Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
07
maggio 2008
fino all’1.VI.2008 Mona Hatoum Ferrara, Pac
bologna
La poetica del disagio nel sovvertimento dei luoghi comuni. Utensili domestici che si trasformano in oggetti minacciosi. Capelli, peli pubici, cavi elettrici e soldatini di plastica. Per trovare il lato ironico bisogna sondare a fondo il lavoro dell’anglo-palestinese...
La sintesi del messaggio di Mona Hatoum (Beirut, 1952; vive a Londra e Berlino) -figlia di genitori palestinesi evacuati da Haifa nel 1948 e, a sua volta, costretta all’esilio a Londra nel 1975, quando in Libano scoppiava la guerra civile- è Keffieh (1993-99), un’opera in cui il tradizionale copricapo palestinese, bianco e nero, è tessuto con le ciocche di capelli umani.
L’identità negata, il nomadismo, la minaccia della guerra, un senso di precarietà esistenziale sono alla base dei lavori dell’artista anglo-palestinese, presentati a Ferrara in occasione della XIII Biennale Donna. Appuntamento di straordinaria qualità, organizzato dall’Unione Donne in Italia di Ferrara in collaborazione con la locale Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, che annovera tra le presenze delle passate edizioni artiste della portata di Carol Rama e Patti Smith.
Il percorso di Undercurrents, che ha inizio con l’opera Doormat II -uno zerbino su cui appare la scritta welcome, un benvenuto che si rivela tutt’altro che innocuo, visto l’impiego di centinaia di spilli d’acciaio-, si snoda nei due piani del Padiglione di Arte Contemporanea di Palazzo Massari.
Luogo accogliente malgrado le trappole seminate da Hatoum un po’ ovunque: un grande paravento a forma di grattugia (Grater Divide), la lanterna magica che proietta sul muro soldati con il fucile puntato (Misbah), raffinati soprammobili in vetro colorato che rivelano la loro natura di granate (Nature morte aux grenades). In tutto, circa cinquanta opere fra installazioni, video e fotografie, realizzate nel corso della sua carriera ventennale.
L’intento non è quello di scioccare lo spettatore, quanto piuttosto di creare un corto circuito nella sua mente, affinché sia portato a riflettere sulla molteplice realtà delle cose. Nulla è scontato. La casa, in particolare, per l’artista assume una valenza di zona limite, luogo potenzialmente minaccioso, né più né meno di ciò che avviene al di fuori delle sue mura. Ecco allora che scolapasta e mestoli, grattugie e culle per neonati assumono le sembianze di strumenti di tortura.
La stessa tavola apparecchiata diventa qualcosa di indigesto. In Deep Throath (1996), infatti, basta affacciarsi sul piatto bianco -sulla tovaglia accanto al bicchiere, alle posate e al tovagliolo- per scoprire l’immagine in movimento realizzata seguendo con una sonda endoscopica il viaggio del cibo nell’interiorità fisica dell’autrice, dalla bocca all’ano e viceversa. Sì, c’è ironia nel suo lavoro, questo Hatoum lo conferma sorridendo in occasione dell’inaugurazione della mostra. Una ironia rafforza il contenuto.
L’identità negata, il nomadismo, la minaccia della guerra, un senso di precarietà esistenziale sono alla base dei lavori dell’artista anglo-palestinese, presentati a Ferrara in occasione della XIII Biennale Donna. Appuntamento di straordinaria qualità, organizzato dall’Unione Donne in Italia di Ferrara in collaborazione con la locale Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, che annovera tra le presenze delle passate edizioni artiste della portata di Carol Rama e Patti Smith.
Il percorso di Undercurrents, che ha inizio con l’opera Doormat II -uno zerbino su cui appare la scritta welcome, un benvenuto che si rivela tutt’altro che innocuo, visto l’impiego di centinaia di spilli d’acciaio-, si snoda nei due piani del Padiglione di Arte Contemporanea di Palazzo Massari.
Luogo accogliente malgrado le trappole seminate da Hatoum un po’ ovunque: un grande paravento a forma di grattugia (Grater Divide), la lanterna magica che proietta sul muro soldati con il fucile puntato (Misbah), raffinati soprammobili in vetro colorato che rivelano la loro natura di granate (Nature morte aux grenades). In tutto, circa cinquanta opere fra installazioni, video e fotografie, realizzate nel corso della sua carriera ventennale.
L’intento non è quello di scioccare lo spettatore, quanto piuttosto di creare un corto circuito nella sua mente, affinché sia portato a riflettere sulla molteplice realtà delle cose. Nulla è scontato. La casa, in particolare, per l’artista assume una valenza di zona limite, luogo potenzialmente minaccioso, né più né meno di ciò che avviene al di fuori delle sue mura. Ecco allora che scolapasta e mestoli, grattugie e culle per neonati assumono le sembianze di strumenti di tortura.
La stessa tavola apparecchiata diventa qualcosa di indigesto. In Deep Throath (1996), infatti, basta affacciarsi sul piatto bianco -sulla tovaglia accanto al bicchiere, alle posate e al tovagliolo- per scoprire l’immagine in movimento realizzata seguendo con una sonda endoscopica il viaggio del cibo nell’interiorità fisica dell’autrice, dalla bocca all’ano e viceversa. Sì, c’è ironia nel suo lavoro, questo Hatoum lo conferma sorridendo in occasione dell’inaugurazione della mostra. Una ironia rafforza il contenuto.
articoli correlati
Mona Hatoum alla Continua di San Gimignano
manuela de leonardis
mostra visitata il 5 aprile 2008
dal 5 aprile al primo giugno 2008
XIII Biennale Donna.
Mona Hatoum – Undercurrents
a cura di Lola Bonora
PAC – Palazzo Massari
Corso Porta Mare, 5 – 44100 Ferrara
Orario: da martedì a domenica ore 9-13 e 15-18
Ingresso: intero € 3; ridotto € 2
Catalogo con testi di Alix Ohlin e Whitney Chadwick
Info: tel. +39 0532244949; fax +39 0532203064; diamanti@comune.fe.it; www.artecultura.fe.it
[exibart]