Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Da Piffetti a Ladatte. Dieci anni di acquisizioni alla Fondazione Accorsi-Ometto
In mostra un centinaio di oggetti, tra gli oltre 250 comperati negli ultimi dieci anni, capolavori dell’arte piemontese ed europea, come mobili di Piffetti, gruppi scultorei in biscuit e terracotta, miniature e orologi francesi, oggetti montati con porcellane francesi e cinesi e tanto altro
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La Fondazione Accorsi-Ometto, dopo una serie di esposizioni dedicate alla pittura italiana, torna a proporre una mostra sulle arti decorative, questa volta incentrata sulle acquisizioni fatte per incrementare la collezione permanente del museo.
L’esposizione, curata da Giulio Ometto, Presidente della Fondazione e da Luca Mana, conservatore del Museo, consente, quindi, di ammirare un centinaio di pezzi, tra gli oltre duecentocinquanta acquistati negli ultimi dieci anni, e di far percepire il museo come un’istituzione in continuo divenire: i mobili, i dipinti, le miniature, gli orologi, gli argenti e gli oggetti montati, esposti in mostra, rappresentano tutti un omaggio incondizionato alle arti decorative.
Il Museo Accorsi-Ometto nasce con lo scopo di far conoscere al pubblico uno straordinario patrimonio di arredi e di opere d’arte. Tra i suoi compiti, oltre a salvaguardare l’arte del XVIII e XIX secolo, ha anche quello di ampliare le proprie raccolte, mantenendo inalterato il gusto e lo spirito collezionistico del fondatore, Pietro Accorsi. La lungimiranza di Accorsi e un'oculata amministrazione dei beni della Fondazione hanno permesso di mantenere un'assoluta autonomia finanziaria e di intenti. L'infaticabile operato e il profondo amore per l’antiquariato del Presidente hanno fatto il resto: in questi ultimi dieci anni, infatti, non solo è stato possibile l’acquisto di importanti oggetti di arte decorativa, ma anche il recupero di capolavori senza tempo, finiti all’estero e riportati a Torino, come il cofano-forte di Pietro Piffetti e le tre sculture di Francesco Ladatte.
LE OPERE
Il gusto per l’arredamento settecentesco, da una parte, e il collezionismo, dall’altra, sono due facce della stessa medaglia: il famoso “gusto Accorsi” è stato mantenuto dal suo successore, Giulio Ometto, che ha arricchito il Museo di nuovi oggetti, cercati e scelti appositamente per impreziosire le sale arredate. Ogni singolo pezzo è stato selezionato, perseguendo una personalissima passione per il bello e per gli oggetti preziosi. Ne sono un esempio: l’incantevole Venditrice di Amorini in biscuit di Meissen del 1790-1800; le miniature francesi che ritraggono elegantissimi gentiluomini e nobildonne del XIX secolo; gli oggetti montati dove le porcellane della manifattura di Vincennes si alternano a quelle della dinastia Qing o a quelle della manifattura di Meissen, in un tripudio di bronzi dorati, scene galanti e delicate statuette.
La dedizione di Accorsi nel ricercare e raccogliere pezzi del Settecento è preservata dal desiderio di accrescere il già ampio numero di mobili piemontesi: fanno, infatti, bella mostra di sé il tavolino da centro di Pietro Piffetti, databile 1750, caratterizzato da una mensa ottagonale, decorata da una raggiera di coralli in avorio colorato, e da un movimento dolcemente sinuoso dei montanti e delle quattro volute, unite al centro in un originalissimo piedistallo pensile; la scrivania “mazzarina”, impiallacciata in legno e avorio, dell’inizio del XVIII secolo, destinata, quasi sicuramente, viste le piccole dimensioni e la presenza del monogramma “VA”, al principino Vittorio Amedeo Filippo di Savoia, prematuramente scomparso all’età di sedici anni; la pregevole consolle da muro del 1720-1730, che, nelle evoluzioni degli intagli, ricorda le argenterie del torinese Andrea Boucheron o gli arredi dei fratelli Riva; infine il bel gruppo di quattro poltrone, della metà XVIII secolo, in legno intagliato e dorato, decorate da un rivestimento tessile a piccolo punto, raffigurante scenette all’orientale e realizzate certamente su modelli francesi.
