Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
10
gennaio 2008
fino al 26.I.2008 Arte come architettura Milano, Galleria Fonte d’Abisso
milano
Il Futurismo e l’arte del secondo dopoguerra guardano all’architettura. Con molte affinità. Intersezioni e scambi, a distanza di qualche decennio. Tra progetti, sculture e dipinti...
Si avvicina il centenario del Futurismo, fissato per il 2009. E s’intensificano le interessanti riletture critiche dell’unica avanguardia italiana, oltre all’Arte Povera, che abbia goduto di spiccato interesse anche all’estero. Dopo l’eccezionale mostra Il futuro del Futurismo alla Gamec di Bergamo e il volume Futurismo da ripensare di Giorgio de Marchis, uscito per Electa, è la volta della mostra curata da Marco Meneguzzo e Danna Battaglia Olgiati presso la galleria Fonte d’Abisso. L’approccio è simile e contrario a quello della Gamec. Si mettono a confronto le opere d’epoca dei futuristi con prove successive che ne condividono la forma oppure lo spirito, concentrandosi però solo su un aspetto dell’eredità futurista, l’approccio all’architettura (contemplato anche dalla mostra bergamasca).
Ciò che lega i futuristi e i loro “eredi” è l’approccio all’architettura come una delle facce di un poliedro che è l’arte totale, l’arte come unione spregiudicata di discipline diverse. E non è chiaro quanto tale atteggiamento derivi da un’imitazione di Marinetti, Depero e soci, oppure quanto tale consonanza testimoni solo della loro preveggenza, dato che i loro temi sono rintracciabili anche in opere realizzate decenni dopo. Il taglio di Meneguzzo e della Olgiati è comunque maggiormente rivolto alla ricerca di consonanze formali, con risultati di grande raffinatezza.
Tra le opere storiche, sfilano i progetti urbanistici di Antonio Sant’Elia per la Nuova Stazione di Milano, di Mario Chiattone (il Palazzo della Moda e una centrale elettrica) e di Virgilio Marchi per una stazione dei treni funicolari, oltre a quelli degli anni ’40 di Prampolini (il progetto per l’E42 e la decorazione del teatro per la Mostra d’Oltremare). Sono però di Fortunato Depero alcune delle opere migliori in mostra. Due gioiellini: l’elegantissimo, penetrante Personaggi in un interno (1922), che compenetra uomo, spazio abitativo e spazio urbano; e la tarsia di panni colorati Paracadutisti, stabilimenti Caproni e Trimotore (1937).
Tra le opere degli “eredi”, allestite secondo azzeccati e sottili accostamenti, un concretissimo Fontana del 1957, un Melotti che sfiora la decorazione e il design (!), un Consagra scultore-architetto, un Lo Savio progettista, tre lavori di Giuseppe Uncini e Mario Merz con L’alveare e la pentola, igloo del 1985 che accoglie il visitatore, immergendolo da subito nella suggestione.
Si esce con grande nostalgia, da questa mostra. Nostalgia per un tempo non così distante, in cui gli artisti volevano farsi architetti o designer urbani, e non viceversa.
Ciò che lega i futuristi e i loro “eredi” è l’approccio all’architettura come una delle facce di un poliedro che è l’arte totale, l’arte come unione spregiudicata di discipline diverse. E non è chiaro quanto tale atteggiamento derivi da un’imitazione di Marinetti, Depero e soci, oppure quanto tale consonanza testimoni solo della loro preveggenza, dato che i loro temi sono rintracciabili anche in opere realizzate decenni dopo. Il taglio di Meneguzzo e della Olgiati è comunque maggiormente rivolto alla ricerca di consonanze formali, con risultati di grande raffinatezza.
Tra le opere storiche, sfilano i progetti urbanistici di Antonio Sant’Elia per la Nuova Stazione di Milano, di Mario Chiattone (il Palazzo della Moda e una centrale elettrica) e di Virgilio Marchi per una stazione dei treni funicolari, oltre a quelli degli anni ’40 di Prampolini (il progetto per l’E42 e la decorazione del teatro per la Mostra d’Oltremare). Sono però di Fortunato Depero alcune delle opere migliori in mostra. Due gioiellini: l’elegantissimo, penetrante Personaggi in un interno (1922), che compenetra uomo, spazio abitativo e spazio urbano; e la tarsia di panni colorati Paracadutisti, stabilimenti Caproni e Trimotore (1937).
Tra le opere degli “eredi”, allestite secondo azzeccati e sottili accostamenti, un concretissimo Fontana del 1957, un Melotti che sfiora la decorazione e il design (!), un Consagra scultore-architetto, un Lo Savio progettista, tre lavori di Giuseppe Uncini e Mario Merz con L’alveare e la pentola, igloo del 1985 che accoglie il visitatore, immergendolo da subito nella suggestione.
Si esce con grande nostalgia, da questa mostra. Nostalgia per un tempo non così distante, in cui gli artisti volevano farsi architetti o designer urbani, e non viceversa.
articoli correlati
Il futuro del futurismo a Bergamo
stefano castelli
mostra visitata il 27 novembre 2007
dal 25 ottobre 2007 al 26 gennaio 2008
Arte come architettura. Una lettura futurista
a cura di Danna Battaglia Olgiati e Marco Meneguzzo
Galleria Fonte d’Abisso
Via del Carmine, 7 (zona Brera) – 20121 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 10.30-13.30 e 15-19; chiuso dal 27 dicembre al 6 gennaio
Ingresso libero
Catalogo Silvana Editoriale, € 28
Info: tel. +39 0286464407; fax +39 02860313; info@fdabisso.com; www.fdabisso.com
[exibart]