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Diego Macrì – Fictionalism
Le fotografie di Diego Macrì (presentate da Vittorio Riguzzi) prendono a soggetto i linguaggi più comuni e ricorrenti dell’espressione visiva contemporanea, apertamente dominata, sia nell’arte che nella pubblicità, dalla multimedialità dei sistemi digitali e dal nostro background telematico.
Comunicato stampa
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Al centro del progetto di Macrì sono le immagini. Poggiano su quel filo sottile che dovrebbe separare fra loro verità e artificialità, termini che sempre più tendono a collassare nel nuovo concetto di realtà generato dal mondo visivo ingannevole, variegato e decisamente ibrido del nostro quotidiano postmoderno.
Le immagini ci raggiungono nella loro veste colta o commerciale o, anche, in una condizione intermedia, ove la comunicazione si appropria dell’immagine colta e la contamina, riverberandosi poi, a sua volta, sugli stilemi dell’arte istituzionale.
Il luogo dove si situa l’immagine non è in questi scatti un elemento rappresentato.
L’immagine non è “collocata”, lascia poco spazio al contesto e rivendica in tal modo un significato che non ha bisogno di relazioni con altro.
Una stessa immagine è oggi sincronicamente in molti luoghi, in contenitori fisici e virtuali, collocata inizialmente secondo la razionalità cosciente del marketing, quindi metabolizzata dai canali distributivi nel rispetto di un’altra razionalità, questa volta diffusa e imprevedibile.
È il caso che consente di cogliere un’immagine nei corridoi della metropolitana, in un web-site, per strada, navigando su YouTube o su Facebook, in un libro, in un museo, in una galleria d’arte. Le immagini rappresentate contribuiscono dunque a loro volta ad alterare quello stesso processo seriale e disorientante che tentano di rappresentare.
Nascono dalla attrazione dell’autore per le icone che ci inseguono quotidianamente nella loro veste colta, commerciale o in una condizione intermedia. Nascono anche da un’intenzione di suggerire alcune dimensioni analitiche dell’ambiguità visiva. Per esempio, fra la bellezza in sé della cosa fotografata e la capacità del fotografo; fra gli elementi reali e quelli artificiali che circondano i primi e che, il più delle volte, diventano preminenti. O, anche, come nelle “immagini doppie”, negare la comprensione di quale sia, delle due simmetriche condizioni rappresentate, quella reale e, quale, quella “fake” e, ancora, interrogarsi su quanta informazione possa essere sottratta dalla mappa di un volto prima che quest’operazione diventi visibile e cancelli l’identità.
Le immagini ci raggiungono nella loro veste colta o commerciale o, anche, in una condizione intermedia, ove la comunicazione si appropria dell’immagine colta e la contamina, riverberandosi poi, a sua volta, sugli stilemi dell’arte istituzionale.
Il luogo dove si situa l’immagine non è in questi scatti un elemento rappresentato.
L’immagine non è “collocata”, lascia poco spazio al contesto e rivendica in tal modo un significato che non ha bisogno di relazioni con altro.
Una stessa immagine è oggi sincronicamente in molti luoghi, in contenitori fisici e virtuali, collocata inizialmente secondo la razionalità cosciente del marketing, quindi metabolizzata dai canali distributivi nel rispetto di un’altra razionalità, questa volta diffusa e imprevedibile.
È il caso che consente di cogliere un’immagine nei corridoi della metropolitana, in un web-site, per strada, navigando su YouTube o su Facebook, in un libro, in un museo, in una galleria d’arte. Le immagini rappresentate contribuiscono dunque a loro volta ad alterare quello stesso processo seriale e disorientante che tentano di rappresentare.
Nascono dalla attrazione dell’autore per le icone che ci inseguono quotidianamente nella loro veste colta, commerciale o in una condizione intermedia. Nascono anche da un’intenzione di suggerire alcune dimensioni analitiche dell’ambiguità visiva. Per esempio, fra la bellezza in sé della cosa fotografata e la capacità del fotografo; fra gli elementi reali e quelli artificiali che circondano i primi e che, il più delle volte, diventano preminenti. O, anche, come nelle “immagini doppie”, negare la comprensione di quale sia, delle due simmetriche condizioni rappresentate, quella reale e, quale, quella “fake” e, ancora, interrogarsi su quanta informazione possa essere sottratta dalla mappa di un volto prima che quest’operazione diventi visibile e cancelli l’identità.
28
ottobre 2017
Diego Macrì – Fictionalism
Dal 28 ottobre al 23 dicembre 2017
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
STUDIO CENACCHI ARTE CONTEMPORANEA
Bologna, Via Santo Stefano, 63, (Bologna)
Bologna, Via Santo Stefano, 63, (Bologna)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 15,30 -19
Vernissage
28 Ottobre 2017, ore 18,30
Autore
Curatore