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Angelo Dozio – Antologica
Continua l’indagine storica di Palazzo Collicola Arti Visive tra artisti italiani che meritano una più esaustiva
valutazione del proprio operato ultradecennale. Dopo Gianfranco Chiavacci, Gastone Biggi, Salvatore
Emblema e Giuseppe Biasio, è oggi la volta di Angelo Dozio con un’antologica allestita tra le sale bianche
del Piano Mostre e gli arredi gentilizi del Piano Nobile.
Comunicato stampa
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Continua l’indagine storica di Palazzo Collicola Arti Visive tra artisti italiani che meritano una più esaustiva
valutazione del proprio operato ultradecennale. Dopo Gianfranco Chiavacci, Gastone Biggi, Salvatore
Emblema e Giuseppe Biasio, è oggi la volta di Angelo Dozio con un’antologica allestita tra le sale bianche
del Piano Mostre e gli arredi gentilizi del Piano Nobile.
Angelo Dozio nasce il 14 luglio 1941 a Merate, dove tutt'oggi risiede. Frequenta l'Accademia di Belle Arti di
Brera a Milano. Nel 1958 inizia ad esporre in rassegne di gruppo mentre la prima personale risale al 1961.
Nel 1967, dopo aver bruciato le tappe del paesaggismo figurativo e della gestualità informale, imbocca la
strada dell'astrattismo geometrico di matrice costruttivista. Le prime opere di siffatta natura sono del 1968:
grandi dipinti elaborati con la tecnica delle aggiunzioni, con macchie, pennellate, lacerti incollati e ricoperti
dal colore. Subito dopo nascono le tele incollate e ripiegate, una specie di “geografia della materia”. La
tecnica del collage e della giustapposizione di materiali (cartoncini, feltrini ecc.) porta Dozio ai dipinti
chiamati Muri, superfici a rappezzi che iniziano a liberarsi dalla materia, una fuga che trova compimento nel
ciclo successivo delle Rondini: quadri che sono segni e sagome curvilinee su uno sfondo unitario, nette ed
eleganti, simili allo sfrecciare di una rondine nel cielo. Seguono alcune opere denominate Curve in cui
l’autore introduce una personale sintesi architettonica, un'esaltazione del cinetismo, incentrata su paesaggi
di puro spazialismo. La sintesi evoluta arriva, però, col ciclo degli Orizzonti , momento tra i più rigorosi e
intuitivi dell’artista. Una successiva svolta riguarda le Poesie, non più linee continue bensì piccoli segmenti
staccati di differenti colori, con una “testa” formata da un puntino colorato. Nel 1975 Dozio esegue un'opera
di 2,5x5,5 metri che viene esposta all'International Art Center di Londra. Negli anni '80 sviluppa il ciclo dei
Labirinti: dalla linea orizzontale si passa ai reticoli segmentati, all'incrocio di verticali e orizzontali la cui
percezione é data dall'uso del colore in quanto forma. L'apparente semplicità é offerta dalla ricerca
dell'essenziale e dall’aspirazione alla trascendenza. Come per un fatto ipnotico la coscienza viene attratta da
questa griglia di quadrati. Non a caso nei confronti delle sue opere si é accennato in più occasioni ad una
“sorta di filosofia neoplatonica" in cui la meta è la ricerca dell'Assoluto. Negli anni ’90 predominano le linee
verticali in una profonda poesia e alternanza di colori. Degli anni 2000 è il ciclo New York che prende il
nome dalla metropoli del mondo, enciclopedia aerea di parallelepipedi e macrovedute orizzontali. Durante la
lavorazione di questi dipinti, Dozio sente la necessità di una corporeità del supporto. Nasce così il ciclo delle
Zolle, pittosculture che assomigliano a mattoni colorati che non edificano muri bensì sono muri dell'anima
con cui costruire immagini della coscienza. In seguito si rende conto che il dipinto ha una sua coscienza
interna e che i piccoli punti nelle intersezioni delle linee hanno una loro carica e pulsione, come fossero
neutrini, la quintessenza dell'esistente. Dozio inizia così nel 2008 una ricerca che si libera dalle linee e
insegue la sintesi metafisica del punto. Il nome di questa serie è, appunto, Neutrini.
