Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
12
febbraio 2008
arteatro_festival RomaEuropa Cantieri Roma, Brancaleone
arteatro
Cosa hanno in comune Julien e Monhad? Il primo è un danzatore e coreografo belga, il secondo un fotografo regista palestinese. Sono entrambi giovani e protagonisti della sperimentata formula del festival “cantiere di lavoro”...
di Lori Adragna
L’ora è tarda. La sala è affollata, rumorosa. D’improvviso, il silenzio: l’attenzione del pubblico si focalizza sui due artisti che condividono la scena. Il primo, il danzatore e coreografo belga Julien Bruneau, il secondo, il fotografo e regista palestinese Mohanad Yaqubi. Il work in progress si apre sui loro rispettivi “autoritratti”. Con una mistione di ruoli e d’identità giocata sul potere del teatro di collocare ogni cosa su un piano finzionale. Sulla pedana che funge da palco, altri personaggi: fotografi (palestinesi) che, uno scatto dopo l’altro, riprendono le movenze fluide dei ballerini (europei) mentre seguono la musica di Reem Yaqubi.
L’atto del fotografare, “riconoscimento simultaneo, in una frazione di secondo, del significato dell’evento” (Cartier Bresson), è qui la summa delle variegate sfaccettature di una “storia”, quella della danza, quella del fotografo, quella della danza per il fotografo. E di questa storia, attraverso le immagini -visibili in simultanea su grandi schermi- l’osservatore percepisce la soggettività trasmutata dal punto di vista e dalle scelte di chi sta dietro la macchina fotografica. Ci s’interroga, di fatto, sulla questione del reale e della sua rappresentazione. Sulla molteplicità di azioni implicate in una testimonianza e nella creazione di una memoria, della sua condivisione e della possibilità di esserne deprivati. Tutte riflessioni che scaturiscono dal progetto degli Idioms film, collettivo di fotografi, video, cineasti, con sede a Ramallah, dove si impegnano perché quella parte dei Territori diventi più sensibile alla cultura.
Al Brancaleone si sperimentano, insieme al danzatore belga Bruneau, nella sezione Cantieri, luogo d’incontro e di lavoro tra giovani artisti del festival. In particolare, l’idea della performance è nata dalla considerazione di come i palestinesi, con i loro corpi sempre esposti all’obbiettivo di altri, finiscano per vedersi attraverso la lente deformante delle infinite immagini che li inquadrano. Come vittime, come miserabili. Perennemente sotto occupazione. Col rischio di perdere la propria identità. Ecco che invece con Bruneau si capovolge la situazione, dato che quello esposto ai flash palestinesi è adesso il corpo di un europeo. “Per una volta”, affermano gli Idioms film, “siamo noi a raccontare una storia”.
Per reiterare questa volontà di ri-possesso della propria memoria, il collettivo propone in contemporanea il filmato Videoarte da Ramallah e la mostra Invisible. Serie di immagini, queste, che aspirano a cogliere svelandola una realtà fuoricampo, perché “l’invisibile non è il contrario del visibile ma lo completa. Entrambi formano l’immagine e la storia”.
L’atto del fotografare, “riconoscimento simultaneo, in una frazione di secondo, del significato dell’evento” (Cartier Bresson), è qui la summa delle variegate sfaccettature di una “storia”, quella della danza, quella del fotografo, quella della danza per il fotografo. E di questa storia, attraverso le immagini -visibili in simultanea su grandi schermi- l’osservatore percepisce la soggettività trasmutata dal punto di vista e dalle scelte di chi sta dietro la macchina fotografica. Ci s’interroga, di fatto, sulla questione del reale e della sua rappresentazione. Sulla molteplicità di azioni implicate in una testimonianza e nella creazione di una memoria, della sua condivisione e della possibilità di esserne deprivati. Tutte riflessioni che scaturiscono dal progetto degli Idioms film, collettivo di fotografi, video, cineasti, con sede a Ramallah, dove si impegnano perché quella parte dei Territori diventi più sensibile alla cultura.
Al Brancaleone si sperimentano, insieme al danzatore belga Bruneau, nella sezione Cantieri, luogo d’incontro e di lavoro tra giovani artisti del festival. In particolare, l’idea della performance è nata dalla considerazione di come i palestinesi, con i loro corpi sempre esposti all’obbiettivo di altri, finiscano per vedersi attraverso la lente deformante delle infinite immagini che li inquadrano. Come vittime, come miserabili. Perennemente sotto occupazione. Col rischio di perdere la propria identità. Ecco che invece con Bruneau si capovolge la situazione, dato che quello esposto ai flash palestinesi è adesso il corpo di un europeo. “Per una volta”, affermano gli Idioms film, “siamo noi a raccontare una storia”.
Per reiterare questa volontà di ri-possesso della propria memoria, il collettivo propone in contemporanea il filmato Videoarte da Ramallah e la mostra Invisible. Serie di immagini, queste, che aspirano a cogliere svelandola una realtà fuoricampo, perché “l’invisibile non è il contrario del visibile ma lo completa. Entrambi formano l’immagine e la storia”.
articoli correlati
Rabih Mroué, Emanuel Gat, Mustafa Avkiran al Palladium
Intervista al direttore artistico di Romaeuropa, Fabrizio Grifasi
link correlati
www.idiomsfilm.com
lori adragna
arteatro è una rubrica a cura di piersandra di matteo
dal 7 novembre al 14 dicembre 2007
Romaeuropa Festival 2007
Roma, sedi varie
Info: tel. 800795525 (dall’Italia); romaeuropa@romaeuropa.net; www.romaeuropa.net
[exibart]