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’70: TEMPI D’ORI PER LA FOTOGRAFIA
Progetti e iniziative
Due mostre e un paio di quaderni di studio all’anno. Per approfondire ed evidenziare l’attualità di una sperimentazione ricca di sfaccettature, “vecchia” di trent’anni, ma per alcuni ancora in progress. Dopo la personale di Giorgio Ciam a Prato, un assaggio di ProgettoSettanta durante Arte Fiera...
Exibart ha intervistato l’ideatrice del progetto, Elena Re, critico d’arte e curatore free lance, direttore artistico della Fondazione Giorgio Ciam e curatrice per il Fondo Luigi Ghirri.
Perché un progetto proprio sulla fotografia e proprio sugli anni ’70?
Perché di fatto si sentiva l’esigenza di un approfondimento sistematico, più che sulla fotografia, sull’uso del mezzo fotografico da parte degli artisti italiani che hanno fondato la loro poetica nella stagione culturale degli anni ’70. Una stagione straordinariamente ricca di importanti esiti espressivi, che a oggi non sono stati messi pienamente in luce. Il progetto si propone infatti di restituire spazio e voce a un capitolo significativo della nostra storia dell’arte. Una storia che al tempo stesso è anche attualità, visto che in alcuni casi tali autori continuano a rinnovare la loro ricerca attraverso la fotografia. Fra questi, un esempio importante è Michele Zaza, a cui dedicherò in novembre una mostra in galleria e un libro.
Mostre ma anche una collana editoriale. Un semplice strumento di corredo o qualcosa in più?
Le mostre sono un filone di approfondimento tematico che Enrico Fornello ha voluto abbracciare nella sua programmazione, offrendo due appuntamenti all’anno in galleria e varie occasioni di presentazione in fiera. In parallelo, la collana delle edizioni Gli Ori mira a focalizzare da un libro all’altro lo stesso tema, anche qui con due uscite all’anno. Attraverso la mia curatela, il progetto espositivo e quello editoriale sono dunque parti di un unico discorso, ma il libro non è concepito come catalogo della mostra. Si tratta di un vero e proprio quaderno di studio, con una premessa di inquadramento generale, un testo critico in cui affronto la lettura dell’autore e dell’opera, una parte intitolata Testimonianze in cui, attraverso una serie di interviste da me condotte, figure per vari aspetti autorevoli contribuiscono a tratteggiare l’identità dell’artista analizzato. Quindi una parte dedicata agli apparati, con biografia, bibliografia ed elenco mostre. Ma all’interno di questa struttura, che si riproporrà invariata, anche la parte iconografica occupa uno spazio di rilievo. Oltre all’immagine delle opere, si pubblica infatti una selezione di fotografie di documentazione tratta dall’archivio dell’artista, per rendere più vivo il contributo e per sottolineare alcune particolarità di un determinato percorso. In sostanza, entrambe le situazioni -espositiva ed editoriale- sono momenti autonomi ma integrati all’interno di un ampio progetto di valorizzazione culturale.
Si tratta di un progetto aperto o è già tutto definito?
Trattandosi di un progetto a lungo termine, finalizzato a ricostruire e comunicare l’importanza e la complessità di un “movimento” tanto ricco di sfaccettature, non può che proporsi come un progetto aperto a ogni interessante evoluzione. Già da molto mi sto infatti dedicando a questo studio. Ma la metodologia di ricerca adottata prevede che si parta possibilmente da un rapporto con gli artisti, con il loro archivio e con la consistenza della loro opera, per poter così sviluppare un lavoro concreto e approfondito sotto ogni profilo. Ci vuole dunque del tempo, ma penso proprio che il tempo dedicato non potrà che arricchire gli esiti del lavoro.
Dopo la retrospettiva di Ciam, ad Arte Fiera un nuovo progetto espositivo. Ce ne può parlare?