Gianluca Marziani: Due elementi, la veggenza e la poesia, che spesso non trovano esiti maturi in
un’estetica così rarefatta; ma Dozio riesce nel difficile compito e coglie un’urgenza tra le pieghe della Pop Art
e del Minimalismo, calibrando la ragione del progresso con le istanze metafisiche del pictor optimus. Mentre
trionfa la cultura iconica di Andy Warhol e Mario Schifano, mentre cresce la febbre riduzionista di Richard
Serra, Donald Judd e Mauro Staccioli, mentre l’arte più radicale ambisce alla natura, all’azione performativa
e al dato concettuale, spuntano evidenze solitarie alla Dozio, storie anomale che leggono il mondo
attraverso la linea minimalista ma con una gamma acrilica di ascendenza pop.
Alessandro Riva: Attraverso un alfabeto geometrico-astratto lineare e straordinariamente rigoroso,
apparentemente ripetitivo eppure sempre differente, Dozio ha creato, nel corso degli anni, una visione del
mondo che prescinde completamente dall’idea di rappresentatività, senza mai abbandonare quello che
potremmo chiamare “il fantasma” del mondo reale; i suoi Orizzonti, le sue Rondini, i suoi Labirinti, le sue
Zolle, le sue New York o i suoi Neutrini altro non sono che il ricordo, passato attraverso la filigrana di un
linguaggio del tutto originale e simbolico, di ciò che chiamiamo “il reale”. Non c’è, in Dozio, la volontà di
rappresentare più di quanto non vi sia quella di agire con intenti estetizzanti o decorativi. E tuttavia, la sua è
pur sempre una rappresentazione, simbolica quanto puntuale, del mondo e dell’universo secondo quella che
potremmo definire una sorta di sua grammatica segreta, esoterica, iniziatica…
Gianluca Marziani: Rivedendo i cicli di una lunga carriera, Angelo Dozio evidenzia un valore coerente nel
tema della trascendenza. Perché è vero l’intuito tecnologico, il legame con l’urbanistica e l’architettura, la
presenza implicita del suono, la veggenza sul linguaggio digitale, ma al dunque emerge una sospensione
metafisica che sopravanza il resto, un sistema iconografico che torna alle linee della croce sacra, alle curve
dei capitelli greci e romani, alle bicromie marmoree fiorentine, alla pianta di chiese e basiliche, al disegno
delle città ideali… la geometria di Dozio esce fuori dalla Storia e si inerpica nei valori dell’Assoluto, dove solo
la pittura può giungere, dove il disegno ingloba la morale, dove la Bellezza ragiona oltre le contingenze
mondane.
valutazione del proprio operato ultradecennale. Dopo Gianfranco Chiavacci, Gastone Biggi, Salvatore
Emblema e Giuseppe Biasio, è oggi la volta di Angelo Dozio con un’antologica allestita tra le sale bianche
del Piano Mostre e gli arredi gentilizi del Piano Nobile.
Angelo Dozio nasce il 14 luglio 1941 a Merate, dove tutt'oggi risiede. Frequenta l'Accademia di Belle Arti di
Brera a Milano. Nel 1958 inizia ad esporre in rassegne di gruppo mentre la prima personale risale al 1961.
Nel 1967, dopo aver bruciato le tappe del paesaggismo figurativo e della gestualità informale, imbocca la
strada dell'astrattismo geometrico di matrice costruttivista. Le prime opere di siffatta natura sono del 1968:
grandi dipinti elaborati con la tecnica delle aggiunzioni, con macchie, pennellate, lacerti incollati e ricoperti
dal colore. Subito dopo nascono le tele incollate e ripiegate, una specie di “geografia della materia”. La
tecnica del collage e della giustapposizione di materiali (cartoncini, feltrini ecc.) porta Dozio ai dipinti
chiamati Muri, superfici a rappezzi che iniziano a liberarsi dalla materia, una fuga che trova compimento nel
ciclo successivo delle Rondini: quadri che sono segni e sagome curvilinee su uno sfondo unitario, nette ed
eleganti, simili allo sfrecciare di una rondine nel cielo. Seguono alcune opere denominate Curve in cui
l’autore introduce una personale sintesi architettonica, un'esaltazione del cinetismo, incentrata su paesaggi
di puro spazialismo. La sintesi evoluta arriva, però, col ciclo degli Orizzonti , momento tra i più rigorosi e
intuitivi dell’artista. Una successiva svolta riguarda le Poesie, non più linee continue bensì piccoli segmenti
staccati di differenti colori, con una “testa” formata da un puntino colorato. Nel 1975 Dozio esegue un'opera
