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30
maggio 2008
Tutta la ricerca di Tommaso Cascella (Roma, 1951) è tesa a costruire un ponte tra la rispettabile e austera bidimensionalità e la seria illusione dell’impatto tridimensionale. L’occhio dell’artista diventa così telescopico, vagando fra la piccola dimensione e l’aspirazione alla monumentalità, e creando una sarabanda festosa ma controllatissima.
I colori primari e le campiture regolari danno un tono squillante a un’opera che, fra scultura, pittura e opere su carta, insegue da un lato l’astrattismo geometrico, svisandolo, e dall’altro un universo di segni e simboli dal sentore ancestrale. Proprio in questo risiede la sua somiglianza con la Transavanguardia, nella pletora di segni a metà fra astratto e figurativo. Ma è solo un’ascendenza comune: Cascella pesca nello stesso serbatoio dei transavanguardisti, piuttosto che ispirarsi a loro. I suoi simboli tendono a una narrazione congelata e non a organizzare lo spazio per estetizzare l’atavismo classicista.
La mostra Pop up è un vero paradosso: proprio quando il “telescopio” di Cascella punta sulla riduzione delle dimensioni, raggiunge come risultato il massimo della potenza. La sua scultura, ora, può stare benissimo in una piccola teca o su un tavolino, diventa compagna apparentemente docile ma molto evocativa.
Il richiamo è quello dell’infanzia, di quei libri che si squadernano e liberano forme di cartone: i pop-up, appunto. Anche le “sculturine” di Cascella possono essere ripiegate. Quando le si apre, invece, danno vita a piccoli teatri, a storie minime racchiuse fra quinte che sembrano prelevate da un teatro di marionette diventato improvvisamente adulto, ma che sa ancora prendersi gioco di se stesso. Ma non dello spettatore: l’eleganza formale, ottenuta con mezzi poveri ancorché sapienti, è assoluta.
Ridursi ai minimi termini, metaforizzare il proprio stile, quasi prendersi gioco di sé come artista: spesso, come nel caso di Cascella, queste operazioni conducono a un potenziamento delle opere di un artista. Infatti, il pop-up più riuscito è certamente quello in cui l’opera di sottrazione è maggiore: si tratta di Roma imperiale, con il suo semplice bianco-rosso e con i lacerti di spartiti e di pagine vergate a mano applicate sugli sfondi.
La stessa opera di auto-diminuzione viene operata da Cascella anche nelle opere su carta: i colori pastello e l’ingentilimento delle linee producono un’eleganza sussurrata, anche se decisamente gradevole all’occhio.
I colori primari e le campiture regolari danno un tono squillante a un’opera che, fra scultura, pittura e opere su carta, insegue da un lato l’astrattismo geometrico, svisandolo, e dall’altro un universo di segni e simboli dal sentore ancestrale. Proprio in questo risiede la sua somiglianza con la Transavanguardia, nella pletora di segni a metà fra astratto e figurativo. Ma è solo un’ascendenza comune: Cascella pesca nello stesso serbatoio dei transavanguardisti, piuttosto che ispirarsi a loro. I suoi simboli tendono a una narrazione congelata e non a organizzare lo spazio per estetizzare l’atavismo classicista.
La mostra Pop up è un vero paradosso: proprio quando il “telescopio” di Cascella punta sulla riduzione delle dimensioni, raggiunge come risultato il massimo della potenza. La sua scultura, ora, può stare benissimo in una piccola teca o su un tavolino, diventa compagna apparentemente docile ma molto evocativa.
Il richiamo è quello dell’infanzia, di quei libri che si squadernano e liberano forme di cartone: i pop-up, appunto. Anche le “sculturine” di Cascella possono essere ripiegate. Quando le si apre, invece, danno vita a piccoli teatri, a storie minime racchiuse fra quinte che sembrano prelevate da un teatro di marionette diventato improvvisamente adulto, ma che sa ancora prendersi gioco di se stesso. Ma non dello spettatore: l’eleganza formale, ottenuta con mezzi poveri ancorché sapienti, è assoluta.
Ridursi ai minimi termini, metaforizzare il proprio stile, quasi prendersi gioco di sé come artista: spesso, come nel caso di Cascella, queste operazioni conducono a un potenziamento delle opere di un artista. Infatti, il pop-up più riuscito è certamente quello in cui l’opera di sottrazione è maggiore: si tratta di Roma imperiale, con il suo semplice bianco-rosso e con i lacerti di spartiti e di pagine vergate a mano applicate sugli sfondi.
La stessa opera di auto-diminuzione viene operata da Cascella anche nelle opere su carta: i colori pastello e l’ingentilimento delle linee producono un’eleganza sussurrata, anche se decisamente gradevole all’occhio.
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a cura di Beatrice Buscaroli
Spirale Arte
Corso Venezia, 29 (zona Porta Venezia) – 20121 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 11-19.30
Ingresso libero
Catalogo Damiani, € 15
Info: tel. +39 02795483; fax +39 02795596; artecontemporanea@spiralearte.com; www.spiraleartecontemporanea.it
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