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Giampiero Assumma – In your hands
Kromìa presenta “In your hands”, personale del fotografo Giampiero Assumma. In mostra, opere di medio e grande formato dalla recente produzione dell’autore.
Comunicato stampa
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Kromìa presenta "In your hands", personale del fotografo Giampiero Assumma. In mostra, opere di medio e grande formato dalla recente produzione dell’autore. Rinvenendo un percorso visivo unificante tra alcuni suoi scatti catturanti dei gesti, si delinea un itinerario enigmatico alla scoperta di atmosfere e protagonisti senza volto, ma ritratti ancor più intensamente dalle loro sole mani.
Dal testo critico di Diana Gianquitto (curatrice della mostra, con la direzione artistica di Donatella Saccani): «Tentacolare, una forma composita emerge dal buio. Affiora, come da abissi. Dea Kālī dalla molte braccia, il display di In your hands di Giampiero Assumma si compone di molte vite e tanti esseri, ciascuno ritratto nelle sue mani. Pure, sofferte, enigmatiche, accoglienti, respingenti, suadenti. Quasi memorie da altre esistenze, mille episodi si compongono in un'unica entità, in una samsara circolare di rinascita e morte. (…) E così, la sciarada danzata di gesti fusi e trasmutanti l’uno nell’altro finisce per divenire espressione perfetta di ciò che per Giampiero Assumma è la fotografia: parafrasando Alejandro Jodorowsky, ‘una danza con la realtà’. Lì dove la ‘realtà’ è intesa in senso ampio, come costante interpretazione di ciò che vediamo. In un continuo incontro tra onirico e vero capace di fondere continuamente i due livelli, e in cui il rischiaramento dell’oggettivo deriva dalla trasmutazione e trasposizione che inconscio e immaginazione operano su di esso. Proprio come in una danza in cui, perdendo i confini della propria identità e tra il sé e l’esterno, a un certo punto ci si fonde con l’altro: ‘non vi è separazione col reale, ma si cerca di entrarvi dentro, ed entrandovi si rinviene anche ciò che è dentro di noi, nel silenzio di un inconscio barthesiano’».
Di seguito, testo critico integrale di Diana Gianquitto.
(scorrere per testo critico)
Testo critico
In your hands
di Diana Gianquitto
Tentacolare, una forma composita emerge dal buio. Affiora, come da abissi. Dea Kālī dalla molte braccia, il display di In your hands di Giampiero Assumma si compone di molte vite e tanti esseri, ciascuno ritratto nelle sue mani. Pure, sofferte, enigmatiche, accoglienti, respingenti, suadenti. Quasi memorie da altre esistenze, mille episodi si compongono in un'unica entità, in una samsara circolare di rinascita e morte. E talora, come nel corpo centrale da cui si dipartono, che poi sono due corpi fusi in uno, in un labirintico gioco di relazione, potere ed energie, davvero non è facile intuire i confini dell’uno e dell’altro, e di cosa sia purificazione, e cosa distruzione.
E così, la sciarada danzata di gesti fusi e trasmutanti l’uno nell’altro finisce per divenire espressione perfetta di ciò che per Giampiero Assumma è la fotografia: parafrasando Alejandro Jodorowsky, “una danza con la realtà”. Lì dove la “realtà” è intesa in senso ampio, come costante interpretazione di ciò che vediamo. In un continuo incontro tra onirico e vero capace di fondere continuamente i due livelli, e in cui il rischiaramento dell’oggettivo deriva dalla trasmutazione e trasposizione che inconscio e immaginazione operano su di esso. Proprio come in una danza in cui, perdendo i confini della propria identità e tra il sé e l’esterno, a un certo punto ci si fonde con l’altro: “non vi è separazione col reale, ma si cerca di entrarvi dentro, ed entrandovi si rinviene anche ciò che è dentro di noi, nel silenzio di un inconscio barthesiano”.
Ma per far ciò, secondo l’autore, “è necessario astrarre anche se stessi, in una continua destrutturazione, possibile solo se ci si libera della camicia di forza della realtà”. Del resto, già per Adorno “l’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità”.
Non è assenza, tuttavia, l’astrazione da sé di Assumma, ma al contrario presenza ancor più piena, che allinea percezione del vero e di sé in un ascolto empatico che sa essere non passivo, ma trasformativo: si crea una “relazione visiva, tra fotografo e fotografato”, che come in un passo a due produce continui, impercettibili adattamenti dell’uno sull’altro, connette soggetto e oggetto del fotografare in quell’unica massa energetica junghiana cui tutti apparteniamo, consentendo dunque il disvelamento della verità. Conoscere l’altro, infatti, è semplicemente conoscere un’altra parte di sé, visto che nella sensibilità animistica dell’artista “non facciamo che cercare di cogliere altri aspetti di un’unica grande anima, l’anima del mondo di cui facciamo parte anche noi, e di cui anche grazie alla fotografia cerchiamo di scoprire il mistero. Attraverso le forme che esso prende, che si fondono le une con le altre.”
