Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
29
maggio 2008
Consapevole o meno, lo spettatore è protagonista dell’opera quanto l’artista e la lastra di vetro, aggressione inclusa, che ne subisce la superficie. “La massaia, il pensionato senza sapere di avere a che fare con l’arte si rendeva conto che, nel momento in cui veniva dato il colpo, avveniva un qualcosa -un’esplosione di luce e colori- e ne rimaneva impressionato, emozionandosi. Istintivamente avvertivano di essere al centro di un discorso artistico”, spiega Pino Modica (Civitavecchia, Roma, 1952; vive a Piombino, Livorno) ripercorrendo le prime tappe di Bersaglio.
Erano gli ultimissimi anni ’80 e l’artista, insieme a Salvatore Falci, Stefano Fontana e Cesare Pietroiusti, faceva parte del Gruppo di Piombino. Alla base del loro interesse c’era un fare artistico legato ai comportamenti estetici: “Interveniamo su spazi ‘urbani’; in ogni spazio si formulava un tipo di registratore diverso: i miei vetri nascevano nella vetreria”.
Vetri antisfondamento, antivandalismo, antiproiettile, che Modica aveva trovato nella bottega di un vetraio e, per farne provare ai clienti la resistenza fisica, aveva creato tre strutture di vetro accanto alle quali c’erano rispettivamente un martello, una mazza e una biglia metallica. “Finché il vetro è sano la luce non si vede, ma nel momento in cui si determina una rottura, la luce rimbalza sulla rottura e torna alla vista”.
È la luce, quindi, a determinare il cambiamento che capovolge il senso della percezione. La ramificazione di crepe e fratture del vetro perdono così la componente originaria, legata alla violenza del gesto, per acquisire un linguaggio artistico autonomo. L’impatto si trasforma in “un fiore, un lampo nella notte, una galassia”, come suggerisce l’artista. “È qui, secondo me, che sta il lavoro artistico, nella misura in cui da una situazione ormai apparentemente decodificata e contestualizzata -come può essere quella di un vetro rotto, di cui se ne trovano mille per strada- con un’azione semplicissima, cioè con una determinata illuminazione, si apre a un’altra percezione visiva. Da quel momento in poi il vetro rotto non sarà più un vetro rotto, ma un’opera; e anche quando dovesse capitare di nuovo di vedere un altro vetro rotto per la strada, non lo si vedrà più come prima”.
Anche negli anni ’70 si facevano happening con il coinvolgimento del pubblico, precisa Modica, ma allora si trattava di pubblico consapevole e più che di azione si deve parlare di atteggiamento, “cioè di un comportamento che non era vero. La gente della strada invece è autentica, proprio perché non sa di interagire con un’opera. Il risultato supera qualsiasi tipo di aspettativa o quanto meno di previsione che si era fatta.”.
Il percorso dei “bersagli” evolve nel tempo, come si può vedere nella galleria di vicolo del Governo Vecchio, in occasione della personale Impact effect: 1/2 mv2. Dalla vetreria ci siamo spostati nel poligono di tiro, da cui provengono sia le due opere del 1990 e del 1991 -in cui il vetro stratificato a triplo strato è colpito dai proiettili di una pistola semiautomatica, nonché di un fucile a pompa- sia i due recentissimi lavori con i fori prodotti da un AK-47.
C’è una grande differenza tra la rottura di un vetro causata da un colpo di martello e dallo sparo, perché il fucile a pompa non rompe il vetro, ma crea un calore tale per cui l’impatto dei pallini lo fa fondere. Basta accarezzare la superficie per percepire le frastagliature mosse, i crateri dell’esplosione.
Erano gli ultimissimi anni ’80 e l’artista, insieme a Salvatore Falci, Stefano Fontana e Cesare Pietroiusti, faceva parte del Gruppo di Piombino. Alla base del loro interesse c’era un fare artistico legato ai comportamenti estetici: “Interveniamo su spazi ‘urbani’; in ogni spazio si formulava un tipo di registratore diverso: i miei vetri nascevano nella vetreria”.
Vetri antisfondamento, antivandalismo, antiproiettile, che Modica aveva trovato nella bottega di un vetraio e, per farne provare ai clienti la resistenza fisica, aveva creato tre strutture di vetro accanto alle quali c’erano rispettivamente un martello, una mazza e una biglia metallica. “Finché il vetro è sano la luce non si vede, ma nel momento in cui si determina una rottura, la luce rimbalza sulla rottura e torna alla vista”.
È la luce, quindi, a determinare il cambiamento che capovolge il senso della percezione. La ramificazione di crepe e fratture del vetro perdono così la componente originaria, legata alla violenza del gesto, per acquisire un linguaggio artistico autonomo. L’impatto si trasforma in “un fiore, un lampo nella notte, una galassia”, come suggerisce l’artista. “È qui, secondo me, che sta il lavoro artistico, nella misura in cui da una situazione ormai apparentemente decodificata e contestualizzata -come può essere quella di un vetro rotto, di cui se ne trovano mille per strada- con un’azione semplicissima, cioè con una determinata illuminazione, si apre a un’altra percezione visiva. Da quel momento in poi il vetro rotto non sarà più un vetro rotto, ma un’opera; e anche quando dovesse capitare di nuovo di vedere un altro vetro rotto per la strada, non lo si vedrà più come prima”.
Anche negli anni ’70 si facevano happening con il coinvolgimento del pubblico, precisa Modica, ma allora si trattava di pubblico consapevole e più che di azione si deve parlare di atteggiamento, “cioè di un comportamento che non era vero. La gente della strada invece è autentica, proprio perché non sa di interagire con un’opera. Il risultato supera qualsiasi tipo di aspettativa o quanto meno di previsione che si era fatta.”.
Il percorso dei “bersagli” evolve nel tempo, come si può vedere nella galleria di vicolo del Governo Vecchio, in occasione della personale Impact effect: 1/2 mv2. Dalla vetreria ci siamo spostati nel poligono di tiro, da cui provengono sia le due opere del 1990 e del 1991 -in cui il vetro stratificato a triplo strato è colpito dai proiettili di una pistola semiautomatica, nonché di un fucile a pompa- sia i due recentissimi lavori con i fori prodotti da un AK-47.
C’è una grande differenza tra la rottura di un vetro causata da un colpo di martello e dallo sparo, perché il fucile a pompa non rompe il vetro, ma crea un calore tale per cui l’impatto dei pallini lo fa fondere. Basta accarezzare la superficie per percepire le frastagliature mosse, i crateri dell’esplosione.
articoli correlati
Pino Modica a Suvereto
manuela de leonardis
mostra visitata il 14 maggio 2008
dal 15 maggio al 15 giugno 2008
Pino Modica – Impact effect
a cura di Francesca Franco
Galleria Altri Lavori in Corso
Vicolo del Governo Vecchio, 7 (zona Chiesa Nuova) – 00186 Roma
Orario: da lunedì a sabato ore 17-20; mattina su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 066861719; info@altrilavoriincorso.com; www.altrilavoriincorso.com
[exibart]