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Maria Di Stefano – Meet me under water
Un appuntamento sotto quell’acqua che tutto unisce e collega, per scoprire lo sguardo sensibile di una giovane fotografa, in una piccola selezione di corpi e di anime, di incontri, amicizie e amori in giro per il mondo.
Comunicato stampa
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Nell’abbraccio non sono i due amanti (essere amanti è irrilevante), ma i loro corpi, indifferenti ad ogni identità, che si stringono; meglio: che s’abbandonano all’abbraccio solitari e disperati uno nelle braccia dell’altro, e stanno bene, per un attimo, “stanno in pace”, come suol dirsi, se non fossero appunto l’amore, i desideri, i progetti, le permalosità, le chiacchere, i grilli per la testa, i sentimenti e le incalcolabili fesserie dei loro proprietari: i due ragazzi, che ci guardano, non sanno che alla macchina fotografica non interessa di loro e del loro amore (amare è cosa irrilevante), ma dei loro corpi, della spossatezza, dell’abbraccio delle braccia, del capo reclinato sul petto, dell’inconsolabile ora ( per il corpo tutte le ore sono inconsolabili).
Così, il corpo di ragazza che, come animale al pascolo, se ne sta steso sul letto, solo a cercare le ombre, piegando le spalle e girato dalla parte lì dove l’ombra conforta, è indifferente all’euforia dei piedi (ma è euforia di un attimo) per le scarpette rosse che gli hanno messo, solo occupato dal proprio peso da adagiare e consolare dentro il cono luminoso e materno tra lenzuolo e cuscino.
La vita del nostro corpo non è la nostra vita, ce lo trasciniamo dietro come sarà per le anime dei suicidi: si butta su un divano sconsolato, o si volta un attimo spaventato (chissà di cosa), o spalanca gli occhi avvistando e cercando altri orizzonti.
Perplesso di tutta la vita che conduciamo, ci viene dietro sognando sorprendenti e furiosi abbracci, o di reclinare la testa sulle spalle di un altro corpo a trovare calore, o di giacere bocconi o riverso a ridere con un amico, o anche solo di abbassare lo sguardo davanti alla vergogna dell’oggi che ci attende.
Profondamente solo, sempre indolenzito, per conto suo, in cerca perennemente di alleati, fino all’indecenza (l’indecenza, come l’impudicizia, sono una sua forma suprema di sconforto e irredimibile rancore), soprattutto, insofferente ai risvegli, riconosce presto la sola propria vocazione alla notte e alla familiarità con la baldoria.
Uno speciale malessere poi lo domina nella giovinezza: il sapere che si diventa grandi imbruttendo. Pensiero atroce, direbbe Leopardi. Si diventa grandi imbruttendo.
È uno steccato che tutti i soggetti fotografati da Maria Di Stefano si guardano bene dall’oltrepassare. Vi stanno seduti sopra, o a cavalcioni, volgendogli le spalle, sapendo che la fine è proprio alle loro spalle, e che, purtroppo, la macchina fotografica la inquadra questa fine, la vede, e la mette a fuoco, come sfondo e polvere e luce e orizzonte di niente.
Così, il corpo di ragazza che, come animale al pascolo, se ne sta steso sul letto, solo a cercare le ombre, piegando le spalle e girato dalla parte lì dove l’ombra conforta, è indifferente all’euforia dei piedi (ma è euforia di un attimo) per le scarpette rosse che gli hanno messo, solo occupato dal proprio peso da adagiare e consolare dentro il cono luminoso e materno tra lenzuolo e cuscino.
La vita del nostro corpo non è la nostra vita, ce lo trasciniamo dietro come sarà per le anime dei suicidi: si butta su un divano sconsolato, o si volta un attimo spaventato (chissà di cosa), o spalanca gli occhi avvistando e cercando altri orizzonti.
Perplesso di tutta la vita che conduciamo, ci viene dietro sognando sorprendenti e furiosi abbracci, o di reclinare la testa sulle spalle di un altro corpo a trovare calore, o di giacere bocconi o riverso a ridere con un amico, o anche solo di abbassare lo sguardo davanti alla vergogna dell’oggi che ci attende.
Profondamente solo, sempre indolenzito, per conto suo, in cerca perennemente di alleati, fino all’indecenza (l’indecenza, come l’impudicizia, sono una sua forma suprema di sconforto e irredimibile rancore), soprattutto, insofferente ai risvegli, riconosce presto la sola propria vocazione alla notte e alla familiarità con la baldoria.
Uno speciale malessere poi lo domina nella giovinezza: il sapere che si diventa grandi imbruttendo. Pensiero atroce, direbbe Leopardi. Si diventa grandi imbruttendo.
È uno steccato che tutti i soggetti fotografati da Maria Di Stefano si guardano bene dall’oltrepassare. Vi stanno seduti sopra, o a cavalcioni, volgendogli le spalle, sapendo che la fine è proprio alle loro spalle, e che, purtroppo, la macchina fotografica la inquadra questa fine, la vede, e la mette a fuoco, come sfondo e polvere e luce e orizzonte di niente.
18
maggio 2018
Maria Di Stefano – Meet me under water
Dal 18 maggio al 18 giugno 2018
fotografia
Location
ONEROOM BOOKS, ART & PHOTO
Roma, Piazza Dei Satiri, 55, (Roma)
Roma, Piazza Dei Satiri, 55, (Roma)
Orario di apertura
Dal Martedì al Sabato dalle 16 alle 19 o su appuntamento
Vernissage
18 Maggio 2018, h 18
Autore
Curatore