nelle classifiche sulla qualità della vita, curva nella lacera maglia nera di capitale del Negativo, dai rifiuti alla criminalità (e pure per le zebre, accidenti a Rea!).
Sicché si rifletterà sul valor civile della lussuosa decorazione in un contesto privo di senso civico, e salteranno fuori i ragionieri, riattizzando le polemiche sui costi (in parte strumentali e demagogiche, in parte fondate, in ogni caso fumo negli occhi). Perché, dunque, ripetere il “regalo” senza chiedersi se i suoi destinatari se ne sentiranno appagati proprietari? E quanto, per esteso, i napoletani sono riusciti ad affezionarsi all’arte contemporanea? Per rispondere alla domanda basterebbero forse i botteghini di Pan e MADRe, che non tintinnano esattamente come le slot machine di Las Vegas, anche se il secondo, con i cinque milioni di euro stanziati dalla Finanziaria regionale 2008, sembra passarsela decisamente meglio.
All’argomento s’aggancia un altro quesito: ha ancora senso il piano bonitoliviano d’’“arte obbligata” in un posto ormai provvisto di due spazi dedicati (per giunta l’intervento di Pistoletto avrà una propaggine fondamentale a Donnaregina, organizzatrice dell’intera operazione, dove andranno Luogo di raccoglimento, Il Terzo Paradiso e la Venere degli stracci)? Dunque l’appuntamento di Largo di Palazzo è una consuetudine passivamente accettata o un evento atteso e invocato? Non trascurabile, infine, l’atteggiamento e l’approccio degli autori convocati. Certo, è ridicolo tacciarli di disamore nei confronti di una comunità che chiaramente dell’arte non vuole saperne, considerato il suo modo di tenere il/al suo patrimonio e di recepire i deboli tentativi culturali, ma è evidente che nessuno dei big finora ingaggiati abbia osato pensare più al genius loci che a se stesso, checché ne abbia detto la propaganda (forse solo la Horn, ma qual guiderdone ne ha ricevuto!). Lo stesso Pistoletto arriva rimaneggiando un lavoro della 50esima Biennale di Venezia (quest’anno c’è stata la 52esima, quindi si fa presto a calcolare la freschezza dell’invenzione).
Proprio in ragione dei massicci investimenti sul contemporaneo -qualunque ne sia stato l’esito- e proprio per sottolineare la dignità di tale progetto, piuttosto che incartarsi nella solfa autarchica “Napoli ai napoletani”, si dovrebbe allora pretendere un’idea davvero site specific, invece della solita -prestigiosa ma pigra- incursione “coloniale”, col placet di chi ci mette la faccia (sua) e i soldi (di tutti). Perché rococò e panettone sono buoni entrambi, per carità. Però c’è chi non li digerisce allo stesso modo.
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Pistoletto al Mamac di Nizza
anita pepe
*foto in alto: Jenny Holzer – For Naples – 2006 – photo Peppe Avallone
dal 22 dicembre 2007 al 25 febbraio 2008
Michelangelo Pistoletto – Love difference
Piazza Plebiscito – 80132 Napoli
Madre – Museo d’Arte Donna REgina
Via Settembrini, 79 (zona San Lorenzo) – 80139 Napoli
Orario: lunedì, mercoledì, giovedì e domenica ore 10-21; venerdì e sabato ore 10-24
Ingresso: intero € 7; ridotto € 3,50; lunedì gratuito
Catalogo Electa
Info: tel. +39 08119313016; www.museomadre.it
[exibart]
Bravissima Anita….mettiamo i puntini sulle “i”!!!
E’ proprio così… non si può pensare che una scenografia d’arte appanni il degrado totalizzante della città. E mi fa ancora più rabbia il fatto che nelle vie “turistiche” i
sacchetti vengano raccolti (per essere gettati chissà dove?!) e i camioncini con le spazzole circolino puntualmente…
Intanto c’è un’intera provincia (anzi due! anche quella di Caserta!) che soffrono a causa dei rifiuti il più alto tasso di tumori d’Europa!!!
