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17
luglio 2008
design_resoconti Synphilosophein
Design
In occasione dell’anno che vede Torino Capitale Mondiale del Design, è d’obbligo una riflessione sull’estetica. “Filosofare insieme” è un progetto che affronta il concetto di design. Quando l’aura non è più custodita dalla singola opera...
Forma e creatività tra Filosofia e Design è il tema dell’incontro organizzato dall’associazione Altera lo scorso 25 giugno al Circolo dei Lettori di Torino, in cui relatori d’eccezione come Federico Vercellone, docente di Estetica presso l’Università di Udine, Luciano Salio, architetto e designer, e Roberto Salizzoni, docente di Estetica all’Università di Torino. L’evento s’inserisce nel progetto Synphilosophein, ovvero “filosofare insieme”, organizzato da docenti, studenti e appassionati di filosofia, tra cui spicca il nome di Gianni Vattimo.
Un’adeguata riflessione sul design non può che approfondire il concetto di estetica. Il primo si occupa di dare forma alle cose, creando opere seriali e riproducibili, mentre la seconda si occupa tradizionalmente della conoscenza sensibile. Dal Settecento in poi, le nozioni di arte e di bello appaiono connesse in un’unica investigazione, ma ancor più nell’epoca attuale è doveroso riflettere su come il concetto di design si estenda a quello di opera d’arte. Gaetano Chiurazzi, che insegna Filosofia teoretica all’Università di Torino, ha introdotto l’argomento, sottolineando che la forma è filosoficamente rilevante ed è altresì importante per quanto concerne il design.
Ha poi aperto il dibattito Luciano Salio, architetto e designer dello Sta-group, azienda che si sta internazionalizzando e da cui recentemente è nato l’atelier italo-coreano di design, che ha sede ad Asti. Salio ha sottolineato come il designer abbia introdotto l’idea di format quale forma sclerotizzata e quindi più facile da affrontare. Sono format un organigramma, un’opera di Calder che rappresenta l’equilibrio, e la prima pagina del loro sito aziendale. “Dovendo scegliere un’immagine per la mia società ho cercato di veicolare il concetto di equilibrio fra i soci e le competenze, e non quello gerarchico”. E alla domanda che si pongono i giovani studiosi di design, da dove occorre partire?, risponde che basilare è rintracciare le caratteristiche mentali, metodologiche e tecniche del design, sia per averne un vantaggio sia per capire se le competenze acquisite possono essere esportabili in altri campi.
Tutte le discipline che si occupano del prodotto, dall’esportazione alla creazione e alla diffusione, si pongono oggi il problema della creatività. A tal proposito, Salio ha precisato: “Abbiamo bisogno di sintesi mentali diverse da quelle logico-deduttive tradizionali”. La funzione di una bottiglia, ad esempio, non dev’essere soltanto quella di contenere ma può essere anche molto altro. La forma è una struttura vestita che non appare alla percezione. Al contrario, la formula è una struttura molto leggibile. In questo caso, però, ci si deve porre l’interrogativo se vi sia una perdita di creatività nell’operare del designer. La risposta pare essere che la formula, costituendo un approccio più facile, lascia comunque libertà d’espressione: “C’è un link tradizionale tra arte e design. Sicuramente la storia ci insegna che gli artisti non hanno mai avuto paura del format, e da questo hanno creato l’incredibile, da Cimabue a Dalí”. Inoltre, è possibile mutuare dall’arte il concetto di spazio. Ancora Salio: “Gli artisti hanno insegnato cos’è lo spazio a tutti i designer”, come mostra il caso di Lucio Fontana.
Roberto Salizzoni ha fornito qualche indicazione teorica sul binomio arte/creazione e sul concetto di format, sviluppando la dissertazione sulle problematiche che insorgono nel momento in cui nasce il design e, di conseguenza, il concetto di tecnica. “Il filosofo che rappresenta una pietra di paragone è indubbiamente Walter Benjamin, il quale ha sostenuto che con la riproducibilità tecnica i nuovi prodotti dell’arte acquisiscono dei valori di verità più che di auraticità estetica. È una tesi che a mio parere è da rivedere, con l’affermarsi della riproducibilità tecnica nel prodotto artistico non vi è una perdita dell’aura ma una dispersione. Il tratto auratico non è più custodito dalla singola opera d’arte ma da un aggregato che è la serie. Vi è però qualcosa di più che l’infinita riproducibilità della matrice. I prodotti del design richiedono creatività”. Sul format, Salizzoni ha ricordato che l’opera d’arte creativa, occidentale, appartiene a una tradizione del nascondimento, dove il grande artista, pur facendo ricorso agli strumenti tecnici, ne cela il procedimento, affinché sia di successo. Invece, le tradizioni artistiche che vanno verso il design mettono in chiaro le impalcature, perché la stessa opera d’arte è nelle strutture. A tal proposito ha citato il Costruttivismo russo, che ha portato nel campo della progettazione tecnica avanzata l’esibizione del format, in cui il principio di costruzione è reso manifesto: il prodotto ha successo non quando il procedimento viene celato, ma nel momento in cui è portato a compiuta trasparenza.
Federico Vercellone ha ricordato che, con l’autonomia dell’arte, il mondo è rimasto sprovvisto di unità di stile. Nel panorama urbano occorre ritrovare quella continuità senza la quale sussisterebbe una decadenza estetica: “La bellezza determina una costanza della visione e della percezione ed è un elemento di rassicurazione e di abitabilità. Un mondo eccessivamente brutto diviene spiacevole alla vista e poco abitabile”.
