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“Rimasi solo. Seduto su una panchina in disparte. Provavo il mio solito piacere scontroso a starmene in disparte. Sapendo che a pochi passi fuori dall’ombra il prossimo si agitava, rideva e ballava”. In un gioco di finzione letteraria, queste righe scritte da Cesare Pavese nel racconto La Spiaggia potrebbero essere i pensieri affidati al diario di una delle protagoniste delle tele di Caroline Walker (Dunfermline, 1982), la giovane artista scozzese che tiene la sua prima personale in Italia negli spazi di Glance.
The sense of interior, il titolo della mostra, richiama un’interiorità che è tanto spaziale quanto psicologica ed esistenziale. Le opere di Walker, infatti, non si allontanano mai dal contesto domestico, concedendo al giardino di casa l’unico scorcio esterno. E ritraggono donne sole.
Come il San Gerolamo che Piero della Francesca dipinge non isolato dal mondo, ma in vicinanza di una città, o come i personaggi delle opere di Edward Hopper, immersi nelle metropoli americane, così le figure di Caroline Walker colgono come l’essenza della solitudine non sia data dalla lontananza da ogni contatto umano ma, al contrario, dalla sua vicinanza.
Per questo, le parole di Pavese si legano perfettamente ai lavori in mostra. Nelle opere dell’artista scozzese riusciamo infatti a immaginare i rumori della vita cittadina che filtrano attraverso le finestre e ritroviamo anche il “piacere scontroso” della solitudine. Il fatto che sia un “piacere” lascia margine d’interpretazione. Walker potrebbe rappresentare la difficoltà di relazionarsi socialmente, il male di vivere dei suoi personaggi; oppure suggerire quel piacere che si prova quando, finalmente soli, ci si cala nell’anarchia del privato, dove si può dare libero corso ai propri pensieri.
Ma nelle tele di Caroline Walker c’è qualcosa di ambiguo. Le figure sono immobili ma non rilassate, come se un deus ex machina avesse premuto il tasto freeze del telecomando della vita e tutto si fosse congelato in un istante di tensione. Colte in vestaglia, stese sul letto, appoggiate a un comodino, sedute in giardino o in poltrona durante una pausa nelle faccende di casa. Anche dove la presenza umana è assente si percepisce che è comunque vicina: il letto deve ancora essere rifatto e le piante annaffiate.
L’artista scozzese dipinge la sospensione di un attimo. Cosa è stato prima e cosa sarà dopo si può solo immaginare. L’impressione è quella di trovarsi sulla scena di un crimine, senza vittima. Lo spettatore cerca indizi, tracce. Trova elementi kitsch o grotteschi come nani da giardino, piatti e cuscini a forma di cuore, cani in ceramica, il tutto immerso in un contesto da casa inglese old fashion.
I volti, poi, dai lineamenti simili in ogni lavoro, hanno tutti la medesima espressione di tristezza. Ma forse non c’è nulla da cercare, non c’è motivo dietro quelle espressioni malinconiche. È solo la fotografia degli attimi in cui lo sguardo si svuota e la vita entra, per un attimo, in stand-by.
The sense of interior, il titolo della mostra, richiama un’interiorità che è tanto spaziale quanto psicologica ed esistenziale. Le opere di Walker, infatti, non si allontanano mai dal contesto domestico, concedendo al giardino di casa l’unico scorcio esterno. E ritraggono donne sole.
Come il San Gerolamo che Piero della Francesca dipinge non isolato dal mondo, ma in vicinanza di una città, o come i personaggi delle opere di Edward Hopper, immersi nelle metropoli americane, così le figure di Caroline Walker colgono come l’essenza della solitudine non sia data dalla lontananza da ogni contatto umano ma, al contrario, dalla sua vicinanza.
Per questo, le parole di Pavese si legano perfettamente ai lavori in mostra. Nelle opere dell’artista scozzese riusciamo infatti a immaginare i rumori della vita cittadina che filtrano attraverso le finestre e ritroviamo anche il “piacere scontroso” della solitudine. Il fatto che sia un “piacere” lascia margine d’interpretazione. Walker potrebbe rappresentare la difficoltà di relazionarsi socialmente, il male di vivere dei suoi personaggi; oppure suggerire quel piacere che si prova quando, finalmente soli, ci si cala nell’anarchia del privato, dove si può dare libero corso ai propri pensieri.
Ma nelle tele di Caroline Walker c’è qualcosa di ambiguo. Le figure sono immobili ma non rilassate, come se un deus ex machina avesse premuto il tasto freeze del telecomando della vita e tutto si fosse congelato in un istante di tensione. Colte in vestaglia, stese sul letto, appoggiate a un comodino, sedute in giardino o in poltrona durante una pausa nelle faccende di casa. Anche dove la presenza umana è assente si percepisce che è comunque vicina: il letto deve ancora essere rifatto e le piante annaffiate.
L’artista scozzese dipinge la sospensione di un attimo. Cosa è stato prima e cosa sarà dopo si può solo immaginare. L’impressione è quella di trovarsi sulla scena di un crimine, senza vittima. Lo spettatore cerca indizi, tracce. Trova elementi kitsch o grotteschi come nani da giardino, piatti e cuscini a forma di cuore, cani in ceramica, il tutto immerso in un contesto da casa inglese old fashion.
I volti, poi, dai lineamenti simili in ogni lavoro, hanno tutti la medesima espressione di tristezza. Ma forse non c’è nulla da cercare, non c’è motivo dietro quelle espressioni malinconiche. È solo la fotografia degli attimi in cui lo sguardo si svuota e la vita entra, per un attimo, in stand-by.
stefano riba
mostra visitata il 28 febbraio 2008
dal 26 febbraio al 25 marzo 2008
Caroline Walker – The sense of Interior
Galleria Glance
Via San Massimo 45 (Borgo Nuovo) – 10123 Torino
Orario: da martedì a sabato ore 15.30-19.30 o su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel. +39 3489249217; info@galleriaglance.com; www.galleriaglance.com
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