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Aldo Runfola
Apre il 9 giugno la terza personale di Aldo Runfola (Palermo 1950, vive e lavora a Berlino) alla Galleria Michela Rizzo, dopo il solo show “Eventi” nel 2014 e “Welcome-Goodbye” nel 2004.
Comunicato stampa
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LA PRECISIONE DELL’ARBITRARIETÀ
Aldo Runfola è uno dei più enigmatici artisti italiani, votato a una sparizione “personalistica” per una riappropriazione di un pensiero profondo, e critico, intorno all’opera d’arte.
La sua produzione è poetica nella misura dell’estetica: l’approccio alla costruzione del senso non è situato tanto nel visivo quanto nel gesto politico che permea ogni azione consapevole. Il lavoro di Runfola non è agito dall’impulso, né tantomeno è interpretabile sotto aspetti fashion o di “sciamanesimo” contemporaneo, ma indagando questi fenomeni da un’altra prospettiva assume una forza tagliente e marginale, decostruendo “ai lati”. Nulla è generalizzato o “visibile” nella produzione dell’artista, ma è necessario approcciarsi alle opere con uno sguardo disposto al pensiero di una forma dissolta, che si dà come enigmatica.
Nelle tre serie in mostra alla galleria Michela Rizzo, Macchie o Gocce, Nomi e Ritratti, le opere perdono il “problema” dell’autorialità partendo non tanto dalla comune produzione meccanica del lavoro, che ancora disturba la percezione popolare dell’arte, quanto in una sequenza di punctum - loghi, elenchi di nomi, macchie identiche l’una all’altra, appunto - elementi dell’ordine precostituito che circoscrivono un lembo di identità e allo stesso tempo lo eludono.
Sono simboli reiteratamente identici a se stessi, validi in ogni campo dell’esistenza, chiamati ad affermare un’appartenenza nel mondo, sia come singoli che nella collettività. Elementi che vengono interpretati da un personale potere immaginativo e culturale; sono “significanti” che in relazione agli oggetti veicolano ciò che De Saussure definisce il “concetto”, ovvero il significato che crea il linguaggio legando arbitrariamente parole e cose.
Sotto questo punto di vista Aldo Runfola da anni indaga una dimensione concettuale dell’arte che, partendo da forme universalmente riconosciute esercita una pressione sulla visione, uscendo dalla semplice riconoscibilità per liberare l’opera dallo statuto della “dittatura della bellezza” e di un appeal “social”, per caricarla di una serie di metaforici trompe l’œil che accordano al lavoro una soglia di apertura critica, di una interrogazione contigua all’esperienza della visione.
Scrive Bertrand Rougé citato da Elio Grazioli nel suo volume dedicato all’arte contemporanea ai limiti “Infrasottile”: “L’opera d’arte si distingue dal semplice oggetto per il fatto che è ciò che ci chiama a guardarvi almeno due volte”. Ma Grazioli incalza: “Guardare un’opera d’arte, già la prima volta è un riguardare. La si guarda già con una attenzione interrogativa, una consapevolezza che non si tratta di un oggetto come gli altri. Già il primo sguardo, in arte, è il secondo”.
È anche da questo presupposto che sarebbe troppo facile guardare a macchie, ritratti o elenchi come se fossero semplicemente tali, ma Runfola ribalta la situazione e aggiunge al doppio sguardo che si riserva all’opera un terzo passaggio: una smentita che ci riporta all’originale significante: sono macchie, è vero, ma seppure messe lì a caso, quasi con noncuranza estetica, “parlano”.
Il tema sul piatto potrebbe essere solamente uno: quello universale dell’identità, declinata in questo caso attraverso la critica dell’arte. Critica esercitata nella sua antica etimologia di scelta, che passa ovviamente anche per una presa di posizione contro quell’anestetizzazione estetica e civile che impone la società della comunicazione.
