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14
luglio 2008
fino al 7.IX.2008 Victor Burgin Cinisello (mi), Museo di Fotografia Contemporanea
milano
Stralunamenti da fase rem. Sono racconti di Freud narrati dal fotografo di Sheffield. Una scelta limitata e significativa, per un artista dai trascorsi concettuali...
di Laura Calvi
Pochi lavori ben selezionati tengono lo sguardo dello spettatore incollato alle pareti, alla ricerca spassionata di una chiave di lettura. La vena narrativa è sempre latente nel dna di Victor Burgin (Sheffield, 1941; vive a San Francisco), che questa volta ha preso in prestito protagonisti e storie da Shakespeare, Wilhelm Jensen, Freud e Antonioni.
Le opere sono composte da più scatti mescolati a testi, scritti o ripresi: verbovisuale nella misura in cui l’immagine riesce, per dirla con Roland Barthes, a mantenere ancora la sua fascinazione, senza vincoli di subordinazione dalla parola. Il reagente che trasforma queste sequenze in storie è il dottor Freud. Non solo per il gioco delle libere associazioni, che rappresenta la struttura fisica del raccordo tra le immagini, ma per l’idea del sogno come rappresentazione dell’inconscio.
Il sogno come macchina che genera immagini non è una novità, ma Burgin lo applica in una chiave fenomenologica completamente diversa dalle avanguardie storiche, perché la sua è anzitutto una riflessione sul ruolo dell’arte nella società: non esistono un’arte politica e una responsabilità dell’artista, esiste invece una response-ability (John Cage dixit), un’“abilità di rispondere” dell’arte, di cui la politica è solo uno degli aspetti.
La lettura dei Tales from Freud si risolve in un’esperienza allo stesso tempo soggettiva e condivisa dallo spettatore, il quale ritrova nella struttura delle opere il medesimo modo di sognare: deve accettare il fatto che quello che vede è egli stesso. Solo così ha senso che in Alle 8. Solito posto sia ripresa una piazza veneziana, ma venga raccontato il Monte Stella di Milano; e che, in Gradiva, la diversità sessuale sia il filo conduttore delle forze della storia, attraverso il racconto romantico e paranoico dell’archeologo innamorato di una scultura di Pompei e dell’amica che fallisce nell’opera di redenzione.
Per lo stesso motivo, la Portia del Mercante di Venezia ha le sembianze di una dama di Pietro Longhi in abiti carnevaleschi, gioco di finzione/identità/disvelamento e, in un’altra immagine, porge il modellino di un appartamento, evocando un committente medievale.
Infine, l’utopia socialista del villaggio di Villeneuve, in Grenoble, viene letto attraverso un dipinto secentesco di Claude Gellée, con straordinari rimandi strutturali e compositivi.
Le opere sono composte da più scatti mescolati a testi, scritti o ripresi: verbovisuale nella misura in cui l’immagine riesce, per dirla con Roland Barthes, a mantenere ancora la sua fascinazione, senza vincoli di subordinazione dalla parola. Il reagente che trasforma queste sequenze in storie è il dottor Freud. Non solo per il gioco delle libere associazioni, che rappresenta la struttura fisica del raccordo tra le immagini, ma per l’idea del sogno come rappresentazione dell’inconscio.
Il sogno come macchina che genera immagini non è una novità, ma Burgin lo applica in una chiave fenomenologica completamente diversa dalle avanguardie storiche, perché la sua è anzitutto una riflessione sul ruolo dell’arte nella società: non esistono un’arte politica e una responsabilità dell’artista, esiste invece una response-ability (John Cage dixit), un’“abilità di rispondere” dell’arte, di cui la politica è solo uno degli aspetti.
La lettura dei Tales from Freud si risolve in un’esperienza allo stesso tempo soggettiva e condivisa dallo spettatore, il quale ritrova nella struttura delle opere il medesimo modo di sognare: deve accettare il fatto che quello che vede è egli stesso. Solo così ha senso che in Alle 8. Solito posto sia ripresa una piazza veneziana, ma venga raccontato il Monte Stella di Milano; e che, in Gradiva, la diversità sessuale sia il filo conduttore delle forze della storia, attraverso il racconto romantico e paranoico dell’archeologo innamorato di una scultura di Pompei e dell’amica che fallisce nell’opera di redenzione.
Per lo stesso motivo, la Portia del Mercante di Venezia ha le sembianze di una dama di Pietro Longhi in abiti carnevaleschi, gioco di finzione/identità/disvelamento e, in un’altra immagine, porge il modellino di un appartamento, evocando un committente medievale.
Infine, l’utopia socialista del villaggio di Villeneuve, in Grenoble, viene letto attraverso un dipinto secentesco di Claude Gellée, con straordinari rimandi strutturali e compositivi.
laura calvi
mostra visitata il 4 giugno 2008
dal 10 maggio al 7 settembre 2008
Victor Burgin – Alle 8 solito posto & Tales from Freud
a cura di Filippo Maggia
Museo di Fotografia Contemporanea – Villa Ghirlanda
Via Frova, 10 – 20092 Cinisello Balsamo (MI)
Orario: da mercoledì a domenica ore 10–17.30
Ingresso libero
Catalogo Skira
Info: tel. +39 026605661; fax +39 026181201; info@museofotografiacontemporanea.org; www.museofotografiacontemporanea.org [exibart]