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06
ottobre 2008
fino al 2.XI.2008 L’eredità di Giotto Firenze, Uffizi
toscana
Dedicato a chi osa(va) ridurre la produzione artistica fiorentina del Trecento alla sola, seppur immensa, opera di Giotto. Firenze sconfigge i “sintetici” dell’arte e rilancia gli artisti del periodo post-giottesco...
Firenze celebra quegli allievi di Giotto che raccolsero i frutti seminati dal magister et gubernator dell’arte toscana di quello straordinario momento storico, preparando il capoluogo fiorentino (e non solo) al successivo Rinascimento. Sulla sommità della porta d’accesso alla mostra campeggia la scritta: “Questa mostra intende contrapporre all’opinione diffusa che vede un momento di decadenza nell’arte fiorentina del Trecento dopo la morte di Giotto”. Un incipit eloquente, proprio nella città di Dante e a pochi passi dalla sua vecchia dimora, che richiama alla mente ben altra porta, descritta dal sommo poeta.
Qui però, a differenza del canto III della Commedia, varcata la soglia si presenta un ambiente tutt’altro che averno; e non soltanto per la profusione di figure sacre tipiche dell’arte trecentesca. Nonostante l’allestimento (volutamente) oscurato dalla luce naturale – peraltro in contrasto con la peculiare radiosità della Galleria – il gioco di luci, soffusamente mirate, risalta gli ornamenti dorati delle oltre sessanta opere esposte. Creazioni di mani diverse ma tautologicamente unite, all’insegna del grande maestro e del rinnovamento portato dalla sua opera, lasciato appunto in eredità ai seguaci. Senza limitarsi alla sola pittura, comunque riaffermata da Giotto come arte primaria basata sul disegno, ma toccando anche la scultura e la miniatura, insieme alle varie applicazioni come la tecnica del mosaico.
Giotto è sì riconosciuto come il più grande artista italiano del “più gran secolo dell’arte italiana”, come Roberto Longhi definiva il Trecento, ma la sua arte non deve oscurare la conoscenza degli artisti che lo succedettero, già in parte eclissati dal triste momento storico della Peste nera. Da qui il progetto di esaltare i meno celebri “eredi”: da “interrogare, conoscere, apprezzare”. Passando dai legami artistici più diretti, addirittura parentali, nel caso di Stefano detto il Giottino – nipote del maestro, che ebbe il merito di coltivare nonché di sviluppare uno stile pittorico speciale e degno di un gene giottesco – a quelli più incerti, come il caso di Andrea Orcagna o Maso di Banco.
In questo scenario artistico tornato a essere motivo di tanto lavoro per storici e letterati, si individua l’altra importante figura, ancora tutta da scoprire, di Giovanni da Milano: trait d’union fra l’accademia fiorentina di scuola giottesca e lo stile gotico di provenienza transalpina, che debutta a Firenze con una prima monografica a lui dedicata presso la Galleria dell’Accademia. Ai piedi del David di Michelangelo, il cui sguardo pare ora assorto nella contemplazione della mostra: Splendori del Gotico da Giotto a Giovanni da Milano.
Una raccolta di quaranta opere dello stesso periodo che, in altalena con gli Uffizi, fornisce un bilancio complessivo della produzione artistica fiorentina dalla scomparsa di Giotto (1337) agli ultimi anni del Trecento. Un doppio percorso, che si traduce in una celebrazione pluralistica della scuola toscana e delle sue influenze che, pur tentando di prescindere dal “supremo patriarca” Giotto, ne raccoglie ancora gli onori, proponendo addirittura un inedito: il frammento di un dipinto su tavola raffigurante due apostoli, realizzato tra il 1325 e il 1335 e attribuito di recente al maestro di casa dal professor Miklòs Boskovits. Come un ulteriore rinnovamento, a distanza di tanti secoli.
Qui però, a differenza del canto III della Commedia, varcata la soglia si presenta un ambiente tutt’altro che averno; e non soltanto per la profusione di figure sacre tipiche dell’arte trecentesca. Nonostante l’allestimento (volutamente) oscurato dalla luce naturale – peraltro in contrasto con la peculiare radiosità della Galleria – il gioco di luci, soffusamente mirate, risalta gli ornamenti dorati delle oltre sessanta opere esposte. Creazioni di mani diverse ma tautologicamente unite, all’insegna del grande maestro e del rinnovamento portato dalla sua opera, lasciato appunto in eredità ai seguaci. Senza limitarsi alla sola pittura, comunque riaffermata da Giotto come arte primaria basata sul disegno, ma toccando anche la scultura e la miniatura, insieme alle varie applicazioni come la tecnica del mosaico.
Giotto è sì riconosciuto come il più grande artista italiano del “più gran secolo dell’arte italiana”, come Roberto Longhi definiva il Trecento, ma la sua arte non deve oscurare la conoscenza degli artisti che lo succedettero, già in parte eclissati dal triste momento storico della Peste nera. Da qui il progetto di esaltare i meno celebri “eredi”: da “interrogare, conoscere, apprezzare”. Passando dai legami artistici più diretti, addirittura parentali, nel caso di Stefano detto il Giottino – nipote del maestro, che ebbe il merito di coltivare nonché di sviluppare uno stile pittorico speciale e degno di un gene giottesco – a quelli più incerti, come il caso di Andrea Orcagna o Maso di Banco.
In questo scenario artistico tornato a essere motivo di tanto lavoro per storici e letterati, si individua l’altra importante figura, ancora tutta da scoprire, di Giovanni da Milano: trait d’union fra l’accademia fiorentina di scuola giottesca e lo stile gotico di provenienza transalpina, che debutta a Firenze con una prima monografica a lui dedicata presso la Galleria dell’Accademia. Ai piedi del David di Michelangelo, il cui sguardo pare ora assorto nella contemplazione della mostra: Splendori del Gotico da Giotto a Giovanni da Milano.
Una raccolta di quaranta opere dello stesso periodo che, in altalena con gli Uffizi, fornisce un bilancio complessivo della produzione artistica fiorentina dalla scomparsa di Giotto (1337) agli ultimi anni del Trecento. Un doppio percorso, che si traduce in una celebrazione pluralistica della scuola toscana e delle sue influenze che, pur tentando di prescindere dal “supremo patriarca” Giotto, ne raccoglie ancora gli onori, proponendo addirittura un inedito: il frammento di un dipinto su tavola raffigurante due apostoli, realizzato tra il 1325 e il 1335 e attribuito di recente al maestro di casa dal professor Miklòs Boskovits. Come un ulteriore rinnovamento, a distanza di tanti secoli.
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a cura di Angelo Tartuferi
Galleria degli Uffizi
Piazzale degli Uffizi, 1 – 50122 Firenze
Orario: da martedì a domenica ore 8.15-18.50
Ingresso: intero € 10; ridotto € 5
Catalogo Giunti
Info: tel. +39 0552654321; www.ereditadigiotto2008.it
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