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Giorgio Galimberti – Atelier Mitoraj
Il progetto fotografico rivela emozioni trasmesse dalla imponente scultura di Igor Mitoraj. Tensione d’autore che realizza il proprio stato d’animo, la propria conoscenza delle cose e quel che vediamo davanti a noi. Per vedere… non basta tenere gli occhi aperti.
Comunicato stampa
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L’Associazione culturale Obiettivo Camera e Spazio Kryptos presentano Giorgio Galimberti, il cui progetto fotografico rivela emozioni trasmesse dalla imponente scultura di Igor Mitoraj.
Tensione d’autore che realizza il proprio stato d’animo, la propria conoscenza delle cose e quel che vediamo davanti a noi. Per vedere… non basta tenere gli occhi aperti.
Al cospetto di questo progetto fotografico, che Giorgio Galimberti ha declinato attorno la scultura di Igor Mitoraj, le cui opere sono intensamente presenti in spazi urbani italiani, viene da domandarsi quale sia la missione della Fotografia, in maiuscola consapevole prima che volontaria, nel proprio cammino statutario dall’autore all’osservatore. In questo senso, c’è una lezione antica, che appartiene alla Storia della Fotografia italiana, fin dalle proprie radici: è giocoforza richiamare l’intenzione/esperienza dei Fratelli Alinari, di Firenze, esordita a metà dell’Ottocento, nel 1852, per la precisione, con proposito e finalità di documentazione dell’arte italiana, oltre che del suo panorama.
Bene, richiamiamo questa lezione, per poi sottolineare le sostanziose differenze e autonomie applicate da Giorgio Galimberti. Il richiamo è esplicito. Dietro la dizione/identificazione/facciata “Fratelli Alinari” hanno agito decine, se non centinaia di operatori, inviati in giro per l’Italia con un capitolato esplicito e inderogabile: annullare qualsiasi autonomia espressiva e compositiva, per adeguarsi a una neutralità ricercata e voluta, a una neutralità che fosse soltanto documentaria dell’opera. Senza nulla (di proprio) da aggiungere, questi operatori hanno agito nell’incognito, per offrire e produrre un insieme anonimo nella propria composizione e costruzione fotografica. Da cui, per decenni e decenni, l’arte italiana è stata conosciuta nel mondo a partire dalla visione asettica impersonale… marchio di fabbrica Alinari.
Oggi, in un’epoca nella quale la conoscenza, anche visiva, è globalizzata e scandita a ritmi vorticosi, all’autore fotografo si chiede qualcosa di diverso: si chiede una evidente e manifesta personalità interpretativa. Per l’appunto, quella che ha guidato e diretto Giorgio Galimberti nel proprio peregrinare di città in città alla ricerca del passaggio di Mitoraj (Igor Mitoraj, scultore di origine e formazione polacca, cittadino del mondo; 1944-2014).
Da cui, considerazioni in dettaglio e riferimento specifico. Prima di tutto, rileviamo l’autorevolezza della Fotografia d’autore, che -nel proprio manifestarsi- rinnova lo sguardo complessivo e comprensivo sul mondo. In questo senso, l’azione di Giorgio Galimberti è edificante: presto risolta una certa paura di ricadere nei clichés dei monumenti e dei quartieri turistici, ha applicato stilemi maturati e coltivati nella propria esperienza, per comporre visioni di luce, ombra, contrasto… emozione.
In questo progetto, la fotografia d’autore mostra come agisce sempre in modo autonomo rispetto altri stilemi. Insomma, risponde ad altre esigenze e domande, che non quelle dell’esistenza ottusa. Italo Calvino, uno dei riferimenti letterari preferiti dalla fotografia italiana contemporanea (spesso evocato gratuitamente e a sproposito, ma non è questo il caso), offre uno spunto straordinario. Risponde quasi alla questione fatidica: come si visita una città e come la si fotografa?, in declinazione a come si affronta una scultura nel contesto urbano e come la si fotografa-
Da Gli dèi della città, in Una pietra sopra (Einaudi, 1980): «Per vedere una città non basta tenere gli occhi aperti. Occorre per prima cosa scartare tutto ciò che impedisce di vederla, tutte le idee ricevute, le immagini precostituite che continuano a ingombrare il campo visivo e la capacità di comprendere. Poi occorre saper semplificare, ridurre all’essenziale l’enorme numero d’elementi che a ogni secondo la città mette sotto gli occhi di chi la guarda, e collegare i frammenti sparsi in un disegno analitico e insieme unitario, come il diagramma di una macchina, dal quale si possa capire come funziona».