Su questo filone si inseriscono, allo stesso modo, i pezzi comperati alle aste internazionali: il raro ed elegante cofano-forte del Piffetti, intarsiato in palissandro, pruno e avorio colorato e risalente al 1750-1770, fu acquistato a un'asta Sotheby's nel 2013; mentre i tre gruppi scultorei in terracotta del Ladatte, raffiguranti le Allegorie dell'Autunno e dell'Inverno e Il Trionfo della Virtù incoronata da geni e attorniata dalle Arti Liberali, furono acquistati a Parigi nel 2014 e nel 2017; anche il candeliere in bronzo dorato, su modello di Juste-Aurèle Meissonier, rischiava di restare all’estero, mentre adesso, dopo il suo acquisto a Parigi nel 2016, è tornato nuovamente a Torino. Questi oggetti, insieme con i due ritratti di Giovanni Panealbo, raffiguranti Vittorio Amedeo III di Savoia e la figlia Maria Teresa, e con quello della principessina Maria Luisa Gabriella di Savoia di Louis Michel Van Loo, testimoniano la produzione artistica nel Regno sabaudo e l'esistenza di un raffinato collezionismo legato alla corte.
GLI ARTISTI
Alcuni degli artisti presenti in mostra sottolineano lo stretto legame esistente tra i Savoia, la committenza sabauda e la città di Torino. Tra questi, una menzione particolare va a:
Pietro Piffetti (Torino, 1701-1777), nominato ebanista di corte nel 1731, lavorò per la corte sabauda per quarantasei anni, fino alla morte, con l’incarico di manutenzione del mobilio esistente e di esecuzione di nuovi arredi, realizzando opere per Palazzo Reale, la Reggia di Venaria, la Villa della Regina e Stupinigi. La sua produzione fu caratterizzata da una straordinaria inventiva, adoperata nell’utilizzo di esuberanti forme rococò, e da una eccezionale perizia tecnica nel decorare le superfici con preziose ed elaboratissime tarsie.
Francesco Ladatte (Torino, 1706-1787), formatosi prima a Parigi e poi a Roma, dopo una brillante carriera accademica nella capitale francese, si trasferì definitivamente a Torino, dove fu nominato da Carlo Emanuele III "scultore in bronzo di Sua Maestà”. Per casa Savoia realizzò numerose opere in bronzo, marmo, piombo, argento e terracotta, destinate al Palazzo Reale di Torino, alla cappella della Sindone e a Stupinigi, per la quale nel 1766 realizzò il celebre cervo. Collaborò con Pietro Piffetti e con Andrea Boucheron.
Louis-Michel Van Loo (1707, Tolone – 1771, Parigi), membro di un’estesa dinastia di pittori di origine olandese, fu allievo del padre, che seguì ovunque nelle sue peregrinazioni professionali, da Torino, a Roma e Parigi. Divenuto accademico, godette di una carriera privilegiata. Nel 1733 si fermò a Torino per servire la corte sabauda, ritraendo i principi e le principesse reali. Ritrattista alla corte di Spagna, dal 1736 al 1753, tornò a Parigi, dove divenne il pittore di Luigi XV. Nel 1765 subentrò allo zio come direttore dell’École royale des élèves protégés.
Giuseppe Maria Bonzanigo (Asti, 1745-Torino, 1820), proveniente da una famiglia di scultori e di costruttori d’organo, originaria del Canton Ticino, nel 1787 fu nominato da Vittorio Amedeo III "suo scultore in legno". Con la dominazione francese, lo scultore ottenne la protezione del governatore del Piemonte, Camillo Borghese, e di tutta la corte napoleonica. La celebrità di Bonzanigo crebbe a dismisura tanto che, in epoca di Restaurazione, l’artista riprese a lavorare presso la corte sabauda, tornando a rivestire, sotto Vittorio Emanuele I, l’incarico di scultore regio.
La mostra affianca, quindi, passione per l’arredamento, amore per il bello e recupero di opere d’arte e intende dare una panoramica sugli oggetti e sugli artisti del Settecento che tanto erano apprezzati e collezionati presso la corte sabauda.