Una critica che non può non accostarsi alla parola “crisi”, che per dirla con Ivan Illich, intellettuale al quale Aldo Runfola fa spesso riferimento, è “Vocabolo che indica oggi il momento in cui medici, diplomatici, banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese le libertà”. Continua Illich: “Crisi, la parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire "scelta" o "punto di svolta", ora sta a significare: "Guidatore, dacci dentro!". Evoca cioè una minaccia sinistra, ma contenibile mediante un sovrappiù di denaro, di manodopera e di tecnica gestionale. [Crisi] può invece indicare l'attimo della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all'improvviso si rende conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di vivere in maniera diversa. Ed è questa la crisi, nel senso appunto di scelta, di fronte alla quale si trova oggi il mondo intero”.
Sono parole che lo storico e sacerdote ha scritto esattamente 40 anni fa, e che trovano ora il più acuto compimento, così come il lavoro di Aldo Runfola può compiersi situandosi negli stessi spazi interstiziali che appartengono tanto all’economia - dell’arte e non solo - quanto alla sua comunicazione.
Ma crisi è anche quel "Momento bellissimo in cui si dà il via a un assalto contro l'ordine del mondo", come scrive Guy Debord nel 1978 nel testo fuori campo per il film In girum imus nocte et consumimur igni. E Runfola, per cui il “rifiuto dello spettacolo” integra e definisce la sua politica nel lavoro sceglie invece, scardinandoli, gli emblemi della comunicazione usando come un hacker gli stessi mezzi di diffusione di massa.
Un esempio è il progetto Monuments, realizzato sulle pagine della rivista Frieze: “Non ho scelto la posizione delle pagine né i contenuti che mi venivano affiancati. Ho solo presentato l'immagine di un mio lavoro, totale e sempre più ravvicinato, come quando si ingrandisce l'immagine sullo schermo aprendo il pollice e l'indice. Mi interessava sottolineare da un lato il movimento, vicino lontano - lontano vicino, dall'altra il tempo da una singola istantanea all'altra, un tempo dilatato a dismisura e affidato alla circostanza del tutto casuale in cui un qualsiasi lettore della rivista avrebbe incontrato l'altra pagina, la successiva, molti mesi dopo e su un numero diverso della rivista”, spiega l’artista, che innesca anche un’altra dimensione su cui poter riflettere: quella della differenza tra fruizione controllata (e-book, tempo di permanenza sulle pagine web, like, interazioni, condivisioni) che si mette in atto con lo stesso impercettibile “tocco”, lo stesso touch, che si riserva sia allo schermo che alle pagine, ma che in un caso scorre in tempo reale e non dromologico, nell’accezione data da Paul Virilio.
Aldo Runfola sceglie l’ombra come stato dal quale lasciar arrivare un messaggio mai diretto, e per questo ancora più corrosivo.
Accade nei Ritratti di Arthur Rimbaud, di Friedrich Nietzsche, di Deleuze o Rudolf Stingel: la riconoscibilità è minima, l’esattezza dei tratti diventa un composto di pittogrammi che fanno a pari con l’omogeneità delle gocce, ricreando le ombre di quegli uomini d’oggi la cui costante è quella di “una eclatante carenza di attività teoretica e della sua negazione”, scrive lo stesso Runfola. Che invece sceglie, appunto, grandi pensatori e si chiede se esistano ancora “Uomini speculativi abili nel pervadere i dati a portata di tutti d’una luce di verità abitualmente indisponibile se non ai pochi in grado di intuirla. Una abilità sommamente logica, per nulla romantica, tanto meno irrazionale”. Ed è così che gli AR si compiono e dispongono ordinatamente e pittoricamente a sancire una unione non letteraria ma fatta di empatie con le parole, l’arte, la filosofia, tra la pratica di Runfola e questi uomini avvicinati per frequenze comuni, simpatie, amicizia, stima o attraverso incontri nei percorsi della mente. Fuggendo l’idea di “visionarietà” tanto quanto l’antidogmatismo conformista.
Nell’epoca della comunicazione il corpus di opere di Aldo Runfola appare a sua volta profondamente reazionario: è quel che di più lontano possa esistere dalla pura immagine, dall’arte per l’arte, da ritorni a favore di esercizi professionali o messi a punto per compiacere il pubblico.
