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Achille Filipponi – Anche queste fidate cose ti saranno in eterno ignote
‘Anche queste fidate cose ti saranno in eterno ignote’ di Achille Filipponi è un’indagine sul solco invalicabile tra il fotografico e il reale.Ciò che vediamo è frutto di un atto fotografico ridotto ai suoi minimi termini, un ‘grande altro’ autonomo che non riconcilia ma allontana.
Comunicato stampa
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‘Anche queste fidate cose ti saranno in eterno ignote’ di Achille Filipponi è un’indagine sul solco invalicabile tra il fotografico e il reale. Le immagini marcano una distanza, parlano di una restituzione impossibile che la fotografia tenta di completare ogni volta rispetto all’accaduto, senza poter riuscire. Ciò che vediamo è frutto di un atto fotografico ridotto ai suoi minimi termini, un ‘grande altro’ autonomo che in questo caso, come nel verso di Ernst Meister, non riconcilia ma allontana.
Considerare la fotografia come una domanda aperta è il moto propulsore della ricerca artistica di Achille Filipponi: affrontare il sistema dell’immagine come meccanismo a cui porre costanti quesiti.
Nel corso del tempo il lavoro di Filipponi abbandona sempre di più qualsiasi griglia tematica e sposta il suo interesse verso i paradigmi della fotografia stessa. Come è stato nell’arte concettuale dei primi 70’ attraverso una serie di “esercizi”, vengono delineati i limiti e le possibilità del processo fotografico; inventato per essere il mezzo in grado di riprodurre il più fedelmente possibile la realtà, ma pur sempre al servizio della soggettività umana. Come illustra l’emblematica opera dell’artista concettuale John Hiliard realizzata nel 1972 “Camera recording its own condition”, la stessa inquadratura fotografica racchiude diverse possibilità, la scelta finale su come utilizzare il mezzo e che tipo di risultato ottenere spetta sempre a chi sta dietro all’obiettivo.
La fotografia è in grado di ricreare coordinate che appartengono alla nostra realtà: tempo, spazio, tridimensionalità. Produce immagini nitide come le percepisce il nostro occhio, ma quello che osserviamo in fine è stato filtrato attraverso due diverse lenti, quella meccanica e quella del pensiero umano. Che cosa è quindi reale e cosa forviante all’interno di un immagine fotografica? “Anche queste fidate cose ti saranno in eterno ignote” nasce da queste osservazioni per arrivare ad abbracciare le diverse possibilità che la fotografia stessa contiene: possibilità di creazione, di rappresentazione e lettura. Come spesso accade nei lavori di Filipponi la ricerca e il processo sono formalmente omessi e ci viene presentato soltanto il risultato finale, privo di orpelli didascalici. In questo caso una serie di orizzonti. Una serie di mari e cieli.
Ma quelle che osserviamo non sono delle fotografie. Sono opere realizzate in camera oscura e attraverso un processo chimico, stampate su carta fotografica. Ci danno i riferimenti del reale quali: spazio, tempo, tridimensionalità, ma non sono immagini fotografiche create da un negativo, ne tanto meno da un file. Non sono nient’altro che campiture di luce e di ombra, che ci riportano la suggestione di un orizzonte marino.
La scelta del soggetto non è casuale: l’orizzonte è quella linea che sta sempre davanti a noi ma che non possiamo raggiungere in nessun modo. Queste immagini sono un lirico esercizio di perseveranza, che ci parla di frustrazione e di inafferrabilità e i mari che osserviamo in questa serie vogliono essere la sintesi massima della trasposizione tra reale e irreale che avviene all’ interno del processo fotografico stesso.
Se pur formalmente distante nel lavoro possiamo dire ci sia un eco di Bas Jan Ader, – scomparso in mare nel 1975 durante il compimento della performance “In Search of the Miraculous”, ovvero quella che doveva essere la traversata oceanica sulla più piccola barca a vela mai realizzata – e all’interno di “Anche queste fidate cose ti saranno per sempre ignote” si può scorgere un legame d’intenti con la scuola delle avanguardie dell’epoca, che intrapresero l’arte senza mai distanziare la ricerca dalla sostanza dell’idea.
C’è inoltre un atto performativo che entra silenzioso all’interno della pratica di Filipponi, è il gesto con cui queste immagini vengono realizzate in camera oscura e le sue imperfezioni, come la linea dell’orizzonte in leggero movimento, sono le uniche tracce che ci rivelano la performance. Con questa serie infatti, l’autore abbandona il preconcetto che il risultato finale di un lavoro che parla del fotografico debba per forza essere la fotografia stessa.
Testo di Elena Vaninetti.
Achille Filipponi (b.1981) vive e lavora a Torino. Attivo nel campo della fotografia come autore ed editore, studia Disegno industriale all’Università La Sapienza di Roma, per poi rivolgere il suo primario interesse alla fotografia. Sin da subito la sua ricerca in campo visivo è focalizzata sul medium stesso e sull’immagine come atto e processo visivo. Nel 2005 entra a far parte del progetto Zimmer Frei curato da Irina Novarese esponendo i suoi lavori a Roma e Berlino; partecipa all’edizione 2008 di FotoGrafia Festival Internazionale di Roma con ‘Diary from the sea’ ed espone alcuni dei suoi lavori a Shangai Expo 2010. Nel 2014 fonda YARD PRESS, casa editrice focalizzata su archivi e cultura visiva, nello stesso anno dà vita a ‘Built’ progetto che vede una mostra personale all’H4C di Nicosia e la pubblicazione del side project editoriale ‘Satura’. Nel 2017 partecipa a ‘Periodo Ipotetico’, mostra con Cesare Ballardini e Massimiliano Rezza ospitata da T14 Contemporary, a cura di Elena Vaninetti e Matilde Scaramellini. Dirige ARCHIVIO magazine, rivista semestrale di cultura contemporanea interamente costruita con materiali d’archivio.