L’esposizione, curata da Giulio Ometto, Presidente della Fondazione e da Luca Mana, conservatore del Museo, consente, quindi, di ammirare un centinaio di pezzi, tra gli oltre duecentocinquanta acquistati negli ultimi dieci anni, e di far percepire il museo come un’istituzione in continuo divenire: i mobili, i dipinti, le miniature, gli orologi, gli argenti e gli oggetti montati, esposti in mostra, rappresentano tutti un omaggio incondizionato alle arti decorative.
Il Museo Accorsi-Ometto nasce con lo scopo di far conoscere al pubblico uno straordinario patrimonio di arredi e di opere d’arte. Tra i suoi compiti, oltre a salvaguardare l’arte del XVIII e XIX secolo, ha anche quello di ampliare le proprie raccolte, mantenendo inalterato il gusto e lo spirito collezionistico del fondatore, Pietro Accorsi. La lungimiranza di Accorsi e un'oculata amministrazione dei beni della Fondazione hanno permesso di mantenere un'assoluta autonomia finanziaria e di intenti. L'infaticabile operato e il profondo amore per l’antiquariato del Presidente hanno fatto il resto: in questi ultimi dieci anni, infatti, non solo è stato possibile l’acquisto di importanti oggetti di arte decorativa, ma anche il recupero di capolavori senza tempo, finiti all’estero e riportati a Torino, come il cofano-forte di Pietro Piffetti e le tre sculture di Francesco Ladatte.
LE OPERE
Il gusto per l’arredamento settecentesco, da una parte, e il collezionismo, dall’altra, sono due facce della stessa medaglia: il famoso “gusto Accorsi” è stato mantenuto dal suo successore, Giulio Ometto, che ha arricchito il Museo di nuovi oggetti, cercati e scelti appositamente per impreziosire le sale arredate. Ogni singolo pezzo è stato selezionato, perseguendo una personalissima passione per il bello e per gli oggetti preziosi. Ne sono un esempio: l’incantevole Venditrice di Amorini in biscuit di Meissen del 1790-1800; le miniature francesi che ritraggono elegantissimi gentiluomini e nobildonne del XIX secolo; gli oggetti montati dove le porcellane della manifattura di Vincennes si alternano a quelle della dinastia Qing o a quelle della manifattura di Meissen, in un tripudio di bronzi dorati, scene galanti e delicate statuette.
La dedizione di Accorsi nel ricercare e raccogliere pezzi del Settecento è preservata dal desiderio di accrescere il già ampio numero di mobili piemontesi: fanno, infatti, bella mostra di sé il tavolino da centro di Pietro Piffetti, databile 1750, caratterizzato da una mensa ottagonale, decorata da una raggiera di coralli in avorio colorato, e da un movimento dolcemente sinuoso dei montanti e delle quattro volute, unite al centro in un originalissimo piedistallo pensile; la scrivania “mazzarina”, impiallacciata in legno e avorio, dell’inizio del XVIII secolo, destinata, quasi sicuramente, viste le piccole dimensioni e la presenza del monogramma “VA”, al principino Vittorio Amedeo Filippo di Savoia, prematuramente scomparso all’età di sedici anni; la pregevole consolle da muro del 1720-1730, che, nelle evoluzioni degli intagli, ricorda le argenterie del torinese Andrea Boucheron o gli arredi dei fratelli Riva; infine il bel gruppo di quattro poltrone, della metà XVIII secolo, in legno intagliato e dorato, decorate da un rivestimento tessile a piccolo punto, raffigurante scenette all’orientale e realizzate certamente su modelli francesi.
Su questo filone si inseriscono, allo stesso modo, i pezzi comperati alle aste internazionali: il raro ed elegante cofano-forte del Piffetti, intarsiato in palissandro, pruno e avorio colorato e risalente al 1750-1770, fu acquistato a un'asta Sotheby's nel 2013; mentre i tre gruppi scultorei in terracotta del Ladatte, raffiguranti le Allegorie dell'Autunno e dell'Inverno e Il Trionfo della Virtù incoronata da geni e attorniata dalle Arti Liberali, furono acquistati a Parigi nel 2014 e nel 2017; anche il candeliere in bronzo dorato, su modello di Juste-Aurèle Meissonier, rischiava di restare all’estero, mentre adesso, dopo il suo acquisto a Parigi nel 2016, è tornato nuovamente a Torino. Questi oggetti, insieme con i due ritratti di Giovanni Panealbo, raffiguranti Vittorio Amedeo III di Savoia e la figlia Maria Teresa, e con quello della principessina Maria Luisa Gabriella di Savoia di Louis Michel Van Loo, testimoniano la produzione artistica nel Regno sabaudo e l'esistenza di un raffinato collezionismo legato alla corte.
