27 marzo 2008

Sonia Ceccotti, Antonella Cinelli e Elena Monzo alla Giaamart Studio di Vitulano

 

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[27|03|2008] |||arte contemporanea/collettiva

Sonia Ceccotti, Antonella Cinelli e Elena Monzo alla Giaamart Studio di Vitulano
 

IPOTESI DI SENSO

inaugurazione 29 marzo 2008 | ore 19.00 | a cura di simona barucco | giaamart studio | vitulano (bn)

Il senso del tatto, dell’olfatto, dell’odorato.
Il senso della vista, dell’udito. Il senso della vita. Il senso di ciò che può avere davvero, oggi, un senso. “Dare un senso a ciò che un senso non ce l’ha”.
Il senso dell’orientamento, della direzione, del vento. Il senso del vuoto, del pieno, del nulla, il senso del riempimento.
Ipotesi. Continue ipotesi sul vero e profondo significato del senso.

Riconoscere i pensieri che hanno un senso, liberandoli da un orizzonte buio. Cercare la notte tra gli anfratti silenziosi di mille oggetti che si sono stratificati, accumulati, sovrapposti. Personale è lo svilupparsi e l’avvilupparsi dell’immagine, che perde costantemente il centro per ritrovarlo in sinuose volute o in prospettive negate. Non c’è sempre un senso dell’opera, non può più esserci. Il senso, in ipotesi, si forma da sé, è una genesi spontanea, continua, ininterrotta, le forme del senso a volte si autocostruiscono. In altre svaniscono. L’artista le aiuta a venir fuori, le snocciola con pazienza, le elenca, secondo quell’arte che prende corpo a piccole dosi, allontanando la morte.
In ogni opera di Sonia Ceccotti si ha la sensazione che qualcosa si stia materializzando, che il magma caotico stia prendendo le forme della vita, disegnando e colorando le cose con cui questa vita c’intrattiene. Zingari di un nomadismo culturale che ci ha sedotto in epoche non remote, oggi si torna ad interrogarci sul valore del senso, che questo secolo contribuisce ad escludere. E se è solo transizione, speriamo sia la migliore, quella che ci aiuterà a riflettere su come ipotizzare altri valori. Sonia Ceccotti afferra le difficoltà della mescolanza temporale, le inadempienze di una cultura che immagina che panni avrà, ma non sa quali oggi indossare, rileggendo rapidamente quest’ulteriore senso al tramonto. Lo spazio familiare si popola di ranocchi che non diventeranno mai principi, di compagni di viaggio e d’avventura abbandonati da sempre, fin dall’infanzia, e che continuano a seguirci, a rincorrerci, a perseguitarci proponendo ruoli che non sono mai stati nostri. La visione profonda di se, l’artista, la sdrammatizza proiettandosi in modelli, a volte, non massificanti, liberi, estranei all’immagine della donna contemporanea. La Ceccotti traduce l’ansia di questa interpretazione in continui omaggi a quelli che sono i gesti del glamour, di una realtà tanto povera quanto caleidoscopica, in colori e forme che sono surreali e iperrealisti: è omaggio anche all’automatismo, convertito in lunga onda elettromagnetica, capace di retroilluminare schermi di ogni fattura o la nostra retina sempre più disincantata, così come Antonella Cinelli aiuta a riconsiderare il senso della pittura, e lo fa affermando il suo universo, fatto di tremori, di delicati incontri, di elaborati punti di vista, che scendono ad oscurare gli stati della vita. C’è geometria, nell’arte della Cinelli, ma c’è soprattutto ordine, razionalità, fermezza. Le immagini sono perfette, ricercate, rigorose, eppure fragili nell’iperrealismo spinto all’eccesso, sospese, perché appartengono alla memoria. Si rincorrono, si alternano, si affrontano su un campo che è un’arena dei sogni. Arti lucidamente vestiti fanno da contraltare a capigliature scarmigliate, a volti umanissimi e malinconici. I numeri della femminilità, l’abbigliamento ricercato, le parrucche cotonate e i capelli appena umidi, gli occhi e la bocca truccati e struccati con un senso di precarietà continuamente percepibile, il nudo coperto dall’intimo giornaliero e seducente, lo sguardo che indaga nel proprio sguardo e in quello degli altri per capire che forma avrà la prossima volta il dolore, sono gli estremi visibili della paura, del continuo bisogno di scappare. Da quest’articolato contesto emerge la figura, un corpo muto, attonito, che riconosce ed esalta la densa e pesante atmosfera, e ne fa legge.
La donna e il suo senso, è sbiadito ricordo, la quotidianità è rielaborata al computer, che riscrive le forme e le rende pure, docili, assecondanti. Non più incandescenze. Si riconoscono i piaceri della notte. Ci s’immerge in quel lungo fiume inquieto che è la vita con Elena Monzo, ma non solo la sua: al suo interno affluisce una storia da difendere, da immagazzinare nelle viscere, analizzandola e riconoscendone i migliori frammenti. Il segno è la chiave di lettura per riconoscere a pelle le emozioni: i pochi frammenti che generano le immagini e i colori delle opere della Monzo si muovono con difficoltà sul supporto e reagiscono immediatamente al dialogo con l’interlocutore.
Il suo approccio è nell’affinità che il suo sentire ha verso un mezzo espressivo che consente un superamento degli orizzonti. La superficie diviene un punto d’incontro di dolenze e segni, di relazioni impossibili, pure e verificabili, di spessori e di trasparenze. Il quadro nasce da stratificazioni mentali e formali, da accumulazioni segniche e trasgressioni cromatiche. Sulla superficie si accumulano storie di passaggi e di liberi attraversamenti: la pittura è inquieta quanto è trascinante l’impeto di un universo passionale. Generazioni si confrontano sul lavoro di archiviazione e rielaborazione. Ipotesi di senso si sovrappongono, si confondono e generano altro umore, altro liquido fluire di ricordi, sensazioni, tempo. La storia è pelle, macchia umana nelle pieghe degli abiti, della biancheria. E’ odore di vuoto, senso dell’equilibrio minacciato, destinato a svanire come ogni traccia di noi.

Simona Barucco


Ipotesi di senso
dal 29 marzo al 31 maggio 2008
orario: dal martedì al sabato ore 17.00 – 20.00 e per appuntamento
catalogo: in galleria. edizioni GiaMaArt studio, pp 40
GiaMaArt studio • Via Iadonisi, 14 • 82038 Vitulano (BN)
Tel/Fax: 0824.878665 – 338.9565828
www.giamaartstudio.it
info@giamaartstudio.it

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