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Francisco Smythe e Firenze
Francisco Smythe (Puerto Montt, 17 aprile 1952 -Santiago, 23 novembre 1998) visse in Cile i cambiamenti culturali dei brevi e intensi anni della Unidad Popular, durante i quali, all’impegno politico ed etico, si aggiunse un’apertura delle frontiere visive – come l’arte informale spagnola – che segnarono la sua attività artistica. Visse anche i primi cinque anni del Cile della dittatura, dove fu uno dei padri dell’arte concettuale, che più tardi negli anni ’80 si chiamò la “Escena de Avanzada”.
Comunicato stampa
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Francisco Smythe (Puerto Montt, 17 aprile 1952 -Santiago, 23 novembre 1998) visse in Cile i cambiamenti culturali dei brevi e intensi anni della Unidad Popular, durante i quali, all’impegno politico ed etico, si aggiunse un’apertura delle frontiere visive - come l’arte informale spagnola – che segnarono la sua attività artistica. Visse anche i primi cinque anni del Cile della dittatura, dove fu uno dei padri dell’arte concettuale, che più tardi negli anni '80 si chiamò la “Escena de Avanzada”.
Arriva in Italia, a Firenze, nel gennaio 1979, con una borsa di studio del governo italiano presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Istituto di Storia dell'Arte e Architettura dell'Università degli Studi di Firenze, osservando la nascita della Transavanguardia e un paese in cui la gioia e i colori prevalevano nettamente in quegli anni.
Artisti come Francisco si sono ritrovati a operare a Firenze, in una città emblematica, aggiungendo aspetti significativi alla ricerca visiva del tempo.
Ci ritroviamo in presenza di un atteggiamento artistico decentrato, letteralmente eccentrico, frutto di individualità autonome che, nel giro di trent'anni, avevano dovuto affrontare un tale vortice di avvenimenti estremi e opposti fra i quali si tentava, a fatica, di ristabilire un equilibrio.
E se la storia, la vitalità culturale, l'identità di un artista, si fonda sulla sua capacità di organizzare la memoria, in Smythe questo è senz'altro riuscito. C'è un filo conduttore che ha a che vedere con un’energia, una pulsione complice e protagonista al modo di quei momenti di incontro, di quello strano e affascinante palinsesto.
Una strada intrapresa sempre dipinta, dove impera il gioco luminoso, il ritmo e la vibrazione delle forme: nei fiori e nei paesaggi, nei personaggi impossibili creati e disegnati e che solo la poesia può concepire, perché la poesia è verbo che vuole farsi carne.
Bellissima la sua incursione tra le montagne: qui fa esplodere il colore ed è singolare la spontaneità con cui crea la messa in scena; è attraverso la bellezza che ci fa entrare in una sorta di sguardo fatto di connessioni paradossali tra futuro e passato in un tempo svanito.
Figure simboliche, altisonanti e cariche di storia, splendide e mistiche, figure sfarzose, quasi fossero teneri esorcismi con cui crearsi una mitologia autobiografica. Lentamente cresce in lui l'esigenza di riappropriarsi del tessuto urbano, del paesaggio nebuloso e mattiniero, dei muri desolati, dei fiori desolati, delle ombre dietro ai cuori in cui si nascondeva una realtà sempre più intima e personale: la sua malinconia.
Francisco è riuscito, nel suo passaggio in questa vita, a seminare segni, perché la sua parola visiva aveva bisogno di comporsi, di organizzarsi continuamente, così come continuo è stato il bisogno di evitare i ristagni, le soste prolungate, i ritardi; un affanno quasi di precederci e di sorprenderci, che ha fatto non soltanto profumare il suo pensiero, lo ha fatto diventare profondo.
L'Ambasciata del Cile in Italia/Affari Culturali vuole ricordare questo importante artista, omaggiandolo nella città dove produsse una parte importante delle sue opere, esposte a Palazzo Medici Riccardi, e che costituiscono importanti collezioni Toscane, Laziali e dell’Emilia Romagna.
Arriva in Italia, a Firenze, nel gennaio 1979, con una borsa di studio del governo italiano presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Istituto di Storia dell'Arte e Architettura dell'Università degli Studi di Firenze, osservando la nascita della Transavanguardia e un paese in cui la gioia e i colori prevalevano nettamente in quegli anni.
Artisti come Francisco si sono ritrovati a operare a Firenze, in una città emblematica, aggiungendo aspetti significativi alla ricerca visiva del tempo.
Ci ritroviamo in presenza di un atteggiamento artistico decentrato, letteralmente eccentrico, frutto di individualità autonome che, nel giro di trent'anni, avevano dovuto affrontare un tale vortice di avvenimenti estremi e opposti fra i quali si tentava, a fatica, di ristabilire un equilibrio.
E se la storia, la vitalità culturale, l'identità di un artista, si fonda sulla sua capacità di organizzare la memoria, in Smythe questo è senz'altro riuscito. C'è un filo conduttore che ha a che vedere con un’energia, una pulsione complice e protagonista al modo di quei momenti di incontro, di quello strano e affascinante palinsesto.
Una strada intrapresa sempre dipinta, dove impera il gioco luminoso, il ritmo e la vibrazione delle forme: nei fiori e nei paesaggi, nei personaggi impossibili creati e disegnati e che solo la poesia può concepire, perché la poesia è verbo che vuole farsi carne.
Bellissima la sua incursione tra le montagne: qui fa esplodere il colore ed è singolare la spontaneità con cui crea la messa in scena; è attraverso la bellezza che ci fa entrare in una sorta di sguardo fatto di connessioni paradossali tra futuro e passato in un tempo svanito.
Figure simboliche, altisonanti e cariche di storia, splendide e mistiche, figure sfarzose, quasi fossero teneri esorcismi con cui crearsi una mitologia autobiografica. Lentamente cresce in lui l'esigenza di riappropriarsi del tessuto urbano, del paesaggio nebuloso e mattiniero, dei muri desolati, dei fiori desolati, delle ombre dietro ai cuori in cui si nascondeva una realtà sempre più intima e personale: la sua malinconia.
Francisco è riuscito, nel suo passaggio in questa vita, a seminare segni, perché la sua parola visiva aveva bisogno di comporsi, di organizzarsi continuamente, così come continuo è stato il bisogno di evitare i ristagni, le soste prolungate, i ritardi; un affanno quasi di precederci e di sorprenderci, che ha fatto non soltanto profumare il suo pensiero, lo ha fatto diventare profondo.
L'Ambasciata del Cile in Italia/Affari Culturali vuole ricordare questo importante artista, omaggiandolo nella città dove produsse una parte importante delle sue opere, esposte a Palazzo Medici Riccardi, e che costituiscono importanti collezioni Toscane, Laziali e dell’Emilia Romagna.
05
marzo 2018
Francisco Smythe e Firenze
Dal 05 al 29 marzo 2018
arte moderna e contemporanea
Location
PALAZZO MEDICI RICCARDI
Firenze, Via Camillo Benso Conte Di Cavour, 3, (Firenze)
Firenze, Via Camillo Benso Conte Di Cavour, 3, (Firenze)
Orario di apertura
dal lunedì alla domenica dalle 09.00 alle 19.00 (chiusura mercoledì).
Vernissage
5 Marzo 2018, ore 18.00
Autore
Curatore