GLI ARTISTI
Alcuni degli artisti presenti in mostra sottolineano lo stretto legame esistente tra i Savoia, la committenza sabauda e la città di Torino. Tra questi, una menzione particolare va a:
Pietro Piffetti (Torino, 1701-1777), nominato ebanista di corte nel 1731, lavorò per la corte sabauda per quarantasei anni, fino alla morte, con l’incarico di manutenzione del mobilio esistente e di esecuzione di nuovi arredi, realizzando opere per Palazzo Reale, la Reggia di Venaria, la Villa della Regina e Stupinigi. La sua produzione fu caratterizzata da una straordinaria inventiva, adoperata nell’utilizzo di esuberanti forme rococò, e da una eccezionale perizia tecnica nel decorare le superfici con preziose ed elaboratissime tarsie.
Francesco Ladatte (Torino, 1706-1787), formatosi prima a Parigi e poi a Roma, dopo una brillante carriera accademica nella capitale francese, si trasferì definitivamente a Torino, dove fu nominato da Carlo Emanuele III "scultore in bronzo di Sua Maestà”. Per casa Savoia realizzò numerose opere in bronzo, marmo, piombo, argento e terracotta, destinate al Palazzo Reale di Torino, alla cappella della Sindone e a Stupinigi, per la quale nel 1766 realizzò il celebre cervo. Collaborò con Pietro Piffetti e con Andrea Boucheron.
Louis-Michel Van Loo (1707, Tolone – 1771, Parigi), membro di un’estesa dinastia di pittori di origine olandese, fu allievo del padre, che seguì ovunque nelle sue peregrinazioni professionali, da Torino, a Roma e Parigi. Divenuto accademico, godette di una carriera privilegiata. Nel 1733 si fermò a Torino per servire la corte sabauda, ritraendo i principi e le principesse reali. Ritrattista alla corte di Spagna, dal 1736 al 1753, tornò a Parigi, dove divenne il pittore di Luigi XV. Nel 1765 subentrò allo zio come direttore dell’École royale des élèves protégés.
Giuseppe Maria Bonzanigo (Asti, 1745-Torino, 1820), proveniente da una famiglia di scultori e di costruttori d’organo, originaria del Canton Ticino, nel 1787 fu nominato da Vittorio Amedeo III "suo scultore in legno". Con la dominazione francese, lo scultore ottenne la protezione del governatore del Piemonte, Camillo Borghese, e di tutta la corte napoleonica. La celebrità di Bonzanigo crebbe a dismisura tanto che, in epoca di Restaurazione, l’artista riprese a lavorare presso la corte sabauda, tornando a rivestire, sotto Vittorio Emanuele I, l’incarico di scultore regio.
La mostra affianca, quindi, passione per l’arredamento, amore per il bello e recupero di opere d’arte e intende dare una panoramica sugli oggetti e sugli artisti del Settecento che tanto erano apprezzati e collezionati presso la corte sabauda.
15
febbraio 2018
Da Piffetti a Ladatte. Dieci anni di acquisizioni alla Fondazione Accorsi-Ometto
Dal 15 febbraio al 03 giugno 2018
arte antica
Location
FONDAZIONE ACCORSI – OMETTO MUSEO DI ARTI DECORATIVE
Torino, Via Po, 55, (Torino)
Torino, Via Po, 55, (Torino)
Biglietti
Mostra: intero € 8,00; ridotto € 6,00*
Mostra con visita guidata (da martedì a venerdì ore 11.00 e 17.00; sabato, domenica e festivi anche ore 18.00): € 4,00 oltre al biglietto d’ingresso
*Ridotto: studenti fino a 26 anni, over 65, convenzioni, insegnanti
Gratuito: bambini fino a 12 anni, possessori Abbonamento Musei e Torino + Piemonte card
Orario di apertura
Da martedì a venerdì 10.00 – 13.00; 14.00 – 18.00
Sabato, domenica e festivi: 10.00– 13.00; 14.00– 19.00
Lunedì chiuso
Vernissage
15 Febbraio 2018, ore 17.00
Autore
Curatore