A questo punto, dobbiamo stabilire a chi si rivolge la fotografia. Quella d’autore (anche di Giorgio Galimberti) attraversa l’approccio culturale, e spesso si esaurisce tra addetti. Generalmente, è una rappresentazione fotografica che nasce dal desiderio di documentare la sensazione che i luoghi le situazioni trasmettono alla luce dei propri pregiudizi culturali, con una tensione interna che realizza l’incontro tra il proprio stato d’animo (d’autore), la propria conoscenza delle cose e quel che vediamo davanti a noi.
Al contrario, e all’opposto, la fotografia banalmente turistica è stereotipata e prevedibile. Conferma, più di svelare; ribadisce, più di far scoprire; tranquillizza, senza far pensare. È confortevole. Addirittura… è stucchevole. Però! Però è popolare e arriva (è arrivata) nella case di tutti, come un buon amico che è tale comunque vada la vita.
Anche questa è Fotografia. Intellettualismi a parte, proprio questa è Fotografia. Nostro malgrado.
E poi… fotografia d’autore.
Maurizio Rebuzzini
Giorgio Galimberti (Como, 1980). Figlio d’arte, è da sempre appassionato di fotografia. Complice una famiglia legata all’arte e alla creatività si avvicina alla fotografia a sviluppo istantaneo in giovane età, sfruttando le possibilità che la pellicola permette, sperimentando tecniche di manipolazione affrontandola come un gioco, con consapevolezza e padronanza dello strumento.
Negli anni rimane molto vicino al settore, seppur accantonando la propria produzione personale, continuando a frequentare l’ambiente fotografico.
Circondato dalla presenza e conoscenza di grandi Maestri, Giorgio carpisce e fa suo un certo tipo di visione che, nel momento di riprendere la macchina in mano, gli consente di definire una propria cifra stilistica chiara e ben delineata. Intorno ai trent’anni le sue esperienze e conoscenze si trasformano in una consapevolezza di linguaggio che gli permette di affacciarsi al mondo autoriale con maturità tecnica e compositiva.
Tensione d’autore che realizza il proprio stato d’animo, la propria conoscenza delle cose e quel che vediamo davanti a noi. Per vedere… non basta tenere gli occhi aperti.
Al cospetto di questo progetto fotografico, che Giorgio Galimberti ha declinato attorno la scultura di Igor Mitoraj, le cui opere sono intensamente presenti in spazi urbani italiani, viene da domandarsi quale sia la missione della Fotografia, in maiuscola consapevole prima che volontaria, nel proprio cammino statutario dall’autore all’osservatore. In questo senso, c’è una lezione antica, che appartiene alla Storia della Fotografia italiana, fin dalle proprie radici: è giocoforza richiamare l’intenzione/esperienza dei Fratelli Alinari, di Firenze, esordita a metà dell’Ottocento, nel 1852, per la precisione, con proposito e finalità di documentazione dell’arte italiana, oltre che del suo panorama.
Bene, richiamiamo questa lezione, per poi sottolineare le sostanziose differenze e autonomie applicate da Giorgio Galimberti. Il richiamo è esplicito. Dietro la dizione/identificazione/facciata “Fratelli Alinari” hanno agito decine, se non centinaia di operatori, inviati in giro per l’Italia con un capitolato esplicito e inderogabile: annullare qualsiasi autonomia espressiva e compositiva, per adeguarsi a una neutralità ricercata e voluta, a una neutralità che fosse soltanto documentaria dell’opera. Senza nulla (di proprio) da aggiungere, questi operatori hanno agito nell’incognito, per offrire e produrre un insieme anonimo nella propria composizione e costruzione fotografica. Da cui, per decenni e decenni, l’arte italiana è stata conosciuta nel mondo a partire dalla visione asettica impersonale… marchio di fabbrica Alinari.
Oggi, in un’epoca nella quale la conoscenza, anche visiva, è globalizzata e scandita a ritmi vorticosi, all’autore fotografo si chiede qualcosa di diverso: si chiede una evidente e manifesta personalità interpretativa. Per l’appunto, quella che ha guidato e diretto Giorgio Galimberti nel proprio peregrinare di città in città alla ricerca del passaggio di Mitoraj (Igor Mitoraj, scultore di origine e formazione polacca, cittadino del mondo; 1944-2014).