di 2,5x5,5 metri che viene esposta all'International Art Center di Londra. Negli anni '80 sviluppa il ciclo dei
Labirinti: dalla linea orizzontale si passa ai reticoli segmentati, all'incrocio di verticali e orizzontali la cui
percezione é data dall'uso del colore in quanto forma. L'apparente semplicità é offerta dalla ricerca
dell'essenziale e dall’aspirazione alla trascendenza. Come per un fatto ipnotico la coscienza viene attratta da
questa griglia di quadrati. Non a caso nei confronti delle sue opere si é accennato in più occasioni ad una
“sorta di filosofia neoplatonica" in cui la meta è la ricerca dell'Assoluto. Negli anni ’90 predominano le linee
verticali in una profonda poesia e alternanza di colori. Degli anni 2000 è il ciclo New York che prende il
nome dalla metropoli del mondo, enciclopedia aerea di parallelepipedi e macrovedute orizzontali. Durante la
lavorazione di questi dipinti, Dozio sente la necessità di una corporeità del supporto. Nasce così il ciclo delle
Zolle, pittosculture che assomigliano a mattoni colorati che non edificano muri bensì sono muri dell'anima
con cui costruire immagini della coscienza. In seguito si rende conto che il dipinto ha una sua coscienza
interna e che i piccoli punti nelle intersezioni delle linee hanno una loro carica e pulsione, come fossero
neutrini, la quintessenza dell'esistente. Dozio inizia così nel 2008 una ricerca che si libera dalle linee e
insegue la sintesi metafisica del punto. Il nome di questa serie è, appunto, Neutrini.
Gianluca Marziani: Due elementi, la veggenza e la poesia, che spesso non trovano esiti maturi in
un’estetica così rarefatta; ma Dozio riesce nel difficile compito e coglie un’urgenza tra le pieghe della Pop Art
e del Minimalismo, calibrando la ragione del progresso con le istanze metafisiche del pictor optimus. Mentre
trionfa la cultura iconica di Andy Warhol e Mario Schifano, mentre cresce la febbre riduzionista di Richard
Serra, Donald Judd e Mauro Staccioli, mentre l’arte più radicale ambisce alla natura, all’azione performativa
e al dato concettuale, spuntano evidenze solitarie alla Dozio, storie anomale che leggono il mondo
attraverso la linea minimalista ma con una gamma acrilica di ascendenza pop.
Alessandro Riva: Attraverso un alfabeto geometrico-astratto lineare e straordinariamente rigoroso,
apparentemente ripetitivo eppure sempre differente, Dozio ha creato, nel corso degli anni, una visione del
mondo che prescinde completamente dall’idea di rappresentatività, senza mai abbandonare quello che
potremmo chiamare “il fantasma” del mondo reale; i suoi Orizzonti, le sue Rondini, i suoi Labirinti, le sue
Zolle, le sue New York o i suoi Neutrini altro non sono che il ricordo, passato attraverso la filigrana di un
linguaggio del tutto originale e simbolico, di ciò che chiamiamo “il reale”. Non c’è, in Dozio, la volontà di
rappresentare più di quanto non vi sia quella di agire con intenti estetizzanti o decorativi. E tuttavia, la sua è
pur sempre una rappresentazione, simbolica quanto puntuale, del mondo e dell’universo secondo quella che
potremmo definire una sorta di sua grammatica segreta, esoterica, iniziatica…
Gianluca Marziani: Rivedendo i cicli di una lunga carriera, Angelo Dozio evidenzia un valore coerente nel
tema della trascendenza. Perché è vero l’intuito tecnologico, il legame con l’urbanistica e l’architettura, la
presenza implicita del suono, la veggenza sul linguaggio digitale, ma al dunque emerge una sospensione
metafisica che sopravanza il resto, un sistema iconografico che torna alle linee della croce sacra, alle curve
dei capitelli greci e romani, alle bicromie marmoree fiorentine, alla pianta di chiese e basiliche, al disegno
delle città ideali… la geometria di Dozio esce fuori dalla Storia e si inerpica nei valori dell’Assoluto, dove solo
la pittura può giungere, dove il disegno ingloba la morale, dove la Bellezza ragiona oltre le contingenze
mondane.
27
ottobre 2018
Angelo Dozio – Antologica
Dal 27 ottobre 2018 al 24 febbraio 2019
arte contemporanea
Location
PALAZZO COLLICOLA ARTI VISIVE – MUSEO CARANDENTE
Spoleto, Via Loreto Vittori, 11, (Perugia)
Spoleto, Via Loreto Vittori, 11, (Perugia)
Vernissage
27 Ottobre 2018, h 12
Autore
Curatore