La vecchia società liquida di Bauman è stata attualmente superata da una civiltà allo stato gassoso dove la trasmissione di dati che ci permettono di navigare tra risorse preesistenti o configurabili, è nel cloud - nella nuvola globale – e insieme all’imprendibilità dell’aria sembra essere sempre più lontana la possibilità di costruirsi un diritto all’esistenza sulla base delle proprie necessità e da bisogni che non siano quelli categorizzati. Nulla, insomma, accade per caso ed ecco che anche in questo caso Aldo Runfola apre un varco nel pensiero.
Le Gocce o Macchie, scrive l’artista, “Riproducono arbitrariamente il caso con cui i punti sono disposti sulla tela”. Sono un accadimento “gratuito”, ovvero non legato a logiche estetizzanti, che ha come area di sviluppo la superficie della tela. Sono un altro esempio lampante di come la casualità dell’identità sia soggetta a una disposizione non precostituita, che tende in tutti i modi ad allargarsi e a debordare dai confini: nelle macchie è metaforicamente lampante come la presenza dell’uomo tenti di sovrastare non solo se stessa, ma anche lo spazio atrofizzato del presente in cui è arginata. È fuor di ogni dubbio una immagine distopica: “[…] Parlo di coloro che un bel giorno, tirando le somme, vengono alla conclusione di aver scoperto il “nulla sociale”. Niente ritiro dal mondo, quindi: anzi, partecipazione più fitta: tanto più fitta quanto più in malafede, necessitata dalla mancanza di alternative, e intesa come parodia. Niente ascesi; ma interesse per le cose sociali nullificate, e rifondate sul pragmatismo [...] non credere più nei valori del mondo annullato da uno spirito critico […] implica fatalmente un regresso, una riaccettazione conservatrice e moderata della società”. Lo scrive Pier Paolo Pasolini, nell’Appunto 84 (Il Gioco) del suo Petrolio. Tutti in fila, pronti a cadere come gocce nel mare buio e uniforme, o a essere macchie casuali e talvolta mimetiche, le pedine del gioco che opera allo stesso modo del sistema dell’arte.
Ed ecco qui, nell’elenco dei Nomi che Runfola ci propone, che si svela una terza parte del frammento contemporaneo della rappresentazione della realtà: una lista completamente arbitraria di artisti di successo, corredata da un lampadario.
Viene in mente una vecchia lettera di Tano Festa ad Arturo Schwartz in cui descrive la sua fascinazione per I coniugi Arnolfini di Van Eyck, ma soprattutto per un oggetto contenuto nel dipinto: “Questo lampadario incombe sulle figure degli Arnolfini come qualcosa che sta a misurare la durata e quindi il limite delle loro esistenze”. L’oggetto inquietante di Runfola, in questo caso, è l’anonimo ma allo stesso tempo argenteo, visivamente prezioso e brillante, schedario di protagonisti che si ritrovano ammassati sul fragile supporto di cartone allo stesso modo con cui compaiono le gocce e si formano i ritratti: per affinità col caso, per la capacità di uscire fuori dal recinto della tela che contiene le macchie, per strategia o grandiosità. Come del lampadario degli Arnolfini, cosa resterà di questi elenchi su un cartellone temporalmente fragile come lo può essere la memoria della storia?
“L’arte è soprattutto un gioco di società cui bisogna adeguarsi per non essere messi nell’angolo e dimenticati” scrive ancora Runfola, parlando di un altro progetto. È forse questo il punto nodale di questo Grande Fratello in negativo al quale, con la “seconda visione” riservata a questo corpus di opere, possiamo accedere entrando in contatto con la parte rivoluzionaria, quella che anziché considerare la verità come “eufemisticamente puro e semplice diritto all’esistenza” ci permette di scoprirne sotto la superficie le crepe che - in determinate circostanze di consapevolezza e pensiero – potrebbero essere in grado di generare quel terremoto sociale di cui si sono fatti portatori alcuni uomini. D’oggi e ieri.
