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11
aprile 2008
fino al 30.IV.2008 India Crossing Verona, Studio La Città
venezia
Attraversando l’India riassaporiamo il sapore della scoperta. Come pionieri magellanici salpiamo i mari della tempestosa avanguardia orientale, in continua ricerca di una rotta amica, conosciuta. Analogie e differenze di sei tra i più importanti artisti del sub-continente indiano...
Sapere di non sapere. Paragonare l’ignoto al noto, in un processo di ricerca globale, è certamente il metodo necessario per confrontarsi con una mostra come India Crossing. Sei artisti provenienti dalla lontana mother India espongono i loro esotici ed esoterici lavori come porte mediatrici di diversi livelli culturali, stuzzicando i sentimenti e le sensazioni di nuovo e curioso delle nostre menti, ma soprattutto dei nostri indagatori sguardi “occidentali”.
Piuttosto che una sorta di riunione artistica di personalità, la collettiva si presenta come il frutto di una vera e propria analisi concettuale, come dimostrano gli artisti e i pensieri in mostra: Nataraj Sharma, lo spazio; Shilpa Gupta, lo stereotipo consumista; Ashim Purkayashta, l’immagine e il mondo; Hema Upadhiyay, la condizione umana e la storia; Ryas Komu, il mito; Valsan Koorma Tolleri, la materia e la forma. Concetti apparentemente comuni, ma obbligatoriamente vissuti e interpretati in maniera differente, influenzati da una società in caotica evoluzione, legati a una tradizione di pesante rilevanza politica e religiosa, così da sempre in un Paese come l’India.
Ecco allora che davanti a opere come quelle di Hema Upadhiyay ci raffrontiamo con una realtà, quella delle grandi metropoli indiane come Mumbai, semplicemente con un estraneo sguardo da turista, in uno sforzo intellettivo altamente complesso. Operazioni che concernono continui cambiamenti culturali, legati al caos urbano come in Killing Site, dove la piccola e confusionaria riproduzione in lamiera di uno spaccato urbano si staglia con l’elegante strutturazione del dipinto tradizionale indiano.
Varianti di linguaggio uniti dal mixing, non solo dei concetti conosciuti-non conosciuti, ma anche dei materiali. Il legno, primo fra tutti, nell’opera di Ryas Komu, intitolata Oils Well, Let’s play, in cui un mostruoso idolo semovente dai tratti sperimentali, tecnologici e moderni sembra voler nascondere la fragilità della sua sostanza. Una materia, quella del legno, che rimanda ad atmosfere da antico rituale, come suggerisce il carro a fianco della scultura, in un ossimoro sostanziale tra rispetto del passato ed evoluzione futura.
Così, in un viaggio di scoperta, riscopriamo noi stessi. Non più spinti dalla nostra sfera del conosciuto o del riconoscibile, ma in rapporto a un’arte spazialmente e temporalmente distante. Una dolce iniezione del nuovo, oggi più che mai necessaria.
Piuttosto che una sorta di riunione artistica di personalità, la collettiva si presenta come il frutto di una vera e propria analisi concettuale, come dimostrano gli artisti e i pensieri in mostra: Nataraj Sharma, lo spazio; Shilpa Gupta, lo stereotipo consumista; Ashim Purkayashta, l’immagine e il mondo; Hema Upadhiyay, la condizione umana e la storia; Ryas Komu, il mito; Valsan Koorma Tolleri, la materia e la forma. Concetti apparentemente comuni, ma obbligatoriamente vissuti e interpretati in maniera differente, influenzati da una società in caotica evoluzione, legati a una tradizione di pesante rilevanza politica e religiosa, così da sempre in un Paese come l’India.
Ecco allora che davanti a opere come quelle di Hema Upadhiyay ci raffrontiamo con una realtà, quella delle grandi metropoli indiane come Mumbai, semplicemente con un estraneo sguardo da turista, in uno sforzo intellettivo altamente complesso. Operazioni che concernono continui cambiamenti culturali, legati al caos urbano come in Killing Site, dove la piccola e confusionaria riproduzione in lamiera di uno spaccato urbano si staglia con l’elegante strutturazione del dipinto tradizionale indiano.
Varianti di linguaggio uniti dal mixing, non solo dei concetti conosciuti-non conosciuti, ma anche dei materiali. Il legno, primo fra tutti, nell’opera di Ryas Komu, intitolata Oils Well, Let’s play, in cui un mostruoso idolo semovente dai tratti sperimentali, tecnologici e moderni sembra voler nascondere la fragilità della sua sostanza. Una materia, quella del legno, che rimanda ad atmosfere da antico rituale, come suggerisce il carro a fianco della scultura, in un ossimoro sostanziale tra rispetto del passato ed evoluzione futura.
Così, in un viaggio di scoperta, riscopriamo noi stessi. Non più spinti dalla nostra sfera del conosciuto o del riconoscibile, ma in rapporto a un’arte spazialmente e temporalmente distante. Una dolce iniezione del nuovo, oggi più che mai necessaria.
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Studio La Città
Lungadige Galtarossa, 21 – 37133 Verona
Orario: da martedì a sabato ore 9-13 e 15.30-19.30
Ingresso libero
Catalogo con testi di Marco Meneguzzo e Shaheen Merali
Info: tel. +39 045597549; fax +39 045597028; lacitta@studiolacitta.it; www.studiolacitta.it
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