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27
febbraio 2008
architettura_progetti L’Arca di Prometeo
Architettura
Storia di uno spazio architettonico voluto dal compositore Luigi Nono. E realizzato da un giovane Renzo Piano. Ora è stoccato in un magazzino del comune di Mezzago, in provincia di Milano...
Musica, pittura, architettura. Opera d’arte totale. Così si prefigura il Prometeo cui Luigi Nono lavora sul finire degli anni ‘70 nello studio di fonologia della Rai di Milano. I testi, dai connotati filosofici, vengono redatti in collaborazione con l’amico Massimo Cacciari e narrano la navigazione di Prometeo in un arcipelago costituito da cinque isole, nella sua mitologica conquista del fuoco.
La ricerca costante dell’opera è l’ideale panacustico, da cui il sottotitolo all’opera, Tragedia dell’ascolto. Per raggiungerlo, Nono si serve del live electronics, che si presta a innumerevoli creazioni musicali, fornendo “la possibilità di governare e indirizzare come e dove si vuole il suono nel momento stesso in cui viene creato, di registrarlo e memorizzarlo per poi recuperarlo e distribuirlo nello spazio secondo le esigenze creative dell’artista”, come ha scritto Sandro Cappelletto su “La Stampa” del 22 agosto 2003.
Appare inevitabile, dunque, agli occhi del compositore, ripensare alla struttura che dovrà ospitare l’opera. I teatri d’opera tradizionali, quelli d’impronta wagneriana, risultano inadeguati a tale scopo. Si rende necessario uno spazio architettonico che abbia requisiti precisi: “Mi appassionava l’uso dello spazio totale e insieme il grande progetto mai realizzato del teatro di Mejerchol’d, il progetto di Gropius per il teatro di Piscator entro i quali pubblico, scena, azione, spazi, invenzioni tecniche e testi sarebbero stati continuamente mobili, mai statici o frontali come la pratica tradizionale”, dichiarava lo stesso Nono.
Una struttura, inoltre, cui viene richiesta grande flessibilità: deve garantire il montaggio e smontaggio nei vari luoghi in cui l’opera verrà rappresentata. Uno spazio architettonico itinerante.
La commessa viene affidata a un giovane Renzo Piano: “Gli telefonai e gli chiesi se pensava di poter partecipare inventando qualcosa che stesse tra la cassa armonica e il rivestimento, in modo tale da avere lo spazio per tante cantorie, le quattro orchestre, i solisti delle voci e degli strumenti e le isole e con la possibilità di piazzare microfoni e altoparlanti in vari punti, verso l’alto e verso il basso, in lungo e in largo: cioè uno spazio spaziante”. L’incarico, dunque, consiste nell’ideazione di uno spazio musicale, non di una semplice scenografia.
Il progetto nasce da due suggestioni fondamentali: la cassa armonica, come “astuccio” ideale per far risuonare perfettamente il Prometeo; la barca, nella sua struttura semplice e geniale, per generare le chiglie portanti in legno lamellare. Una base rettangolare di 23×25 metri, quindici chiglie portanti e un’altezza totale che raggiunge i 14 metri. Il centro della scena è riservato al pubblico; le passerelle dislocate intorno accolgono solisti, coristi, musicisti, direttori d’orchestra. Il suono, controllato dalla postazione di regia, avvolge l’ascoltatore e lo rende parte integrante.
La prima a Venezia, il 14 settembre 1984, nella sconsacrata ma acusticamente ineccepibile chiesa di San Lorenzo. La critica si divide fra toni entusiastici e sporadiche polemiche legate ai costi. Anche in occasione della seconda rappresentazione, all’Ansaldo di Milano, il Prometeo risuona nell’Arca. Ma sarà la sua ultima apparizione pubblica. L’Arca finirà infatti stoccata e accatastata nei magazzini della Scala di Milano per più di vent’anni.
Nel 2000, un sindaco appassionato di musica -Vittorio Pozzati, oggi assessore presso lo stesso Comune e membro del consiglio della Provincia di Milano- sentendo risuonare il Prometeo in occasione della Triennale di Milano dedicata a Luigi Nono, nel decennale dalla scomparsa, si domanda che fine abbia fatto l’Arca, scoprendone l’ultima destinazione. Si prodiga affinché possa tornare alla luce, fino a ottenerne il comodato d’uso per vent’anni e a trasferirla nel suo Comune. Nell’attesa di poterla presto ricollocare.
La ricerca costante dell’opera è l’ideale panacustico, da cui il sottotitolo all’opera, Tragedia dell’ascolto. Per raggiungerlo, Nono si serve del live electronics, che si presta a innumerevoli creazioni musicali, fornendo “la possibilità di governare e indirizzare come e dove si vuole il suono nel momento stesso in cui viene creato, di registrarlo e memorizzarlo per poi recuperarlo e distribuirlo nello spazio secondo le esigenze creative dell’artista”, come ha scritto Sandro Cappelletto su “La Stampa” del 22 agosto 2003.
Appare inevitabile, dunque, agli occhi del compositore, ripensare alla struttura che dovrà ospitare l’opera. I teatri d’opera tradizionali, quelli d’impronta wagneriana, risultano inadeguati a tale scopo. Si rende necessario uno spazio architettonico che abbia requisiti precisi: “Mi appassionava l’uso dello spazio totale e insieme il grande progetto mai realizzato del teatro di Mejerchol’d, il progetto di Gropius per il teatro di Piscator entro i quali pubblico, scena, azione, spazi, invenzioni tecniche e testi sarebbero stati continuamente mobili, mai statici o frontali come la pratica tradizionale”, dichiarava lo stesso Nono.