Aldo Runfola è uno dei più enigmatici artisti italiani, votato a una sparizione “personalistica” per una riappropriazione di un pensiero profondo, e critico, intorno all’opera d’arte.
La sua produzione è poetica nella misura dell’estetica: l’approccio alla costruzione del senso non è situato tanto nel visivo quanto nel gesto politico che permea ogni azione consapevole. Il lavoro di Runfola non è agito dall’impulso, né tantomeno è interpretabile sotto aspetti fashion o di “sciamanesimo” contemporaneo, ma indagando questi fenomeni da un’altra prospettiva assume una forza tagliente e marginale, decostruendo “ai lati”. Nulla è generalizzato o “visibile” nella produzione dell’artista, ma è necessario approcciarsi alle opere con uno sguardo disposto al pensiero di una forma dissolta, che si dà come enigmatica.
Nelle tre serie in mostra alla galleria Michela Rizzo, Macchie o Gocce, Nomi e Ritratti, le opere perdono il “problema” dell’autorialità partendo non tanto dalla comune produzione meccanica del lavoro, che ancora disturba la percezione popolare dell’arte, quanto in una sequenza di punctum - loghi, elenchi di nomi, macchie identiche l’una all’altra, appunto - elementi dell’ordine precostituito che circoscrivono un lembo di identità e allo stesso tempo lo eludono.
Sono simboli reiteratamente identici a se stessi, validi in ogni campo dell’esistenza, chiamati ad affermare un’appartenenza nel mondo, sia come singoli che nella collettività. Elementi che vengono interpretati da un personale potere immaginativo e culturale; sono “significanti” che in relazione agli oggetti veicolano ciò che De Saussure definisce il “concetto”, ovvero il significato che crea il linguaggio legando arbitrariamente parole e cose.
Sotto questo punto di vista Aldo Runfola da anni indaga una dimensione concettuale dell’arte che, partendo da forme universalmente riconosciute esercita una pressione sulla visione, uscendo dalla semplice riconoscibilità per liberare l’opera dallo statuto della “dittatura della bellezza” e di un appeal “social”, per caricarla di una serie di metaforici trompe l’œil che accordano al lavoro una soglia di apertura critica, di una interrogazione contigua all’esperienza della visione.
Scrive Bertrand Rougé citato da Elio Grazioli nel suo volume dedicato all’arte contemporanea ai limiti “Infrasottile”: “L’opera d’arte si distingue dal semplice oggetto per il fatto che è ciò che ci chiama a guardarvi almeno due volte”. Ma Grazioli incalza: “Guardare un’opera d’arte, già la prima volta è un riguardare. La si guarda già con una attenzione interrogativa, una consapevolezza che non si tratta di un oggetto come gli altri. Già il primo sguardo, in arte, è il secondo”.
È anche da questo presupposto che sarebbe troppo facile guardare a macchie, ritratti o elenchi come se fossero semplicemente tali, ma Runfola ribalta la situazione e aggiunge al doppio sguardo che si riserva all’opera un terzo passaggio: una smentita che ci riporta all’originale significante: sono macchie, è vero, ma seppure messe lì a caso, quasi con noncuranza estetica, “parlano”.
Il tema sul piatto potrebbe essere solamente uno: quello universale dell’identità, declinata in questo caso attraverso la critica dell’arte. Critica esercitata nella sua antica etimologia di scelta, che passa ovviamente anche per una presa di posizione contro quell’anestetizzazione estetica e civile che impone la società della comunicazione.
Una critica che non può non accostarsi alla parola “crisi”, che per dirla con Ivan Illich, intellettuale al quale Aldo Runfola fa spesso riferimento, è “Vocabolo che indica oggi il momento in cui medici, diplomatici, banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese le libertà”. Continua Illich: “Crisi, la parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire "scelta" o "punto di svolta", ora sta a significare: "Guidatore, dacci dentro!". Evoca cioè una minaccia sinistra, ma contenibile mediante un sovrappiù di denaro, di manodopera e di tecnica gestionale. [Crisi] può invece indicare l'attimo della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all'improvviso si rende conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di vivere in maniera diversa. Ed è questa la crisi, nel senso appunto di scelta, di fronte alla quale si trova oggi il mondo intero”.