Considerare la fotografia come una domanda aperta è il moto propulsore della ricerca artistica di Achille Filipponi: affrontare il sistema dell’immagine come meccanismo a cui porre costanti quesiti.
Nel corso del tempo il lavoro di Filipponi abbandona sempre di più qualsiasi griglia tematica e sposta il suo interesse verso i paradigmi della fotografia stessa. Come è stato nell’arte concettuale dei primi 70’ attraverso una serie di “esercizi”, vengono delineati i limiti e le possibilità del processo fotografico; inventato per essere il mezzo in grado di riprodurre il più fedelmente possibile la realtà, ma pur sempre al servizio della soggettività umana. Come illustra l’emblematica opera dell’artista concettuale John Hiliard realizzata nel 1972 “Camera recording its own condition”, la stessa inquadratura fotografica racchiude diverse possibilità, la scelta finale su come utilizzare il mezzo e che tipo di risultato ottenere spetta sempre a chi sta dietro all’obiettivo.
La fotografia è in grado di ricreare coordinate che appartengono alla nostra realtà: tempo, spazio, tridimensionalità. Produce immagini nitide come le percepisce il nostro occhio, ma quello che osserviamo in fine è stato filtrato attraverso due diverse lenti, quella meccanica e quella del pensiero umano. Che cosa è quindi reale e cosa forviante all’interno di un immagine fotografica? “Anche queste fidate cose ti saranno in eterno ignote” nasce da queste osservazioni per arrivare ad abbracciare le diverse possibilità che la fotografia stessa contiene: possibilità di creazione, di rappresentazione e lettura. Come spesso accade nei lavori di Filipponi la ricerca e il processo sono formalmente omessi e ci viene presentato soltanto il risultato finale, privo di orpelli didascalici. In questo caso una serie di orizzonti. Una serie di mari e cieli.
Ma quelle che osserviamo non sono delle fotografie. Sono opere realizzate in camera oscura e attraverso un processo chimico, stampate su carta fotografica. Ci danno i riferimenti del reale quali: spazio, tempo, tridimensionalità, ma non sono immagini fotografiche create da un negativo, ne tanto meno da un file. Non sono nient’altro che campiture di luce e di ombra, che ci riportano la suggestione di un orizzonte marino.
La scelta del soggetto non è casuale: l’orizzonte è quella linea che sta sempre davanti a noi ma che non possiamo raggiungere in nessun modo. Queste immagini sono un lirico esercizio di perseveranza, che ci parla di frustrazione e di inafferrabilità e i mari che osserviamo in questa serie vogliono essere la sintesi massima della trasposizione tra reale e irreale che avviene all’ interno del processo fotografico stesso.
Se pur formalmente distante nel lavoro possiamo dire ci sia un eco di Bas Jan Ader, – scomparso in mare nel 1975 durante il compimento della performance “In Search of the Miraculous”, ovvero quella che doveva essere la traversata oceanica sulla più piccola barca a vela mai realizzata – e all’interno di “Anche queste fidate cose ti saranno per sempre ignote” si può scorgere un legame d’intenti con la scuola delle avanguardie dell’epoca, che intrapresero l’arte senza mai distanziare la ricerca dalla sostanza dell’idea.
C’è inoltre un atto performativo che entra silenzioso all’interno della pratica di Filipponi, è il gesto con cui queste immagini vengono realizzate in camera oscura e le sue imperfezioni, come la linea dell’orizzonte in leggero movimento, sono le uniche tracce che ci rivelano la performance. Con questa serie infatti, l’autore abbandona il preconcetto che il risultato finale di un lavoro che parla del fotografico debba per forza essere la fotografia stessa.
Testo di Elena Vaninetti.
Achille Filipponi (b.1981) vive e lavora a Torino. Attivo nel campo della fotografia come autore ed editore, studia Disegno industriale all’Università La Sapienza di Roma, per poi rivolgere il suo primario interesse alla fotografia. Sin da subito la sua ricerca in campo visivo è focalizzata sul medium stesso e sull’immagine come atto e processo visivo. Nel 2005 entra a far parte del progetto Zimmer Frei curato da Irina Novarese esponendo i suoi lavori a Roma e Berlino; partecipa all’edizione 2008 di FotoGrafia Festival Internazionale di Roma con ‘Diary from the sea’ ed espone alcuni dei suoi lavori a Shangai Expo 2010. Nel 2014 fonda YARD PRESS, casa editrice focalizzata su archivi e cultura visiva, nello stesso anno dà vita a ‘Built’ progetto che vede una mostra personale all’H4C di Nicosia e la pubblicazione del side project editoriale ‘Satura’. Nel 2017 partecipa a ‘Periodo Ipotetico’, mostra con Cesare Ballardini e Massimiliano Rezza ospitata da T14 Contemporary, a cura di Elena Vaninetti e Matilde Scaramellini. Dirige ARCHIVIO magazine, rivista semestrale di cultura contemporanea interamente costruita con materiali d’archivio.
19
settembre 2018
Achille Filipponi – Anche queste fidate cose ti saranno in eterno ignote
Dal 19 settembre al 19 ottobre 2018
fotografia
Location
MUCHO MAS! ARTIST RUN SPACE
Torino, Corso Brescia, 89, (Torino)
Torino, Corso Brescia, 89, (Torino)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì ore 15 - 18:30
sabato e domenica su appuntamento
Vernissage
19 Settembre 2018, ore 18:30
Autore
Curatore