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09
gennaio 2008
fino al 16.II.2008 Gabriele Pierluisi Roma, M-Arte
roma
Quando le tecniche si compenetrano e i confini sono trascurati, non è più un dilemma se è fotografia con pittura oppure pittura con fotografia. Importante è il fine: conoscere il mondo. Ma nell’accezione di personale e intima esperienza...
La parola chiave di tutto è sconfinamento. E per “tutto” s’intende veramente tutto. I lavori di Gabriele Pierluisi (Roma, 1966; vive a Roma e Milano), le tecniche adottate, lo spazio. I lavori, perché sconfinano dall’essere quadri bidimensionali o tridimensionali trittici da tavolo. Le tecniche utilizzate, perché la fotografia, che oscilla tra quella digitale e quella analogica, sconfina nella pittura, che fluttua tra l’acrilico e il digitale. Lo spazio espositivo, perché è un interno che mantiene un certo ricordo di esterno, per la presenza dei noti “sanpietrini”, che sconfina nello studio, che sconfina nell’abitazione. La quotidianità di Pierluisi che sconfina, appunto, tra Roma e Milano, tra l’essere architetto (formazione che trasuda dalla progettualità dei suoi lavori, sottolineata dalla presentazione, in catalogo, di Massimiliano Fuksas), professore e artista.
Così, entrando nel primo ambiente della neonata M-Arte, si viene letteralmente inghiottiti dalla città, dalle sue architetture, dalla sua desolante bellezza e mostruosa poesia. Una città sezionata, scomposta, analizzata, sperimentata. Attraverso la fotografia, che con rapidità ne congela le fantastiche e rinnovate prospettive, ma anche con la serena lentezza degli acquarelli, in alcuni taccuini. E l’intervento pittorico sull’immagine è spesso effettuato con il colore oro, quel non colore che nel passato era lo sfondo prediletto nella pittura, a indicare lo spazio infinito.
La fotografia, montata su pannelli in alluminio, sembra voler echeggiare la tridimensionalità delle architetture fissate: lastre che si contorcono, come leggeri nastri, formando accennate pieghe, perdendo così la piatta bidimensionalità, così per i trittici da tavolo in pannelli appesi al muro. Quelle pieghe dentro le quali Pierluisi indaga, cerca l’essenza. È anche, per paradosso, un romantico omaggio alla sua città natale, lontana dalla magnificenza dei suoi celebri monumenti, che ne fanno il lustro nel mondo, ma la Roma della periferia, in quella terra di nessuno che nel passato l’ha resa terreno di sperimentazione e di trasfigurazione, connotandola di affascinanti mostri architettonici, che sono ugualmente diventati, nell’immaginario collettivo dei romani, simbolo di precisi periodi storici, nei confronti dei quali si prova sempre quella dualità di sentimenti tra l’amore e l’odio.
Sono quelle architetture, come la Tangenziale Est sopraelevata, la Stazione Tiburtina o la Stazione Termini, mostruosamente belle, che creano, ogni volta che le si guarda con occhio nuovo, delle prospettive, originali e affascinanti, impreviste; misteriosamente seducenti con le loro ombre, con la loro desolante essenzialità (come non ricordare lo sconforto di Sergio Castellitto ne Il grande cocomero?).
Tutto a raccontare l’azione dell’uomo nello spazio che lo circonda, in cui vive. Azioni che lo stravolgono e ne modificano il profilo, creando nuovi -nonché fantastici e fantasiosi- orizzonti.
Così, entrando nel primo ambiente della neonata M-Arte, si viene letteralmente inghiottiti dalla città, dalle sue architetture, dalla sua desolante bellezza e mostruosa poesia. Una città sezionata, scomposta, analizzata, sperimentata. Attraverso la fotografia, che con rapidità ne congela le fantastiche e rinnovate prospettive, ma anche con la serena lentezza degli acquarelli, in alcuni taccuini. E l’intervento pittorico sull’immagine è spesso effettuato con il colore oro, quel non colore che nel passato era lo sfondo prediletto nella pittura, a indicare lo spazio infinito.
La fotografia, montata su pannelli in alluminio, sembra voler echeggiare la tridimensionalità delle architetture fissate: lastre che si contorcono, come leggeri nastri, formando accennate pieghe, perdendo così la piatta bidimensionalità, così per i trittici da tavolo in pannelli appesi al muro. Quelle pieghe dentro le quali Pierluisi indaga, cerca l’essenza. È anche, per paradosso, un romantico omaggio alla sua città natale, lontana dalla magnificenza dei suoi celebri monumenti, che ne fanno il lustro nel mondo, ma la Roma della periferia, in quella terra di nessuno che nel passato l’ha resa terreno di sperimentazione e di trasfigurazione, connotandola di affascinanti mostri architettonici, che sono ugualmente diventati, nell’immaginario collettivo dei romani, simbolo di precisi periodi storici, nei confronti dei quali si prova sempre quella dualità di sentimenti tra l’amore e l’odio.
Sono quelle architetture, come la Tangenziale Est sopraelevata, la Stazione Tiburtina o la Stazione Termini, mostruosamente belle, che creano, ogni volta che le si guarda con occhio nuovo, delle prospettive, originali e affascinanti, impreviste; misteriosamente seducenti con le loro ombre, con la loro desolante essenzialità (come non ricordare lo sconforto di Sergio Castellitto ne Il grande cocomero?).
Tutto a raccontare l’azione dell’uomo nello spazio che lo circonda, in cui vive. Azioni che lo stravolgono e ne modificano il profilo, creando nuovi -nonché fantastici e fantasiosi- orizzonti.
daniela trincia
mostra visitata il 30 novembre 2007
dal 23 novembre 2007 al 16 febbraio 2008
Gabriele Pierluisi – Paesaggi Urbani
M-Arte galleria
Vicolo del Farinone, 32 (Borgo Pio) – 00193 Roma
Orario: da lunedì a venerdì ore 15-19; mattina e sabato su appuntamento
Ingresso libero
Catalogo disponibile
Info: tel./fax +39 0697602788; galleria@m-artegalleria.com; www.m-artegalleria.com
[exibart]