Abituare la gente al BELLO, si… alla fine questo tipo d’arte fa solo innervosire.
Come artista approfittrei per sensibilizzare
la gente sui guai della città più sfortunata della panisola. Città che pare furba ma è solo mortalmente ingenua.
… Sempre come artista, non mi preoccuperai solo di installere un’opera dove la mia “griffe” sia ben riconoscibile…
E giocarsi il tutto per tutto installando una bella piramide di “eco”balle in piazza?
(Anita, scrivi giusto e bene!)
Sono da poco iscritto alle news di exibart, ho aderito per mera curiosità non conoscendo nulla di arte ed inpartcolare di quella contemporanea; facendo un consuntivo dopo qualche mese posso afferamre che questa esperienza mi sta arricchendo e mi permette nuove conoscenze artistiche; ritornando all’articolo, il cui contenuto condivido in pieno, si spiega come il vs sito non è solo arte ma tutto ciò che può interessare un normale lettore. Nell’augurarvi un sereno Natale ed uno splendido 2008 vi saluto.
Ah, ecco…quindi abbandonare l’impresa sarebbe più semplice, vero? Tanto cosa ne capiranno mai i napoletani che non riescono né a pulire la città, né a gestire qualche striscia pedonale?!
Putroppo Napoli è anche questa, me ne accorgo quotidianamente, penso ogni giorno a quanto sarebbe meglio poter crescere un figlio al di fuori di questa città.
Ma la Napoli che ho studiato, letto, ammirato non merita questo. I napoletani, quelli fieri di avere la loro città all’avanguardia nel campo dell’arte contemporanea, non lo meritano! Lororo meritano il Pan, il Madre e il regalo di Natale…e meriterebbero tutto il possibile per tenere alta qualunque tipo di manifestazione culturale.
Mi sembra di leggere in questo articolo un senso di stanchezza che capisco in pieno (sia chiaro questo!), ma così inutile da scrivere!
C’è da scrivere per chi ha voglia di leggerle queste cose, e chi ha voglia di leggere non vuole intravedere tra le parole le solite scene quotidiane.
Voleva essere un invito alla visita all’installazione? …beh, c’è riuscita! Scatena talmente tanta rabbia, che ci si va per “dispetto”!
Arrivederci a piazza Plebiscito.
Bis del commento all’articolo “Sol LeWitt – Napoli Piazza del Plebiscito – 09/02/2006 :
..“ Abbiamo visto che siamo capaci di organizzare mostre con grossi nomi, ma abbiamo anche visto che la riuscita di un’opera non è direttamente proporzionale alla fama dell’artista. Abbiamo, finalmente, anche dei luoghi specifici deputati ad accogliere “i Grandi dell’Arte”….allora perché non chiamiamo i Maestri (solo) a prendersi la responsabilità annualmente di selezionare i lavori di Creativi , Artisti e Architetti meno noti in un concorso di idee per Piazza del Plebiscito? Potrebbe diventare un evento di straordinaria importanza culturale per la Città oltre che di “reale apertura” alla contemporaneità ”
Statevi bene.(e buon Natale”
rabbia? e perché rabbia? andiamo in piazza Plebiscito, ma serenamente… così, cara Mika, non avremmo la vista annebbiata e potremo valutare tranquillamente quello che c’è. napoli offre molto altro per cui arrabbiarsi: il mondo non gira intorno all’arte contemporanea.
Brava Anita,hai coraggio e responsabilità!
Ora piu che mai l’idea di te che ho è quella giusta!.
Piccola annotazione diretta agli operatori del settore artistico,attenzione che non si faccia ,come sempre a Napoli,ossia a”buttare il bambino con l’acqua sporca!”
Tuo
Guido
mi dispiace leggere di napoli come di una bestia ferita, in punto di morte.
napoli chiagne e fotte, come sempre. non preoccupatevi.