Ecco quindi come, in un tronco su cui si adagia una mano, si può forse, per via della consapevolezza dischiusa da inconscio e immaginazione, intravedere un corpo femminile, novella Dafne o compagna delle donne-albero dell’Aurora di Paul Delvaux, non a caso assimilabili anche per la sarabanda di gesti in cerchio, tutti diversi. Con una sineddoche karmica che evidenzia la parte per il tutto, in un’esistenza individuale è possibile leggere tutte le forme di vita, così come tra le sue sole mani si può racchiuderne tutto il ritratto. Mani di persone che hanno vissuto, e fatto esperienza, le cui rughe contengono gli anni come gli anelli degli alberi, o mani eburnee, levigate come marmi, non ancora segnati dal tracciato del vento sulle rocce.
Depurati dagli addentellati con la realtà e dal contesto situazionale, abiti, cieli, stanze vissuti da queste mani divengono sfondi vuoti su cui, come su una tela, si staglia il pieno dei gesti, ritmando i chiari e gli scuri in abbinamento con riempimento e svuotamento, non in rigida associazione, ma in continuo slittamento e alternanza di corrispondenza.
Accordandoli però sull’unica modulazione tonale di una luce trascorrente e mobile, rivelatrice più che simbolica, plasmata dai tempi di esposizione in molteplici esplorazioni ma sempre elemento strutturante delle atmosfere visive e, soprattutto, emotive e di senso: “la metafisica è tutta nella luce, è essa che parla delle forme, che delinea e sottrae. Siamo noi che dialoghiamo con la luce e le diamo dei significati, che non subiamo ma riceviamo, in comunicazione interna con la nostra individualità, sviluppando gradazioni che creano un linguaggio autonomo”.
Così come una è la scintilla luminosa che accende, passa e trascorre, di mano in mano, tra le esistenze dalla mille gradazioni dei personaggi dell’artista.
Dal testo critico di Diana Gianquitto (curatrice della mostra, con la direzione artistica di Donatella Saccani): «Tentacolare, una forma composita emerge dal buio. Affiora, come da abissi. Dea Kālī dalla molte braccia, il display di In your hands di Giampiero Assumma si compone di molte vite e tanti esseri, ciascuno ritratto nelle sue mani. Pure, sofferte, enigmatiche, accoglienti, respingenti, suadenti. Quasi memorie da altre esistenze, mille episodi si compongono in un'unica entità, in una samsara circolare di rinascita e morte. (…) E così, la sciarada danzata di gesti fusi e trasmutanti l’uno nell’altro finisce per divenire espressione perfetta di ciò che per Giampiero Assumma è la fotografia: parafrasando Alejandro Jodorowsky, ‘una danza con la realtà’. Lì dove la ‘realtà’ è intesa in senso ampio, come costante interpretazione di ciò che vediamo. In un continuo incontro tra onirico e vero capace di fondere continuamente i due livelli, e in cui il rischiaramento dell’oggettivo deriva dalla trasmutazione e trasposizione che inconscio e immaginazione operano su di esso. Proprio come in una danza in cui, perdendo i confini della propria identità e tra il sé e l’esterno, a un certo punto ci si fonde con l’altro: ‘non vi è separazione col reale, ma si cerca di entrarvi dentro, ed entrandovi si rinviene anche ciò che è dentro di noi, nel silenzio di un inconscio barthesiano’».
Di seguito, testo critico integrale di Diana Gianquitto.
(scorrere per testo critico)
Testo critico
In your hands
di Diana Gianquitto
Tentacolare, una forma composita emerge dal buio. Affiora, come da abissi. Dea Kālī dalla molte braccia, il display di In your hands di Giampiero Assumma si compone di molte vite e tanti esseri, ciascuno ritratto nelle sue mani. Pure, sofferte, enigmatiche, accoglienti, respingenti, suadenti. Quasi memorie da altre esistenze, mille episodi si compongono in un'unica entità, in una samsara circolare di rinascita e morte. E talora, come nel corpo centrale da cui si dipartono, che poi sono due corpi fusi in uno, in un labirintico gioco di relazione, potere ed energie, davvero non è facile intuire i confini dell’uno e dell’altro, e di cosa sia purificazione, e cosa distruzione.
