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Nicus Lucà
Nicus Lucà espone una importante selezione dalla serie “campioni”. Immagini esemplari che provengono dalla storia dell’arte, dalla musica e dalla cultura popolare, riprodotte e realizzate attraverso l’uso di spilli su fondi monocromi.
Comunicato stampa
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CAMPIONI, campioni.
Il 30 ottobre, presso la galleria davidepaludetto | artecontemporanea, Nicus Lucà espone una importante selezione dalla serie "campioni". Immagini esemplari che provengono dalla storia dell'arte, dalla musica e dalla cultura popolare, riprodotte e realizzate attraverso l'uso di spilli su fondi monocromi.
Se il Campione è il modello, il «n°1 nel suo genere», l'atto del campionare è piuttosto il processo che traduce l'inimitabilità in ripetizione.
E se il primo termine può considerarsi la sintesi di una narrazione perfetta - l'episodio irraggiungibile e senza pari - il secondo rappresenta il passaggio semiotico da "il" a "un".
Il campione.
Un campione.
Come per quel turbine logico che fa dell'accendino la sintesi miniata del fulmine, così l’immagine ritrovata è la riproduzione di un Olimpo osservato au pair, analizzato e proposto con energia sospesa, trattenuta. Un pantheon che si attesta, per definizione, in una dimensione di là dal comune. Una formula che muove il tempo come moneta a due facce: da una parte compito gravoso da svolgere, dall'altra reiterazione di un incessante e regolare stupore. Tra le note dolenti e i margini consolatori della scansione temporale, dunque, si nasconde e si affaccia Nicus Lucà, che ben conosce la musica, l'ossessione e la meraviglia di saper stare sul tempo.
Con il piglio aggressivo e con la multipla perforazione sui quadri che Franco Fanelli definisce «perversamente piacevoli», Lucà sconvolge una sorta di barriera di sicurezza. Il muro di spilli diviene esso stesso perturbazione tattile e si è al sicuro solo al centro della stanza, in mezzo agli altri, in un clima di calore sottilmente sovversivo.
Si pensi alle cantine romane, alle molteplici (e spesso perniciose) eredità di Carmelo Bene, al '77, al sodalizio tra studenti e operai, e poi si pensi al punk torinese, al volto segnato e l'espressione strafottente di chi ha vissuto l'underground duro ma formidabile della città sabauda. Per Lucà dare una sistemazione analitica della realtà significa, tra le altre cose, riportare a terra ciò che è asceso alla sfera del mito. Il campione è dunque il modello, l'esemplare altissimo ma allo stesso tempo ottuso, in quanto irremovibilmente e tautologicamente pari soltanto a se stesso. Montagna da cui non poter ritirare lo sguardo. Impresa titanica e perdente.
Dice ancora Fanelli: «è problematico, per un italiano, essere "contemporaneo" e quindi essere artista senza firmare qualche gravosissima cambiale con l'Antico». Lucà usa parole più immediate: «Con gli spilli mi ero creato una bicicletta che poi ho dovuto pedalare. Ci vuole un'infinità di tempo e quando ho cominciato a farli ero praticamente nello stato opposto. Esuberante con il beat a mille.»
Lo scontro/incontro con il monumento culturale è però solo una parte del lavoro e non spiega del tutto lo sforzo impiegato per questa tale dimensione di pazienza.
Bisogna considerare, infatti, una importante cifra di tessitura, di decorazione, di atto artigianale puro: la rievocazione di una via S. Donato brulicante, posta a cardine del suo immaginario come un mosaico cittadino da percorrere a piedi e mille volte al giorno.
L'artista definisce infatti la sua infanzia a metà tra una bottega – ebanisti e seggiolai di famiglia – e uno zoo: «il merlo libero, le tortore, gli uccelli nel cortile e gli scoiattolini giapponesi».
Una sorta di ordine dell'homo faber fatto di funzione, decorazione e natura. Oriente segreto edificato su un affluente della Dora che l’artista porta avanti come stile di vita. «Tutto questo è come un rituale, un meccanismo zen. I Vedanta. Stare nel qui e ora».
Mentre i corpi degli spilli creano ombreggiature, aloni, pendenze che riproducono le sfumature di un’intenzione pittorica viva e meticolosa, le teste degli spilli, invisibili all'occhio e poste nel retro del quadro, giacciono come arazzo nascosto, interiore. Spilli sotto la tela. Una testimonianza ritmica di gesti che durano un secondo. Un attimo. O come dicevano più precisamente i latini:
un temporis punctum.
testo a cura di Fabio Vito Lacertosa
Il 30 ottobre, presso la galleria davidepaludetto | artecontemporanea, Nicus Lucà espone una importante selezione dalla serie "campioni". Immagini esemplari che provengono dalla storia dell'arte, dalla musica e dalla cultura popolare, riprodotte e realizzate attraverso l'uso di spilli su fondi monocromi.
