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Filippo Lotti è un filosofo votato al mercato dell’arte. Dal 1987 ha iniziato il suo percorso in Sotheby’s, partendo da battitore fino a diventare amministratore delegato e direttore per l’Italia.
Qual è lo stato di salute del mercato?
«In una situazione economica generale complicata, ma non troppo più difficile di altri periodi che abbiamo vissuto, ci sembra che – anche guardando ai risultati generali delle aste come per i risultati delle grandi fiere – quando vengono proposte opere di grande qualità e dalla provenienza importante, c’è una risposta ottima da parte del pubblico. Questa analisi coinvolge un po’ tutti, sia i nostri artisti italiani, che sono molto apprezzati anche all’estero, sia i grandi artisti di tutte le categorie. Quest’anno abbiamo avuto la fortuna di assistere alla vendita di un busto di Canova con una storia, sia di provenienza che di corrispondenza e di committenza, che ha scatenato una grande attenzione internazionale e ha fatto registrare un grande risultato di vendita. Questo succede sempre, un po’ ovunque e in quasi tutte le categorie. A guidare prima di tutto è la qualità dell’opera, la freschezza e il profumo della provenienza. Alla luce di questo e a fronte di un totale aste worldwide di 5.3 miliardi di dollari con un incremento del 12%, che può essere confrontato con il nostro 20% di incremento – anche se su cifre minori -, possiamo dire che la strategia messa in campo da Sotheby’s è vincente: ovunque si propongano opere con questi requisiti la partecipazione è evidente. In Italia dobbiamo fare i conti con la normativa sull’esportazione delle opere, ma quando le opere sono libere di circolare la partecipazione è veramente globale. Nel nostro piccolo, nell’asta di fine novembre, avevamo in sala dei partecipanti provenienti da tutto il mondo, cosa che ci permette di strutturare una strategia di vendita per luogo, ad esempio qualcosa che può essere meno di richiamo, in una grande asta internazionale diventa invece particolarmente luminosa in una sede leggermente decentrata. Abbiamo notato che la partecipazione è la stessa a New York come a Milano. E forse questa è una delle novità più interessanti, Milano infatti riesce a sostenere la vivacità di piazze come New York e Londra. Proviamo a immaginare cosa accadrebbe se l’Italia fosse un Paese con un mercato più liberale! Mi verrebbe da dire: “altro che la Francia!”, non solo dal punto di vista commerciale ed economico, ma anche culturale. Ma questo è ancora molto difficile da far capire».
Questa espansione del mercato da quali elementi è favorita?
«L’accelerazione è l’argomento di maggiore interesse a livello mondiale ed è sicuramente data anche da i nuovi strumenti che sono a disposizione dell’utente, come le aste online. Anche grazie a questi nuovi supporti, nel 2018, Sotheby’s nel mondo ha raccolto diecimila nuovi clienti, un numero enorme per il mercato dell’arte. Queste cifre sono propedeutiche anche a far avvicinare al mercato giovani collezionisti che adesso comprano opere piccole e medie, ma che saranno i grandi collezionisti di prossimi decenni. Il processo di sviluppo, che prima era molto limitato, adesso ha davvero – scusate il gioco di parole – una platea planetaria!»
Parlando invece di futuro avete qualche anticipazione per la prossima stagione? Ci sono artisti e tendenze da tenere d’occhio?
«Per ora le nostre sono solo intenzioni perché stiamo lavorando non solo per l’Italia ma contribuiamo anche a livello internazionale. Per l’Italia vorremmo continuare in questo percorso di scoperta di artisti non necessariamente noti, aprire ad artisti internazionali e pian piano aprire ai contemporanei, anche se tendo a sottolineare che quello di scoperta e di valorizzazione è il lavoro del gallerista. Ci interessa offrire artisti noti consolidati e di grande qualità, ma ancora non troppo riconosciuti dal mercato. Ci sono artisti che ancora non hanno raggiunto il livello meritato dal punto di vista commerciale».
Può farci qualche nome?
«Sicuramente mi riferisco ad alcuni nomi dell’Arte cinetica, della Pop Art romana come Tacchi, Lombardo, tutta la produzione degli anni ‘70 di qualità con nomi che sono importanti e interessanti dal punto di vista della storia dell’arte ma che non sono ancora consolidati a livello di mercato. Poi non mi spiego come Vedova non sia a livello collezionistico, e commercialmente parlando, al pari di altri. Noi possiamo proporre, ma poi è il mercato che decide». (RP)