E così, la sciarada danzata di gesti fusi e trasmutanti l’uno nell’altro finisce per divenire espressione perfetta di ciò che per Giampiero Assumma è la fotografia: parafrasando Alejandro Jodorowsky, “una danza con la realtà”. Lì dove la “realtà” è intesa in senso ampio, come costante interpretazione di ciò che vediamo. In un continuo incontro tra onirico e vero capace di fondere continuamente i due livelli, e in cui il rischiaramento dell’oggettivo deriva dalla trasmutazione e trasposizione che inconscio e immaginazione operano su di esso. Proprio come in una danza in cui, perdendo i confini della propria identità e tra il sé e l’esterno, a un certo punto ci si fonde con l’altro: “non vi è separazione col reale, ma si cerca di entrarvi dentro, ed entrandovi si rinviene anche ciò che è dentro di noi, nel silenzio di un inconscio barthesiano”.
Ma per far ciò, secondo l’autore, “è necessario astrarre anche se stessi, in una continua destrutturazione, possibile solo se ci si libera della camicia di forza della realtà”. Del resto, già per Adorno “l’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità”.
Non è assenza, tuttavia, l’astrazione da sé di Assumma, ma al contrario presenza ancor più piena, che allinea percezione del vero e di sé in un ascolto empatico che sa essere non passivo, ma trasformativo: si crea una “relazione visiva, tra fotografo e fotografato”, che come in un passo a due produce continui, impercettibili adattamenti dell’uno sull’altro, connette soggetto e oggetto del fotografare in quell’unica massa energetica junghiana cui tutti apparteniamo, consentendo dunque il disvelamento della verità. Conoscere l’altro, infatti, è semplicemente conoscere un’altra parte di sé, visto che nella sensibilità animistica dell’artista “non facciamo che cercare di cogliere altri aspetti di un’unica grande anima, l’anima del mondo di cui facciamo parte anche noi, e di cui anche grazie alla fotografia cerchiamo di scoprire il mistero. Attraverso le forme che esso prende, che si fondono le une con le altre.”
Ecco quindi come, in un tronco su cui si adagia una mano, si può forse, per via della consapevolezza dischiusa da inconscio e immaginazione, intravedere un corpo femminile, novella Dafne o compagna delle donne-albero dell’Aurora di Paul Delvaux, non a caso assimilabili anche per la sarabanda di gesti in cerchio, tutti diversi. Con una sineddoche karmica che evidenzia la parte per il tutto, in un’esistenza individuale è possibile leggere tutte le forme di vita, così come tra le sue sole mani si può racchiuderne tutto il ritratto. Mani di persone che hanno vissuto, e fatto esperienza, le cui rughe contengono gli anni come gli anelli degli alberi, o mani eburnee, levigate come marmi, non ancora segnati dal tracciato del vento sulle rocce.
Depurati dagli addentellati con la realtà e dal contesto situazionale, abiti, cieli, stanze vissuti da queste mani divengono sfondi vuoti su cui, come su una tela, si staglia il pieno dei gesti, ritmando i chiari e gli scuri in abbinamento con riempimento e svuotamento, non in rigida associazione, ma in continuo slittamento e alternanza di corrispondenza.
Accordandoli però sull’unica modulazione tonale di una luce trascorrente e mobile, rivelatrice più che simbolica, plasmata dai tempi di esposizione in molteplici esplorazioni ma sempre elemento strutturante delle atmosfere visive e, soprattutto, emotive e di senso: “la metafisica è tutta nella luce, è essa che parla delle forme, che delinea e sottrae. Siamo noi che dialoghiamo con la luce e le diamo dei significati, che non subiamo ma riceviamo, in comunicazione interna con la nostra individualità, sviluppando gradazioni che creano un linguaggio autonomo”.
Così come una è la scintilla luminosa che accende, passa e trascorre, di mano in mano, tra le esistenze dalla mille gradazioni dei personaggi dell’artista.
11
maggio 2018
Giampiero Assumma – In your hands
Dall'undici maggio al 28 settembre 2018
fotografia
Location
SPAZIO KROMÌA
Napoli, Via Diodato Lioy, 11, (Napoli)
Napoli, Via Diodato Lioy, 11, (Napoli)
Orario di apertura
lunedì, mercoledì, venerdì: ore 10.30-13.30 e 16.30-19.30; martedì, giovedì, sabato: ore 10.30-13.30
Vernissage
11 Maggio 2018, h 19.00
Autore
Curatore