Ad Arte Fiera, in un’ampia sezione dello stand della Galleria Enrico Fornello, presento in pratica ProgettoSettanta attraverso una mostra collettiva mirata a sottolineare alcuni aspetti salienti del progetto e a fornire alcune anticipazioni rispetto agli approfondimenti monografici che si proporranno nei prossimi libri e nelle prossime mostre in galleria. Giorgio Ciam, Luigi Ghirri, Michele Zaza, ma anche opere di autori come Anselmo, Costa, Cresci, Desiato, Ontani, Penone o Vaccari… Nel contesto della fiera, lungi dal poter essere un percorso esauriente, tale presentazione vuole però essere esaustiva di un approccio, di una modalità di operare.
Quale contributo ha offerto al panorama europeo e internazionale la sperimentazione fotografica italiana?
È innanzitutto necessario fare una distinzione di campo e, nel caso qui analizzato, piuttosto che di sperimentazione fotografica parlare di sperimentazione artistica con la fotografia. Ma a parte questo, è davvero difficile esprimere in poche parole l’essenza di un contributo tanto vasto e ricco di implicazioni come quello italiano. Ritengo comunque che -dall’arte concettuale all’arte povera, dalla body art alla land art- la sperimentazione artistica con la fotografia abbia da noi davvero affrontato a 360 gradi la complessità di un discorso di rinnovamento, attraverso un solido progetto di ricerca riconoscibile all’interno della poetica del singolo autore così come nella forza propositiva dell’intero fenomeno. Penso che proprio la “sfida” di questa complessità sia il contributo in ogni caso più autentico offerto dall’Italia.
Facciamo dei nomi allora: gli sconosciuti da riscoprire e le sorprese che ci attendono.
Si può parlare di figure da riscoprire riferendosi ad artisti oggi meno noti, che all’epoca hanno però avuto una loro notorietà e una precisa posizione, sia culturale che di mercato. Posso riferirmi ad esempio a Giorgio Ciam, che all’interno della body art ha affrontato sistematicamente l’aspetto del comportamento, rinnovando il proprio percorso con l’uso della fotografia anche quando l’esperienza degli anni ’70 sembrava di fatto essersi esaurita. La sua morte, avvenuta nel 1996, lo ha calato in un cono d’ombra, da cui oggi sta velocemente riemergendo proprio in virtù dell’importanza del suo lavoro. A lui ho dedicato la prima mostra in galleria e il primo libro della collana. Per quanto riguarda invece le sorprese che vi attendono, preferirei davvero non parlarne, se no al momento buono che sorpresa potrei riservare?!
Gli anni ’70 in Italia sono stati un decennio di grande dibattito ma anche di grandi conflitti sociali. Come si innesta la sperimentazione sulla fotografia in quel contesto?
I grandi conflitti sociali, al di là di un discorso di lotta di classe, hanno messo in moto un meccanismo di verifica dell’identità, individuale e collettiva. È proprio su questo terreno che gli artisti di quel periodo si sono in primo luogo misurati, sperimentandone una nuova visione. Fra il contributo di tutti, ritengo importante in questo caso richiamare il lavoro di Michele Zaza. Nelle sue opere la centralità del corpo si spoglia della sua specifica identità, della sua appartenenza, caricandosi di una valenza simbolica, per così dire spirituale, che trascende la sfera del soggetto rappresentato per raggiungere una dimensione profondamente corale. Estremizzando l’esempio, è un po’ come per la ricerca di Ghirri sul tema del paesaggio, dove appunto un paesaggio apparentemente consueto e familiare diventa “tòpos”, vale a dire luogo dotato di un significato di fatto universale.
Curioso che a sposare il progetto sia stato uno spazio privato, con la personale in galleria e una collettiva in fiera. Gli enti e le istituzioni pubbliche non hanno mostrato interesse oppure è stata una precisa scelta?
Credo nella validità dei progetti che prevedono competenze integrate. Sono quindi convinta che un serio lavoro di mercato possa consolidare la proposta di un progetto culturale. Per questo penso che sia importante partire dall’opportunità offerta da una galleria come quella di Enrico Fornello, giovane e ricca di aperture, ma anche dalla volontà di un editore come Gli Ori, che con entusiasmo si appresta a realizzare un percorso di lunga durata. Sulla base di questi presupposti è dunque possibile procedere, ampliare man mano gli orizzonti, sviluppando tutte le potenzialità di un progetto a parer mio appassionante.
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alfredo sigolo
[exibart]