Da cui, considerazioni in dettaglio e riferimento specifico. Prima di tutto, rileviamo l’autorevolezza della Fotografia d’autore, che -nel proprio manifestarsi- rinnova lo sguardo complessivo e comprensivo sul mondo. In questo senso, l’azione di Giorgio Galimberti è edificante: presto risolta una certa paura di ricadere nei clichés dei monumenti e dei quartieri turistici, ha applicato stilemi maturati e coltivati nella propria esperienza, per comporre visioni di luce, ombra, contrasto… emozione.
In questo progetto, la fotografia d’autore mostra come agisce sempre in modo autonomo rispetto altri stilemi. Insomma, risponde ad altre esigenze e domande, che non quelle dell’esistenza ottusa. Italo Calvino, uno dei riferimenti letterari preferiti dalla fotografia italiana contemporanea (spesso evocato gratuitamente e a sproposito, ma non è questo il caso), offre uno spunto straordinario. Risponde quasi alla questione fatidica: come si visita una città e come la si fotografa?, in declinazione a come si affronta una scultura nel contesto urbano e come la si fotografa-
Da Gli dèi della città, in Una pietra sopra (Einaudi, 1980): «Per vedere una città non basta tenere gli occhi aperti. Occorre per prima cosa scartare tutto ciò che impedisce di vederla, tutte le idee ricevute, le immagini precostituite che continuano a ingombrare il campo visivo e la capacità di comprendere. Poi occorre saper semplificare, ridurre all’essenziale l’enorme numero d’elementi che a ogni secondo la città mette sotto gli occhi di chi la guarda, e collegare i frammenti sparsi in un disegno analitico e insieme unitario, come il diagramma di una macchina, dal quale si possa capire come funziona».
A questo punto, dobbiamo stabilire a chi si rivolge la fotografia. Quella d’autore (anche di Giorgio Galimberti) attraversa l’approccio culturale, e spesso si esaurisce tra addetti. Generalmente, è una rappresentazione fotografica che nasce dal desiderio di documentare la sensazione che i luoghi le situazioni trasmettono alla luce dei propri pregiudizi culturali, con una tensione interna che realizza l’incontro tra il proprio stato d’animo (d’autore), la propria conoscenza delle cose e quel che vediamo davanti a noi.
Al contrario, e all’opposto, la fotografia banalmente turistica è stereotipata e prevedibile. Conferma, più di svelare; ribadisce, più di far scoprire; tranquillizza, senza far pensare. È confortevole. Addirittura… è stucchevole. Però! Però è popolare e arriva (è arrivata) nella case di tutti, come un buon amico che è tale comunque vada la vita.
Anche questa è Fotografia. Intellettualismi a parte, proprio questa è Fotografia. Nostro malgrado.
E poi… fotografia d’autore.
Maurizio Rebuzzini
Giorgio Galimberti (Como, 1980). Figlio d’arte, è da sempre appassionato di fotografia. Complice una famiglia legata all’arte e alla creatività si avvicina alla fotografia a sviluppo istantaneo in giovane età, sfruttando le possibilità che la pellicola permette, sperimentando tecniche di manipolazione affrontandola come un gioco, con consapevolezza e padronanza dello strumento.
Negli anni rimane molto vicino al settore, seppur accantonando la propria produzione personale, continuando a frequentare l’ambiente fotografico.
Circondato dalla presenza e conoscenza di grandi Maestri, Giorgio carpisce e fa suo un certo tipo di visione che, nel momento di riprendere la macchina in mano, gli consente di definire una propria cifra stilistica chiara e ben delineata. Intorno ai trent’anni le sue esperienze e conoscenze si trasformano in una consapevolezza di linguaggio che gli permette di affacciarsi al mondo autoriale con maturità tecnica e compositiva.
13
dicembre 2017
Giorgio Galimberti – Atelier Mitoraj
Dal 13 dicembre 2017 al 12 gennaio 2018
fotografia
Location
SPAZIO KRYPTOS
Milano, Via Panfilo Castaldi, 26, (Milano)
Milano, Via Panfilo Castaldi, 26, (Milano)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì ore 15.30-19.00
Vernissage
13 Dicembre 2017, ore 18.30
Autore
Curatore