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17
gennaio 2008
fino al 10.II.2008 Allan Kaprow Genova, Villa Croce
genova
“Cos’è un happening? Un gioco, un’avventura, un numero di attività intraprese dai partecipanti per il gusto di giocare”. Così Allan Kaprow definiva la nuova forma d’arte. Quarant’anni dopo, Villa Croce gli dedica una retrospettiva. Non solo immagini, video e appunti...
Art as Life, completa retrospettiva sull’opera di Allan Kaprow (Atlantic City, 1927 – Encinitas, 2006), non si limita a riproporre, con documentazione video e fotografica, la produzione più celebre dell’artista statunitense.
Al primo piano del museo sono presenti tele, collage e assemblage, testimonianza di un’attenzione sempre crescente allo spazio come “materiale artistico”, in un percorso che sfocerà nella realizzazione di enviroment e performace. La parte centrale della mostra presenta vario materiale: foto, appunti, istruzioni, schizzi che introducono ai video, ai quali è dedicato l’ultimo piano del museo. Lo spettatore è invitato a sedersi sui divanetti, a indossare le cuffie e a decidere con un telecomando quale di essi vedere. Al termine della visita sono a disposizione del pubblico alcune istruzioni per performance, ideate da Kaprow, con l’invito a metterle in scena e a fornirne una documentazione al museo.
Per una volta, il luogo comune del “potevo farlo anch’io” sembra confermato: il pubblico svolge un ruolo attivo e fondamentale all’interno della mostra. Tramite un sito internet o telefonando a Villa Croce, chiunque può prenotarsi per partecipare allo svolgimento di happening organizzati dal museo genovese ma che ne superano i limiti architettonici, entrando in diretto rapporto con la città. Quelle che vengono rappresentate sono le stesse “azioni” che l’artista ha ideato e diretto dal 1958, anno in cui teorizzò l’action collage: un’ esperienza collettiva i cui punti fondamentali sono la partecipazione del pubblico e la casualità. Un copione, infatti, può essere seguito solo entro i limiti del programmabile. Ma fino a che punto è possibile prevedere le reazioni dei singoli partecipanti? Il tempo fisico e meteorologico? È proprio nella risposta o, meglio, nella non-risposta a questo interrogativo che sta la forza del linguaggio artistico inventato da Kaprow.
È ancora la casualità a dominare l’interazione fra i visitatori e gli environment, allestiti al piano terra del museo, sotto la regia dell’artista Fluxus Geoffrey Hendricks, che riesce a riproporre il significato che voleva trasmettere il loro ideatore alla prima realizzazione, nonostante la distanza temporale e spaziale. Anche in essi è fondamentale un’interazione che porta a vivere, toccare, modificarne ogni parte. Così, in Apple Shrine, le mele possono e devono essere spostate e il labirinto che le contiene può e deve essere sfruttato come luogo di meditazione.
Quello degli ideatori della mostra, Eve Meyer-Hermann e Stephanie Rosenthal, è più che un omaggio all’artista americano. Dimostra che la sua arte non solo è attuale ma anche attuabile; non vive solo nella nostra memoria storica, che pure le riconosce un profondo valore innovativo nell’arte del Novecento, ma è ancora viva e praticabile pure senza il suo creatore.
Appare chiaro come ciò che unisce e sottende a tutta l’opera di Kaprow sia il valore “fisico” del fare: già alla fine degli anni ‘60, a dimostrazione di ciò, aveva cambiato il nome dei suoi happening in activity: sancendo il passaggio da un avvenimento che sembrava semplicemente accadere a una vera e propria azione organizzata.
Al primo piano del museo sono presenti tele, collage e assemblage, testimonianza di un’attenzione sempre crescente allo spazio come “materiale artistico”, in un percorso che sfocerà nella realizzazione di enviroment e performace. La parte centrale della mostra presenta vario materiale: foto, appunti, istruzioni, schizzi che introducono ai video, ai quali è dedicato l’ultimo piano del museo. Lo spettatore è invitato a sedersi sui divanetti, a indossare le cuffie e a decidere con un telecomando quale di essi vedere. Al termine della visita sono a disposizione del pubblico alcune istruzioni per performance, ideate da Kaprow, con l’invito a metterle in scena e a fornirne una documentazione al museo.
Per una volta, il luogo comune del “potevo farlo anch’io” sembra confermato: il pubblico svolge un ruolo attivo e fondamentale all’interno della mostra. Tramite un sito internet o telefonando a Villa Croce, chiunque può prenotarsi per partecipare allo svolgimento di happening organizzati dal museo genovese ma che ne superano i limiti architettonici, entrando in diretto rapporto con la città. Quelle che vengono rappresentate sono le stesse “azioni” che l’artista ha ideato e diretto dal 1958, anno in cui teorizzò l’action collage: un’ esperienza collettiva i cui punti fondamentali sono la partecipazione del pubblico e la casualità. Un copione, infatti, può essere seguito solo entro i limiti del programmabile. Ma fino a che punto è possibile prevedere le reazioni dei singoli partecipanti? Il tempo fisico e meteorologico? È proprio nella risposta o, meglio, nella non-risposta a questo interrogativo che sta la forza del linguaggio artistico inventato da Kaprow.
È ancora la casualità a dominare l’interazione fra i visitatori e gli environment, allestiti al piano terra del museo, sotto la regia dell’artista Fluxus Geoffrey Hendricks, che riesce a riproporre il significato che voleva trasmettere il loro ideatore alla prima realizzazione, nonostante la distanza temporale e spaziale. Anche in essi è fondamentale un’interazione che porta a vivere, toccare, modificarne ogni parte. Così, in Apple Shrine, le mele possono e devono essere spostate e il labirinto che le contiene può e deve essere sfruttato come luogo di meditazione.
Quello degli ideatori della mostra, Eve Meyer-Hermann e Stephanie Rosenthal, è più che un omaggio all’artista americano. Dimostra che la sua arte non solo è attuale ma anche attuabile; non vive solo nella nostra memoria storica, che pure le riconosce un profondo valore innovativo nell’arte del Novecento, ma è ancora viva e praticabile pure senza il suo creatore.
Appare chiaro come ciò che unisce e sottende a tutta l’opera di Kaprow sia il valore “fisico” del fare: già alla fine degli anni ‘60, a dimostrazione di ciò, aveva cambiato il nome dei suoi happening in activity: sancendo il passaggio da un avvenimento che sembrava semplicemente accadere a una vera e propria azione organizzata.
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a cura di Eve Meyer-Hermann e Stephanie Rosenthal
Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce
Via Ruffini, 3 – 16128 Genova
Orario: da martedì a venerdi ore 9-18.30; sabato e domenica ore 10-18.30
Info: tel. +39 010580069; fax +39 010 532482; museocroce@comune.genova.it; www.museovillacroce.it
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