Sono parole che lo storico e sacerdote ha scritto esattamente 40 anni fa, e che trovano ora il più acuto compimento, così come il lavoro di Aldo Runfola può compiersi situandosi negli stessi spazi interstiziali che appartengono tanto all’economia - dell’arte e non solo - quanto alla sua comunicazione.
Ma crisi è anche quel "Momento bellissimo in cui si dà il via a un assalto contro l'ordine del mondo", come scrive Guy Debord nel 1978 nel testo fuori campo per il film In girum imus nocte et consumimur igni. E Runfola, per cui il “rifiuto dello spettacolo” integra e definisce la sua politica nel lavoro sceglie invece, scardinandoli, gli emblemi della comunicazione usando come un hacker gli stessi mezzi di diffusione di massa.
Un esempio è il progetto Monuments, realizzato sulle pagine della rivista Frieze: “Non ho scelto la posizione delle pagine né i contenuti che mi venivano affiancati. Ho solo presentato l'immagine di un mio lavoro, totale e sempre più ravvicinato, come quando si ingrandisce l'immagine sullo schermo aprendo il pollice e l'indice. Mi interessava sottolineare da un lato il movimento, vicino lontano - lontano vicino, dall'altra il tempo da una singola istantanea all'altra, un tempo dilatato a dismisura e affidato alla circostanza del tutto casuale in cui un qualsiasi lettore della rivista avrebbe incontrato l'altra pagina, la successiva, molti mesi dopo e su un numero diverso della rivista”, spiega l’artista, che innesca anche un’altra dimensione su cui poter riflettere: quella della differenza tra fruizione controllata (e-book, tempo di permanenza sulle pagine web, like, interazioni, condivisioni) che si mette in atto con lo stesso impercettibile “tocco”, lo stesso touch, che si riserva sia allo schermo che alle pagine, ma che in un caso scorre in tempo reale e non dromologico, nell’accezione data da Paul Virilio.
Aldo Runfola sceglie l’ombra come stato dal quale lasciar arrivare un messaggio mai diretto, e per questo ancora più corrosivo.
Accade nei Ritratti di Arthur Rimbaud, di Friedrich Nietzsche, di Deleuze o Rudolf Stingel: la riconoscibilità è minima, l’esattezza dei tratti diventa un composto di pittogrammi che fanno a pari con l’omogeneità delle gocce, ricreando le ombre di quegli uomini d’oggi la cui costante è quella di “una eclatante carenza di attività teoretica e della sua negazione”, scrive lo stesso Runfola. Che invece sceglie, appunto, grandi pensatori e si chiede se esistano ancora “Uomini speculativi abili nel pervadere i dati a portata di tutti d’una luce di verità abitualmente indisponibile se non ai pochi in grado di intuirla. Una abilità sommamente logica, per nulla romantica, tanto meno irrazionale”. Ed è così che gli AR si compiono e dispongono ordinatamente e pittoricamente a sancire una unione non letteraria ma fatta di empatie con le parole, l’arte, la filosofia, tra la pratica di Runfola e questi uomini avvicinati per frequenze comuni, simpatie, amicizia, stima o attraverso incontri nei percorsi della mente. Fuggendo l’idea di “visionarietà” tanto quanto l’antidogmatismo conformista.
Nell’epoca della comunicazione il corpus di opere di Aldo Runfola appare a sua volta profondamente reazionario: è quel che di più lontano possa esistere dalla pura immagine, dall’arte per l’arte, da ritorni a favore di esercizi professionali o messi a punto per compiacere il pubblico.
La vecchia società liquida di Bauman è stata attualmente superata da una civiltà allo stato gassoso dove la trasmissione di dati che ci permettono di navigare tra risorse preesistenti o configurabili, è nel cloud - nella nuvola globale – e insieme all’imprendibilità dell’aria sembra essere sempre più lontana la possibilità di costruirsi un diritto all’esistenza sulla base delle proprie necessità e da bisogni che non siano quelli categorizzati. Nulla, insomma, accade per caso ed ecco che anche in questo caso Aldo Runfola apre un varco nel pensiero.