Per i designer, quello di estetica è un concetto da abolire, perché essenziale è la funzionalità dell’opera. Ma, sostiene Salio, “il consumatore non compra un oggetto solo per il suo uso ma perché costruisce intorno a esso una narrazione. Compito del designer è quello di anticiparla”. Per lo studioso di estetica, invece, è fondamentale l’armonia delle forme. E così, nell’epoca della riproducibilità tecnica, la sinergia tra designer ed estetologo diviene l’aspetto caratterizzante dell’arte.
Un’adeguata riflessione sul design non può che approfondire il concetto di estetica. Il primo si occupa di dare forma alle cose, creando opere seriali e riproducibili, mentre la seconda si occupa tradizionalmente della conoscenza sensibile. Dal Settecento in poi, le nozioni di arte e di bello appaiono connesse in un’unica investigazione, ma ancor più nell’epoca attuale è doveroso riflettere su come il concetto di design si estenda a quello di opera d’arte. Gaetano Chiurazzi, che insegna Filosofia teoretica all’Università di Torino, ha introdotto l’argomento, sottolineando che la forma è filosoficamente rilevante ed è altresì importante per quanto concerne il design.
Ha poi aperto il dibattito Luciano Salio, architetto e designer dello Sta-group, azienda che si sta internazionalizzando e da cui recentemente è nato l’atelier italo-coreano di design, che ha sede ad Asti. Salio ha sottolineato come il designer abbia introdotto l’idea di format quale forma sclerotizzata e quindi più facile da affrontare. Sono format un organigramma, un’opera di Calder che rappresenta l’equilibrio, e la prima pagina del loro sito aziendale. “Dovendo scegliere un’immagine per la mia società ho cercato di veicolare il concetto di equilibrio fra i soci e le competenze, e non quello gerarchico”. E alla domanda che si pongono i giovani studiosi di design, da dove occorre partire?, risponde che basilare è rintracciare le caratteristiche mentali, metodologiche e tecniche del design, sia per averne un vantaggio sia per capire se le competenze acquisite possono essere esportabili in altri campi.
Tutte le discipline che si occupano del prodotto, dall’esportazione alla creazione e alla diffusione, si pongono oggi il problema della creatività. A tal proposito, Salio ha precisato: “Abbiamo bisogno di sintesi mentali diverse da quelle logico-deduttive tradizionali”. La funzione di una bottiglia, ad esempio, non dev’essere soltanto quella di contenere ma può essere anche molto altro. La forma è una struttura vestita che non appare alla percezione. Al contrario, la formula è una struttura molto leggibile. In questo caso, però, ci si deve porre l’interrogativo se vi sia una perdita di creatività nell’operare del designer. La risposta pare essere che la formula, costituendo un approccio più facile, lascia comunque libertà d’espressione: “C’è un link tradizionale tra arte e design. Sicuramente la storia ci insegna che gli artisti non hanno mai avuto paura del format, e da questo hanno creato l’incredibile, da Cimabue a Dalí”. Inoltre, è possibile mutuare dall’arte il concetto di spazio. Ancora Salio: “Gli artisti hanno insegnato cos’è lo spazio a tutti i designer”, come mostra il caso di Lucio Fontana.
Roberto Salizzoni ha fornito qualche indicazione teorica sul binomio arte/creazione e sul concetto di format, sviluppando la dissertazione sulle problematiche che insorgono nel momento in cui nasce il design e, di conseguenza, il concetto di tecnica. “Il filosofo che rappresenta una pietra di paragone è indubbiamente Walter Benjamin, il quale ha sostenuto che con la riproducibilità tecnica i nuovi prodotti dell’arte acquisiscono dei valori di verità più che di auraticità estetica. È una tesi che a mio parere è da rivedere, con l’affermarsi della riproducibilità tecnica nel prodotto artistico non vi è una perdita dell’aura ma una dispersione. Il tratto auratico non è più custodito dalla singola opera d’arte ma da un aggregato che è la serie. Vi è però qualcosa di più che l’infinita riproducibilità della matrice. I prodotti del design richiedono creatività”. Sul format, Salizzoni ha ricordato che l’opera d’arte creativa, occidentale, appartiene a una tradizione del nascondimento, dove il grande artista, pur facendo ricorso agli strumenti tecnici, ne cela il procedimento, affinché sia di successo. Invece, le tradizioni artistiche che vanno verso il design mettono in chiaro le impalcature, perché la stessa opera d’arte è nelle strutture. A tal proposito ha citato il Costruttivismo russo, che ha portato nel campo della progettazione tecnica avanzata l’esibizione del format, in cui il principio di costruzione è reso manifesto: il prodotto ha successo non quando il procedimento viene celato, ma nel momento in cui è portato a compiuta trasparenza.
Federico Vercellone ha ricordato che, con l’autonomia dell’arte, il mondo è rimasto sprovvisto di unità di stile. Nel panorama urbano occorre ritrovare quella continuità senza la quale sussisterebbe una decadenza estetica: “La bellezza determina una costanza della visione e della percezione ed è un elemento di rassicurazione e di abitabilità. Un mondo eccessivamente brutto diviene spiacevole alla vista e poco abitabile”.
Per i designer, quello di estetica è un concetto da abolire, perché essenziale è la funzionalità dell’opera. Ma, sostiene Salio, “il consumatore non compra un oggetto solo per il suo uso ma perché costruisce intorno a esso una narrazione. Compito del designer è quello di anticiparla”. Per lo studioso di estetica, invece, è fondamentale l’armonia delle forme. E così, nell’epoca della riproducibilità tecnica, la sinergia tra designer ed estetologo diviene l’aspetto caratterizzante dell’arte.
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Info: www.alteracultura.org
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