Una struttura, inoltre, cui viene richiesta grande flessibilità: deve garantire il montaggio e smontaggio nei vari luoghi in cui l’opera verrà rappresentata. Uno spazio architettonico itinerante.
La commessa viene affidata a un giovane Renzo Piano: “Gli telefonai e gli chiesi se pensava di poter partecipare inventando qualcosa che stesse tra la cassa armonica e il rivestimento, in modo tale da avere lo spazio per tante cantorie, le quattro orchestre, i solisti delle voci e degli strumenti e le isole e con la possibilità di piazzare microfoni e altoparlanti in vari punti, verso l’alto e verso il basso, in lungo e in largo: cioè uno spazio spaziante”. L’incarico, dunque, consiste nell’ideazione di uno spazio musicale, non di una semplice scenografia.
Il progetto nasce da due suggestioni fondamentali: la cassa armonica, come “astuccio” ideale per far risuonare perfettamente il Prometeo; la barca, nella sua struttura semplice e geniale, per generare le chiglie portanti in legno lamellare. Una base rettangolare di 23×25 metri, quindici chiglie portanti e un’altezza totale che raggiunge i 14 metri. Il centro della scena è riservato al pubblico; le passerelle dislocate intorno accolgono solisti, coristi, musicisti, direttori d’orchestra. Il suono, controllato dalla postazione di regia, avvolge l’ascoltatore e lo rende parte integrante.
La prima a Venezia, il 14 settembre 1984, nella sconsacrata ma acusticamente ineccepibile chiesa di San Lorenzo. La critica si divide fra toni entusiastici e sporadiche polemiche legate ai costi. Anche in occasione della seconda rappresentazione, all’Ansaldo di Milano, il Prometeo risuona nell’Arca. Ma sarà la sua ultima apparizione pubblica. L’Arca finirà infatti stoccata e accatastata nei magazzini della Scala di Milano per più di vent’anni.
Nel 2000, un sindaco appassionato di musica -Vittorio Pozzati, oggi assessore presso lo stesso Comune e membro del consiglio della Provincia di Milano- sentendo risuonare il Prometeo in occasione della Triennale di Milano dedicata a Luigi Nono, nel decennale dalla scomparsa, si domanda che fine abbia fatto l’Arca, scoprendone l’ultima destinazione. Si prodiga affinché possa tornare alla luce, fino a ottenerne il comodato d’uso per vent’anni e a trasferirla nel suo Comune. Nell’attesa di poterla presto ricollocare.
maria tiziana di sipio
*Le dichiarazioni di Luigi Nono sono tratte dal volume curato da Enzo Restagno, “Luigi Nono”, Edt, Torino 1987
[exibart]
che vicenda incredibile. si può parlare della qualità architettonica del manufatto (o del suo rapporto qualità – prezzo)però a vederla lì accatastata e smontata prende male.
Dunque, in Italia c’è un’Opera d’Arte Totale, stipata in un magazzino, voluta da Luigi Nono e progettata da Renzo Piano. Milioni di euro vengono buttati ogni anno per cinema, teatro e lirica, per “opere” insignificanti, vergognose. Altrove avrebbero avuto la sensibilità e la perspicacia per accogliere quest’ambiziosa impresa: avrebbero fatto la coda per averla.
Sarebbe davvero interessante e di grande effetto rivedere l’Arca montata come in principio. Spero tanto che l’ assessore Pozzati non abbandoni questo progetto, questa idea, ma che soprattutto non venga ostacolato da nessuno!!!!Comunque, grande ammirazione per quest’uomo che ha avuto il coraggio di chiedersi che fine avesse fatto l’arca. Ce ne vorrebbero di più di persone così a questo mondo…molte grandi opere (di cui è ricca l’Italia) non finirebbero nel dimenticatoio, ma anzi, sarebbero rivalutate.
Facciamolo ministro Pozzati. E un augurio che riesca in questo che sarebbe un miracolo italiano.
sono felicissima di esprimere tutto il mio affetto ad una persona cara come tiziana che ha messo immensa passione in questo lavoro sull’arca di prometeo. ti voglio bene
I miei complimenti a Tiziana Di Sipio, che è riuscita a inseguire l’arca per ogni dove, con tenacia e passione. Chissà che un giorno non riascolteremo le note del Prometeo proprio lì!
Un perfetto esempio di ADEYAKA.
è molto interessante questo articolo!
mi sono interessata, per la preparazione della mia Tesi a Nono e la sua collaborazione con Emilio Vedova.
purtroppo di quegli eventi che misero in scena Nono, Vedova,e Piano, poco ho trovato come documentazione audiovisiva. Mi auguro che si possa riportare alla luce parte di quel “mondo perduto” messo in scena in quegli anni. Sarebbe emozionante!
Leggo con piacere questo sito dove si parla dell’Arca del Prometeo e di chi in questi anni ha fatto di tutto per farla tornare agli iniziali splendori, conosco Vittorio Pozzati, con lui abbiamo cercato di portare a Sesto San Giovanni nell’area che Renzo Piano ha progettato questo meraviglioso gioiello di architettura e musica, varie vicissitudini non lo hanno reso possibile ma non mi do per vinta, sono architetto ed ho avuto modo di apprezzare il progetto di Renzo Piano per l’Arca la sua storia e le sue rappresentazioni un’opera incredibile, sono assolutamente d’accordo con chi sostiene che un paese dovrebbe valorizzare le opere d’arte e i progetti di eccellenza e ritengo che questo sia un progetto assoluta qualità per quello che rappresenta.
Lavoriamo per non farla scomparire e demolire.