Se il Campione è il modello, il «n°1 nel suo genere», l'atto del campionare è piuttosto il processo che traduce l'inimitabilità in ripetizione.
E se il primo termine può considerarsi la sintesi di una narrazione perfetta - l'episodio irraggiungibile e senza pari - il secondo rappresenta il passaggio semiotico da "il" a "un".
Il campione.
Un campione.
Come per quel turbine logico che fa dell'accendino la sintesi miniata del fulmine, così l’immagine ritrovata è la riproduzione di un Olimpo osservato au pair, analizzato e proposto con energia sospesa, trattenuta. Un pantheon che si attesta, per definizione, in una dimensione di là dal comune. Una formula che muove il tempo come moneta a due facce: da una parte compito gravoso da svolgere, dall'altra reiterazione di un incessante e regolare stupore. Tra le note dolenti e i margini consolatori della scansione temporale, dunque, si nasconde e si affaccia Nicus Lucà, che ben conosce la musica, l'ossessione e la meraviglia di saper stare sul tempo.
Con il piglio aggressivo e con la multipla perforazione sui quadri che Franco Fanelli definisce «perversamente piacevoli», Lucà sconvolge una sorta di barriera di sicurezza. Il muro di spilli diviene esso stesso perturbazione tattile e si è al sicuro solo al centro della stanza, in mezzo agli altri, in un clima di calore sottilmente sovversivo.
Si pensi alle cantine romane, alle molteplici (e spesso perniciose) eredità di Carmelo Bene, al '77, al sodalizio tra studenti e operai, e poi si pensi al punk torinese, al volto segnato e l'espressione strafottente di chi ha vissuto l'underground duro ma formidabile della città sabauda. Per Lucà dare una sistemazione analitica della realtà significa, tra le altre cose, riportare a terra ciò che è asceso alla sfera del mito. Il campione è dunque il modello, l'esemplare altissimo ma allo stesso tempo ottuso, in quanto irremovibilmente e tautologicamente pari soltanto a se stesso. Montagna da cui non poter ritirare lo sguardo. Impresa titanica e perdente.
Dice ancora Fanelli: «è problematico, per un italiano, essere "contemporaneo" e quindi essere artista senza firmare qualche gravosissima cambiale con l'Antico». Lucà usa parole più immediate: «Con gli spilli mi ero creato una bicicletta che poi ho dovuto pedalare. Ci vuole un'infinità di tempo e quando ho cominciato a farli ero praticamente nello stato opposto. Esuberante con il beat a mille.»
Lo scontro/incontro con il monumento culturale è però solo una parte del lavoro e non spiega del tutto lo sforzo impiegato per questa tale dimensione di pazienza.
Bisogna considerare, infatti, una importante cifra di tessitura, di decorazione, di atto artigianale puro: la rievocazione di una via S. Donato brulicante, posta a cardine del suo immaginario come un mosaico cittadino da percorrere a piedi e mille volte al giorno.
L'artista definisce infatti la sua infanzia a metà tra una bottega – ebanisti e seggiolai di famiglia – e uno zoo: «il merlo libero, le tortore, gli uccelli nel cortile e gli scoiattolini giapponesi».
Una sorta di ordine dell'homo faber fatto di funzione, decorazione e natura. Oriente segreto edificato su un affluente della Dora che l’artista porta avanti come stile di vita. «Tutto questo è come un rituale, un meccanismo zen. I Vedanta. Stare nel qui e ora».
Mentre i corpi degli spilli creano ombreggiature, aloni, pendenze che riproducono le sfumature di un’intenzione pittorica viva e meticolosa, le teste degli spilli, invisibili all'occhio e poste nel retro del quadro, giacciono come arazzo nascosto, interiore. Spilli sotto la tela. Una testimonianza ritmica di gesti che durano un secondo. Un attimo. O come dicevano più precisamente i latini:
un temporis punctum.
testo a cura di Fabio Vito Lacertosa
30
ottobre 2018
Nicus Lucà
Dal 30 ottobre al 15 novembre 2018
arte contemporanea
Location
DAVIDEPALUDETTO ARTECONTEMPORANEA
Torino, Via Artisti, 10, (Torino)
Torino, Via Artisti, 10, (Torino)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 16-20
Vernissage
30 Ottobre 2018, h 18.00
Autore