Le Gocce o Macchie, scrive l’artista, “Riproducono arbitrariamente il caso con cui i punti sono disposti sulla tela”. Sono un accadimento “gratuito”, ovvero non legato a logiche estetizzanti, che ha come area di sviluppo la superficie della tela. Sono un altro esempio lampante di come la casualità dell’identità sia soggetta a una disposizione non precostituita, che tende in tutti i modi ad allargarsi e a debordare dai confini: nelle macchie è metaforicamente lampante come la presenza dell’uomo tenti di sovrastare non solo se stessa, ma anche lo spazio atrofizzato del presente in cui è arginata. È fuor di ogni dubbio una immagine distopica: “[…] Parlo di coloro che un bel giorno, tirando le somme, vengono alla conclusione di aver scoperto il “nulla sociale”. Niente ritiro dal mondo, quindi: anzi, partecipazione più fitta: tanto più fitta quanto più in malafede, necessitata dalla mancanza di alternative, e intesa come parodia. Niente ascesi; ma interesse per le cose sociali nullificate, e rifondate sul pragmatismo [...] non credere più nei valori del mondo annullato da uno spirito critico […] implica fatalmente un regresso, una riaccettazione conservatrice e moderata della società”. Lo scrive Pier Paolo Pasolini, nell’Appunto 84 (Il Gioco) del suo Petrolio. Tutti in fila, pronti a cadere come gocce nel mare buio e uniforme, o a essere macchie casuali e talvolta mimetiche, le pedine del gioco che opera allo stesso modo del sistema dell’arte.
Ed ecco qui, nell’elenco dei Nomi che Runfola ci propone, che si svela una terza parte del frammento contemporaneo della rappresentazione della realtà: una lista completamente arbitraria di artisti di successo, corredata da un lampadario.
Viene in mente una vecchia lettera di Tano Festa ad Arturo Schwartz in cui descrive la sua fascinazione per I coniugi Arnolfini di Van Eyck, ma soprattutto per un oggetto contenuto nel dipinto: “Questo lampadario incombe sulle figure degli Arnolfini come qualcosa che sta a misurare la durata e quindi il limite delle loro esistenze”. L’oggetto inquietante di Runfola, in questo caso, è l’anonimo ma allo stesso tempo argenteo, visivamente prezioso e brillante, schedario di protagonisti che si ritrovano ammassati sul fragile supporto di cartone allo stesso modo con cui compaiono le gocce e si formano i ritratti: per affinità col caso, per la capacità di uscire fuori dal recinto della tela che contiene le macchie, per strategia o grandiosità. Come del lampadario degli Arnolfini, cosa resterà di questi elenchi su un cartellone temporalmente fragile come lo può essere la memoria della storia?
“L’arte è soprattutto un gioco di società cui bisogna adeguarsi per non essere messi nell’angolo e dimenticati” scrive ancora Runfola, parlando di un altro progetto. È forse questo il punto nodale di questo Grande Fratello in negativo al quale, con la “seconda visione” riservata a questo corpus di opere, possiamo accedere entrando in contatto con la parte rivoluzionaria, quella che anziché considerare la verità come “eufemisticamente puro e semplice diritto all’esistenza” ci permette di scoprirne sotto la superficie le crepe che - in determinate circostanze di consapevolezza e pensiero – potrebbero essere in grado di generare quel terremoto sociale di cui si sono fatti portatori alcuni uomini. D’oggi e ieri.
09
giugno 2018
Aldo Runfola
Dal 09 giugno al 05 settembre 2018
arte contemporanea
Location
GALLERIA MICHELA RIZZO
Venezia, Giudecca, 800Q, (Venezia)
Venezia, Giudecca, 800Q, (Venezia)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 11 - 18
Vernissage
9 Giugno 2018, Ore 18.30
Autore
Curatore